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Recensione "L'ultimo elfo" di Silvana De Mari

Creato il 12 novembre 2011 da Alessandraz @RedazioneDiario
Il 3 novembre, è uscito finalmente il tanto atteso prequel de L'ultimo elfo, "Io mi chiamo Yorsh", per la casa editrice Fanucci. Prima di lasciarci avvolgere da questa nuova e struggente storia, ricordiamo come tutto è cominciato, lasciandoci incantare dalla magia de L'ultimo elfo.
Titolo: L' ultimo elfo Autore: De Mari Silvana Prima edizione: 2007 Editore: Salani Collana: Istrici d'oro Disponibile anche in ebook   Trama: In una landa desolata, annegata da una pioggia torrenziale, l’ultimo Elfo trascina la propria disperazione per la sua gente. Lo salveranno due umani che nulla sanno dei movimenti degli astri e della storia, però conoscono la misericordia, e salvando lui salveranno il mondo. L’elfo capirà che soltanto unendosi a esseri diversi da sé – meno magici ma più resistenti alla vita – non solo sopravviverà, ma diffonderà sulla Terra la luce della fantasia.

LA RECENSIONE Somiglia a un libro fantasy per bambini. L'ultimo elfo ha e produce in chi lo legge lo sguardo stuporoso e candido che è la quintessenza dell'essere bambini, ma non è il caso di lasciarsi fuorviare e, attraverso l'individuazione di un target preciso e quell'uso dei generi che serve a etichettare un prodotto per ridurlo, parzializzare un libro che è di più. La fantasia di Silvana De Mari cattura, corrisponde al genere e lo supera, conferendo inoltre quel vago sapore nostrano di paesaggi e usanze popolari, e lo stile che usa è semplice, ma precisissimo, ironico e dolce, fa ridere e commuove. Facciamo però per un attimo gli avvocati del diavolo e affermiamo, per esperimento, che qualsiasi fantasy che si rispetti non dovrebbe avere attributi inferiori a questi. Perdonino l'ardire i fautori del fantasy epico e guerresco, creatore di mondi complessi e costruiti come cattedrali. Che cosa allora rende questo libro qualcosa d'altro e di più?
L'autrice, raccontando la storia di questo tenero piccolo elfo che diventerà un adolescente spaesato ma deciso, tocca tanti di quei temi caldi dell'esistenza umana che quasi si fatica a non lasciarsi trasportare semplicemente dalla narrazione per focalizzarli. Yorshkrunquarkjolnerstrink, Yorsh per gli amici, è l'ultimo della sua stirpe perché gli elfi sono stati segregati dagli umani che li hanno deportati e condotti in “posti per gli elfi” dove questi sono morti piano piano; erano stati costretti ad indossare vesti di colore giallo – che loro odiavano – sono stati vessati, privati di tutto e chiunque parteggiava per loro è stato perseguitato. Tutto questo vi ricorda qualcosa? È la similitudine iniziale e subito spicca, con la reciproca fatica, fra l'elfo e i compagni umani che subito incontra, di andare oltre i luoghi comuni riguardo alle rispettive specie, ma è solo quella più evidente. La città di Daligar è una metafora chiara dell'ideologia e della sua pretesa di perseguire la Giustizia massima e di mettere il bene dello stato al di sopra di quello dei singoli.
"Prima che il Giudice amministratore di Daligar e contrade limitrofe arrivasse a riorganizzare la vita a tutti, secondo i curiosi schemi della sua Giustizia e Amore per la contea, era difficile avere seriamente fame in una terra che grondava frutteti, dove gli orti si alternavano alle vigne e le vacche riempivano i prati insieme ai fiori. Nemmeno durante le Grandi Pioggie, i cupi anni del buio, la carestia aveva toccato la contea. Adesso era la quotidianità, la normalità, la regola. Carri e carri di grano e frutta lasciavano tutte le estati le campagne e si avviavano verso la città di Daligar, dove forse ci lastricavano le strade, perché non era umanamente possibile che tutta quella roba riuscissero a mangiarsela".
Proseguendo si scopre quali priorità ha l'onnipotente Giudice Amministratore e cosa ci faccia con tutto il ben di Dio che requisisce alla gente. È significativo poi che il tiranno si autoproclami Giudice Amministratore... C'è una critica a una giustizia che costringe le persone dentro dettami arbitrari, ma soprattutto contrari ai principi basilari dell'umanità stessa e anche e soprattutto a una burocrazia che diventa imperante, dimentica della essenziale funzione di servizio al popolo. Silvana De Mari allude al Nazismo quando si riferisce alla demonizzazione del diverso (l'ebreo/l'elfo), ma anche alla segregazione degli orfani, dei vecchi e di chiunque non corrisponde a uno standard. Si riferisce però anche al Comunismo quando mostra che a Daligar nessun bene è di proprietà e che lo stato ti dice cosa pensare, cosa essere oltre a che cosa puoi possedere. Il benessere dello stato è il fine ultimo di tutto e i singoli devono considerarsi degni di esistere solo in funzione di esso. Il Giudice Amministratore ha costretto tutto e tutti dentro i propri schemi e le proprie idee di perfezione, persino la propria figlia, addestrata a corrispondere a un'immagine da cartolina nella mente del padre.
Questo fantasy ci racconta di una triste realtà. C'è bisogno di ricordare che anche Tolkien raccontava di questo al tempo della scrittura de Il Signore degli anelli? Anche La collina dei conigli di Richard Adams ha valore metaforico e così tanti altri libri fantasy. Forse si dovrebbe distinguere fra autori che scelgono il genere e autori che usano il genere per esprimere la propria Weltanschauung, che scrivono sull'onda di una pressione interiore, per una urgenza umana e culturale. Ed è il caso della De Mari e non si può non riconoscerlo se si è assistito a una sua conferenza.
Alla fine del romanzo i pezzenti e gli straccioni portati in salvo dall'elfo si daranno naturalmente delle leggi e l'elfo le inciderà sulla pietra con la punta della propria magica spada, così, con le semplici frasi sgrammaticate di cui sono capaci uomini tenuti appositamente lontani dalla lettura e dalla scrittura. L'umanità, reduce dalla schiavitù corporale e morale, quando viene portata a concepire se stessa come degna in quanto qualcuno le ha conferito valore ed è morto per essa, riscopre le leggi naturali, iscritte dall'origine nel proprio cuore. Il diritto alla felicità, a sposare chi si vuole, a tenere il frutto del proprio lavoro...
Yorsh è prima un bambino, un elfo piccino con la sacra concezione di ogni forma di esistenza, che resuscita la cacciagione lasciando digiuni i propri amici “perché non si può mangiare chiunque pensi”. Ma, coerentemente con i dettami dei romanzi di formazione, cresce e capisce che se qualche umano sta morendo di fame le priorità cambiano, se qualcuno sta minacciando gli inermi e coloro che ami la spada deve essere usata anche se il dolore di chi ferisci o, peggio, uccidi non ti lascerà mai e ti scaverà l'anima per sempre. Yorsh scopre che ogni situazione, anche la migliore, ti lascia col desiderio di fare o essere altro, ma poi, solo dopo, a volte si comprende il valore di ciò che si vive, anche le situazioni peggiori. Il valore della speranza, il valore del raccontare storie, alla speranza fortemente legato. Dunque un ottimismo profondo e la pregnanza della letteratura...
In una sua lezione Silvana De Mari ha affermato che nel Fantasy non si accenna apertamente alla religione, questo vale per Il Signore degli anelli e vale per Harry Potter a esempio, ma semplicemente perché il fantasy è religione. È un'affermazione forte, ma reale perché questo genere è, nei casi migliori, come quello di quest'autrice, una centratura sull'uomo e sulla sua grandezza che trova nel suo senso religioso la sua origine; perché l'uomo è rapporto con qualcosa di più grande che va oltre le apparenze, che è oltre le apparenze. Le pretese del realismo, sposate a quell'impoverimento dell'Essere che è il Positivismo, hanno reso l'uomo cieco al Dato, al Dono che la realtà è: prima evidenza fondante della Ragione senza limitazioni scientiste.
Saruman il Bianco manipola la realtà senza avere rispetto per l'Essere come dato originale e distrugge le foreste e crea (come nel mito di Frankestein) gli Uruk-hai. Allo stesso modo il Giudice Amministratore della Contea di Daligar e contrade limitrofe piega l'esistente ai suoi progetti. La follia di questi progetti non è il fatto peggiore, ma lo è la negazione del dato prezioso originale del tutto: è appunto un Dato: participio passato del verbo dare, voce passiva che implica Colui che dà. E i progetti umani, quando negano questo imprescindibile dato ontologico, sposano la ybris di Lucifero. Il Fantasy viene usato dalla De Mari per ricordare le coordinate originali dell'umanità, che, insieme alla congenita tendenza al male – chiamasi altrimenti Peccato originale – rimandano all'amore come legge inscritta nell'anima, al diritto alla libertà, alla vita, al lavoro, al possesso del frutto del proprio lavoro.
Una parola ancora su Yorsh: il suo candore, la sua innata bontà perdono di spessore se vengono dati per scontati. “Sciocchi quelli che non sono o non fanno i furbi” questo in fondo dice la nostra società. L'apparente debolezza di chi non vuole prevaricare, la forza della semplice bontà non sono solo uno standard per i romanzi per bambini, non solo sono un topic culturale. Perché sono il segno di un'altra bontà, di un'altra debolezza, quella che porta alla Vittoria mediante la Croce. Per questo l'ultimo elfo, come il piccolo principe, Frodo, Innocenzo Smith, e, via!, anche Harry Potter sono tutti simboli di quell'amore vissuto fino al sacrificio che abbiamo nel DNA della cultura occidentale grazie a un fatto storico, realmente accaduto, che, grazie a Dio, non è solo Fantasy.
L'AUTRICE:
Silvana de Mari è nata nel 1953 in provincia di Caserta e vive sulla collina di Torino. Laureata in medicina, ha esercitato come chirurgo in Italia e in Etiopia come volontaria e oggi si occupa di psicoterapia. I suoi libri sono stati tradotti in venti lingue. Ha ricevuto i premi Andersen nel 2004, Bancarellino nel 2005, Immaginaire per il miglior libro Fantasy nel 2005 e il premio ALA (American Library Association) come miglior libro straniero nel 2006 per il romanzo L’ultimo Elfo (Salani, 2004), tradotto in tutto il mondo; con L’ultimo Orco ha ricevuto nel 2005 il premio IBBY (International Board on Books for Young People). L’ultima profezia del mondo degli Uomini chiude la saga già avviata dall’editore Salani con L’ultimo Elfo, L’ultimo Orco e Gli ultimi incantesimi. Con Fanucci Editore ha pubblicato, nel 2009, Il Gatto dagli occhi d’oro.

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