RECENSIONE
«Schlesak è un grande scrittore che è passato attraverso quell'esperienza di frontiera (…la colpa e la tragedia tedesca) facendone una parabola universalmente umana.» Claudio MagrisNon è possibile. Non ci credo. Dopo tante delusioni letterarie, mi trovo in mano questo: Um libro dalla copertina scura, semplice, in cui l’unica cosa che salta agli occhi è il titolo: L’uomo senza radici. Dieter Schlesak, l’autore.
Le prime righe: un colpo al cuore. Mi trovo sbalzata in un contesto in cui il ritmo sincopato della prosa si fonde con la metrica poetica. Narrazione in prima persona e uno stile armonioso ma diretto, coinciso e intervallato da considerazioni filosofiche: sulla vita, sull’amore, sulla morte, su ciò che davvero conta. Il chi è presto detto. Un uomo racconta: il suo nome è Terplan. Ma non importa come possa chiamarsi, se è alto o biondo, se è grasso o magro. Ciò che conta è chi è. E la storia di cui sta per renderci testimoni.
Il libro si apre nella bella campagna della Garfagnana, in Toscana. La descrizione fiabesca del paesaggio percepita con ogni senso si smorza lentamente in un’atmosfera intimistica. L’uomo corre in bagno, si guarda allo specchio ed è di colpo consapevolezza: «Andarmene da questa luce. Non sentire più il rintocco delle ore, non sentire più niente. Nascondermi, sparire. Non essere più nessuno. E così poter sopportare tutto. Anche l’angoscia di fronte alla morte.» Il senso della perdita, la morte di sua madre, diventa di colpo reale.
Il tempo si sospende. In un viaggio dell’anima, tornano ricordi lontani. L’infanzia in Transilvania, prima della Grande Guerra, gli odori e le percezioni di una vita semplice, in una comunità di sangue in cui ogni attimo è scandito dai ritmi della natura e dell’uomo. I germi maligni del nazionalsocialismo infettano di già quell’humus fertile mietendo i primi proseliti in famiglia. L’uomo – al tempo bambino - subisce, senza capire.
Lo farà solo più avanti, anni dopo, ormai uomo, tornando nella sua casa natale alla ricerca di se stesso e delle proprie radici. Il viaggio diventa così un tempo della memoria, in cui non ci sono vincitori né vinti: solo perdenti.
La grandezza di Schlask è quella di trasformare la ricerca d’identità di un uomo in un valore universale. Il disgregarsi della nazione tedesca, l’orrore dei lager, il crollo dell’Europa dell’est e del credo nazionalsocialista. Il diario interiore di un vuoto incolmabile, una profonda testimonianza della crisi morale e culturale mitteleuropea. Una scrittura profetica e intensa, unica colonna a cui ancorarsi per sopravvivere all’angoscioso nulla. Cosigliatissimo.
L'AUTORELa vita di Dieter Schlesak nell’ultimo quarantennio è fortemente contrassegnata dall’esperienza dell’esilio. Fuggito nel 1969 dalla pesante cappa del regime comunista in Romania, dove dopo aver condotto studi di germanistica aveva svolto l’attività di insegnante e di redattore della rivista Neue Literatur, dal 1973 abita a Stoccarda, la città della sua compagna Linda, ma soprattutto tra i boschi di Agliano, una frazione del comune toscano di Minucciano, a pochi chilometri da Camaiore. A Viareggio tiene ormeggiata una vecchia barca a vela con cui si è avventurato per anni lungo le coste del Mediterraneo. Numerosi sono i riconoscimenti che ha ricevuto la sua produzione di saggista, scrittore e di poeta lirico. Nel 1989 gli è stato assegnato lo Schubart-Literaturpreis, nel 1993 ha ottenuto il premio Nicolaus Lenau per la sua produzione lirica, nel 1994 gli è stato conferito l’Hauptpreis des Ostdeutschen Kulturrates per la sua opera in prosa. Nel 2005 ha ricevuto il conferimento della laurea honoris causa da parte dell’Università di Bucarest.