IL SORPRENDENTE ROMANZO D'ESORDIO DI FRANCESCA KAY. UN VIVIDO RITRATTO: MERAVIGLIOSO E SENSUALE.
Titolo: La Corsa del VentoAutore: Francesca KayEditore: Bollati BoringhieriPagine: 216 p. Prezzo: € 16,00 Trama:Jennet Mallow porta il nome di una regina delle fate, ma esercita il suo regno su un diverso genere di fantasmagoria: l'arte pittorica. Raccontare come in lei quella passione imperiosa abbia conteso intensità alla vita è impresa di cui soltanto una scrittura poetica può incaricarsi. Le parole che non arretrano di fronte al viluppo acuminato dei sentimenti sanno compiere anche il prodigio di trasferire sulla pagina il fare artistico nella sua concretezza materica, evocando l'impasto dei colori e la malia delle forme. Così, nella finzione narrativa, è un poeta a resuscitare splendidamente la storia di Jennet, da quando, bambinetta, si infilava oltre la testiera del letto per disegnare sul muro con tizzoni spenti, sino ai trionfi appartati della maturità. Nessuno, nella sua famiglia "infelice e malconcia", le ha alleggerito il fardello del talento assoluto, a cominciare dal marito David, pittore sfibrato dai riti del maledettismo e ansioso soprattutto di non vedersi rubare la scena da un'esile donna più dotata di lui. Sola, tra una madre preda di vecchie frustrazioni, un piccolo spettro silenzioso di figlia che non cresce al pari dei suoi fratelli, un collezionista esigente, amanti forsennati o in fuga, non ha altro ancoraggio se non mani sapienti che trasformano pareti e tele in capolavori del nostro tempo. Li vediamo nascere permeati della luminosità in cui vengono dipinti, il bagliore abbacinante della Spagna mediterranea, le dissolvenze opalescenti della Cornovaglia, la luce fangosa del Tamigi...
RECENSIONE Non è facile descrivere questo primo romanzo di Francesca Kay. Forse, perché risulta difficile trovare parole dopo essersi lasciati attraversare da questo vento di scrittura di cui parla il titolo. Rimane senz'altro il desiderio di conoscere l'autrice e la necessità di esplorare le radici da cui nasce la storia narrata. Infatti, la riuscita del romanzo consiste forse anche nel senso di incompiutezza che lascia, assolutamente non perché non soddisfi, anzi, ma perché quei dipinti descritti così perfettamente si ha voglia di vederli per davvero e non solo con la propria fantasia, la cui capacità simbolica è incredibilmente esaltata dalla scrittura della Kay.
Jennet Mallow è la protagonista della storia e il biografo/voce narrante ne ripercorre la vita con profondo coinvolgimento, che si spiegherà solo alla fine del libro con un fulmen in clausula narrativamente molto efficace. La pittura e le vicende biografiche sono intrinsecamente collegate non solo perché Jennet è una pittrice, ma perché lei e la pittura sono congiuntamente oggetto d'amore da parte del narratore e quindi dell'autrice.La piccola Jennet si trova a un certo punto a un bivio della sua vita quando riconosce in sé l'imperativo di mostrare la bellezza al mondo e si chiede se possa farlo con le parole, ma risolve che le parole non sono sufficienti, sono trite e limitate, mentre vede intriganti e infinite invece le potenzialità dell'arte pittorica.
E' evidente però che ciò non vale per Francesca Kay che descrive i rapporti fra Jennet e la madre, fra lei e il difficile padre con una profondità e una padronanza notevoli, usando davvero le parole come un pittore fa con i colori. Nello stesso modo spiccano in chiaroscuro (è il caso di dirlo) le epoche che la bella ed enigmatica Jennet attraversa: i tempi della Seconda guerra mondiale, gli anni Cinquanta, gli esplosivi Sessanta fino alla fine del secolo e più che vederli descritti li percepiamo attraverso la vita, le scelte che i personaggi operano e l'incertezza e provvisorietà da cui appaiono intrisi. Così, attraverso le percezioni di Jennet, non possiamo esimerci di amare e odiare insieme il controverso e immaturo David, così come i momenti di passione e di illusione come quelli di sconforto e di gelido immobilismo che la donna attraversa ci costringono all'immedesimazione. Il rapporto con David segna tutta la sua vita, anche quando il diverso modo di concepire l'esistenza inevitabilmente li separa. Il lettore insieme alla protagonista è chiamato a vedere la grandezza e la meschinità di quest'uomo segnato dai suoi demoni personali e dall'inquietudine profonda del suo tempo. Jennet non rinnegherà mai del tutto il suo primo amore, ma soprattutto ama i suoi figli, ama le persone che accompagnano la sua vita, sentendo la responsabilità di questo amore; e, soprattutto però, sa che la sua arte è una possibilità e una ineluttabile vocazione e l'insegue o se ne nasconde in tutti i luoghi e i tempi della sua vita.
Le ambientazioni poi sono molto belle e le descrizioni della Kay ci fanno sentire il profumo del mare di Cornovaglia e l'aria polverosa della casa natia nello Yorkshire, la sobria ma calda accoglienza delle donne spagnole a una Jennet serenamente incinta nella spoglia casa in riva al mare e le variazioni di grigio piovoso della Londra dei decenni postbellici.Alcuni passaggi sono destinati a rimanere nella memoria:
“Rispetto ai figli, Jennet era un'adulta, o avrebbe dovuto esserlo, ma fino a quel momento aveva conservato il senso del destino tipico di un bambino, la fede nella generosità del mondo, nel lieto fine della storia. Prima o poi sarebbe successo qualcosa di bello, dalle sconfinate profondità del bosco sarebbe spuntato un cavaliere errante con la chiave di un nuovo mondo fissata all'armatura.La presa di coscienza della totale dipendenza dei suoi figli da lei, e del suo concomitante dovere di donna adulta, era il nocciolo del problema di Jennet. Agli occhi del mondo la libertà dagli obblighi personali era essenziale per un artista che intendesse raggiungere gli ideali più nobili, più trascendenti. Era la libertà che David Heaton aveva accordato a se stesso. Una libertà che era essenzialmente infantile ma senza gli svantaggi dell'impotenza di un bambino. David non avrebbe mai potuto essere davvero adulto, se voleva riuscire come artista. Era quella la nuda scelta che Jennet si trovava dinnanzi: responsabilità verso le persone che aveva messo al mondo o fedeltà alla propria vocazione?”
Personalmente mi colpisce la perfetta descrizione del tempo di una donna con famiglia e la lotta quotidiana per rubare minuti per andare a fare quello che si vuole fare: per Jennet dipingere. Così Jennet, proprio perchè non vuole rinunciare a nulla, è una protagonista a tutto tondo e l'evoluzione del personaggio è narrata dalla descrizione del susseguirsi dei suoi quadri che fanno sprofondare nelle ferite e nelle rivelazioni dell'anima più della banale narrazione dei sentimenti.
Trascinanti poi risultano, la manualità, la fatica, il ritmo del lavoro dietro un'opera appassionante. L'atto del dipingere è descritto con precisione amorosa e le sensazioni, l'odore degli oli, dei solventi, la densità delle tempere, passano dalla protagonista al lettore con naturalezza. Niente di superfluo, ma niente di fine a se stesso. Ogni quadro infatti nasce da un'epifania interiore legata fedelmente a un evento osservato nella realtà. E quel che resta della vita di Jennet Mallow è il filo rosso della passione per la verità, costantemente cercata nelle sfumature dell'acqua e nelle nuove consapevolezze che con dolore la vita porta.
Questo romanzo non vuole essere diverso o innovativo nel modo di narrare, ma conquista per la finezza dell'approfondimento dei personaggi, per il linguaggio maturo, prezioso nella ricchezza delle sfumature e soprattutto per il fascino della protagonista Jennet, raccontata attraverso la pittura e il suo amore per essa. Raramente l'arte moderna è apparsa così vicina e trasparente del cuore umano. Sentiremo ancora parlare di Francesca Kay.
L'AUTRICEFrancesca Kay è cresciuta tra il Sud-est asiatico e l'India, ed è successivamente vissuta in Giamaica, Negli Stati Uniti, in Germania e in Irlanda. Abita a Oxford con il marito e i tre figli. La corsa del vento è il suo primo romanzo.