Titolo: La contessa nera Autore: Rebecca Johns Editore: Garzanti Pagine: 324 Prezzo: € 18,61
Trama: Ungheria, 1611. L'alba illumina l'imponente castello di Csejthe. Nella torre più alta, una donna elegante, austera e vestita completamente di nero è sveglia da ore. Sta fissando, attraverso una piccola feritoia nel muro, un pezzo di cielo che volge all'azzurro mentre le stelle lentamente scompaiono. Sa che quello squarcio di cielo è l'unica cosa che riuscirà a guardare per il resto della sua vita. L'ultima pietra che, per decreto del palatino, la condanna a essere murata viva in quella stanza è appena stata posata. Ma la contessa Erzsébet Bathory non ha nessuna intenzione di accettare supinamente il destino che le viene imposto. Non l'ha mai fatto nella sua vita. Erzsébet è solo una bambina innamorata dei libri quando, nella dimora in Transilvania dove vive insieme alla sua famiglia, assiste ad atti di violenza indicibili. Atti che la segnano nel profondo e che non potrà mai dimenticare. Neanche quando, a soli undici anni, è costretta a sposare l'algido, freddo e violento Ferenc Nadasdy; Un uomo sempre lontano, più interessato alla guerra e alle scorribande che a lei. Erzsébet è sola, la responsabilità dei figli e dell'ordine nel castello di Sarvar è tutta sulle sue spalle. Spetta a lei gestire alleanze politiche e lotte di potere. Questo le procura non pochi nemici e coincide con l'emergere dell'anima più nera della donna. Strane voci iniziano a spargersi sul suo conto. Sparizioni di serve torturate e uccise, nobildonne svanite nel nulla. Si tratta di una cospirazione? O siamo di fronte a una donna malvagia e perversa? O il male è l'unico modo per Erzsébet di sopravvivere e lottare in un mondo dominato dagli uomini?
RECENSIONE
“Potete stare certo che quella donna era intelligente e perfida come avevate supposto nei vostri resoconti. Sono rimasto spesso sgomento di fronte al suo tetro senso dell’umorismo, alla vastità della sua istruzione e all’originalità delle sue opinioni. ”22 Agosto 1614. Inizia in questa data la storia narrata da Rebecca Johns, con una lettera che annuncia la morte della vedova Nádasdy nella sua prigione di pietra, senza aver fatto ammenda per i peccati commessi e senza benedizione. La voce che ci accoglie è quella del Reverendo Zacharias, frustrato per aver fallito la missione di redenzione della donna e indeciso su cosa fare delle carte da lei lasciate. Quei fogli si aprono a noi, quasi a chiedere di essere ascoltati, conosciuti e solo alla fine giudicati. Sono pagine di un diario da reclusa, che mescola i brevi resoconti del suo stato di prigioniera alla sua storia personale che dall’ infanzia ci porterà al presente che sta vivendo.
Conosciamo così la piccola Erzsébet, secondogenita di una ricca e famosa casata Ungherese, i Bárthory, curiosa e vivace e con idee già molto chiare. Durante i festeggiamenti per la nascita della sorellina Klara, uno zingaro viene catturato e punito per aver venduto la figlia. La punizione esemplare è qualcosa di raccapricciante: l’uomo viene cucito vivo nella pancia di una cavalla, lasciando fuori solo la testa. Erzsébet non si spaventa, ne sente pietà per l’uomo, al contrario gli sputa in faccia disgustata per il destino che ha imposto alla figlia.
“Io, così amata dai miei genitori, non concepivo un destino peggiore che essere fatta schiava, costretta a prostituirmi, la mia verginità violata, il mio corpo picchiato. Provai a immaginare una degna punizione per un uomo che avesse vilipeso a tal punto la sua stessa carne. Cavargli gli occhi, strappargli gli heregolyó con tenaglie arroventate? ... Nulla sembrava rendere sufficiente giustizia.”Un barlume di cattiveria, forse un presagio della donna che sarà, ma il tempo passa e altre cose la distraggono. I genitori la promettono in sposa a Ferenc Nádasdy, unico erede della fortuna di famiglia e giovane rampollo dal cognome parimenti importante a quello dei Bárthory. Iniziano così gli studi intensivi e le lezioni per diventare una signora dell’alta società e una buona moglie, colta, raffinata e dal polso fermo, per gestire al meglio la propria casa.
La sciagurata morte del padre, segna l’inizio della sua vita da adulta. István appena sedicenne è il nuovo capo famiglia, mentre la madre un tempo fiera e bellissima, si ammanta di dolore lasciando tutto nelle mani della secondogenita. Dopo qualche mese, viene mandata a casa della futura suocera, per conoscere il fidanzato, prendere confidenza con la casa e perfezionare l’educazione mulièbre. Erzsébet ha undici anni. Nonostante i suoi sforzi, Ferenc la tratterà per diversi anni con la più totale indifferenza, cieco alla bellezza che va sbocciando al suo fianco e ignaro del fatto che la fidanzata fosse infelice quanto lui di sposarsi per dovere e non per amore.
Il bellissimo e tenebroso Ferenc sarà il primo di una serie di uomini che la deluderanno e faranno soffrire. Nonostante la sua bellezza, l’intelligenza e la smisurata cultura, questa donna non riuscirà a farsi amare totalmente e incondizionatamente, scalzata da servette ignoranti e mogliettine stupide. Ma forse l’ostacolo era proprio quello, l’essere forti ed indipendenti, con un cervello che conosce quattro lingue e racchiude cognizioni che spaziano da Copernico ad Aristotele. Forse, rapportarsi con una donna così non era semplice, mentre alternare un carosello di serve incantate e riconoscenti, sì.
Altre morti, dolori e umiliazioni, la segneranno profondamente, facendo esplodere il suo lato sadico. Le punizioni corporali, in uso in quel epoca per avere in pugno la servitù, vengono spinte agli estremi, finché non si trasformano in furia ceca e senza controllo. Unica valvola di sfogo e sicurezza di potere assoluto. Un modo per avere il rispetto che il marito le ha negato mettondo incinta la nuova lavandaia, per essere ubbidita senza sentire bisbigli o pettegolezzi, per avere il controllo che sembra scivolarle via dalle mani come seta.
Una storia ben scritta, con stile pulito e senza inutili fronzoli, che ho letto con piacere e che si fa apprezzare dalla prima all’ultima parola senza annoiare. L’uso del punto di vista della protagonista, ci apre la scatola segreta del suo cuore, con le angosce, le delusioni e i dolori che Erzsébet prova. In più di un momento ci si sente furiose per la sfrontatezza delle adultere che la deridono o la fiducia tradita da chi si credeva compagno e amore della vita. Il quadro che ne dipinge la Johns, non giustifica ne assolve la ferocia di questa donna, solo fornisce elementi che arricchiscono e spiegano il perchè del suo comportamento. L’educazione rigida e l’uso costante di determinate pratiche punitive tra i nobili, le delusioni umilianti, la continua e fallimentare ricerca dell’amore, sono solo alcune delle ragioni che possono aver plasmato il carattere di Erzsébet, rendendola una delle prime donno serial killer della storia. Ma forse sono solo, illazioni. Forse era solo una pazza di indole sanguinaria. Forse era una ricca annoiata, che invidiava la giovinezza e la libertà dagli obblighi delle sue serve. Forse era una strega. Forse...
L'AUTRICE:Rebecca Johns lavora come insegnante nel dipartimento di inglese della DePaul University, a Chicago, e collabora con riviste del calibro di «Harvard Review», «Chicago Tribune», «Cosmopolitan». “Icebergs”, il suo primo romanzo( ancora inedito in Italia), è stato finalista dell'Hemingway Foundation/PEN Award (premio per romanzi d'esordio) e ha ricevuto il Michener-Copernicus Award..
Presto troverete un'intervista alla gentilissima e simpatica Rebecca Johns, che ha dichiarato di essere molto eletrizzata per l'uscita italiana del suo libro.