Oggi lascerò per un attimo da parte il progetto per parlarvi di un libro letto qualche tempo fa, ovvero La danza delle marionette di Luca Buggio.
Titolo: La danza delle marionette
Autore: Luca Buggio
Genere: narrativa, vampiri
Editore: La Riflessione – Davide Zedda Editore
Collana: narrativa
Pagine: 390
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: €20,00
Formato: copertina morbida
Valutazione:
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Angus è un vampiro, un predatore che sceglie le prede con attenzione: solo chi fa del male ad altre persone. Le vittime delle sue vittime diventano i suoi protetti, prendersene cura lo fa sentire ancora vivo, amato. Umano. Ma ugualmente diviso tra un mondo a cui non sente di appartenere e uno che non lo riconosce più.
Kerri non ha avuto una vita facile, la sua infanzia è un incubo che vorrebbe dimenticare. Angus l’ha tolta dalla strada e lei è cresciuta e diventata forte al suo fianco, fingendo di non accorgersi dei suoi tanti misteri.
Galinder guida congreghe di vampiri dai tempi degli imperatori romani. Saggia guida per alcuni, spietato tiranno per altri. Indifferente alla sorte dei mortali, gli interessa soltanto mantenere il potere, alimentando gli intrighi che nascono alla sua corte.
Malakith ha un unico scopo nella sua millenaria esistenza: sconfiggere Galinder una volta per tutte. Nessuno scrupolo rallenta il suo cammino. Porta tempesta e si lascia alle spalle distruzione.
Suona la danza e le marionette si muovono a tempo di musica. Galinder e Malakith. I loro seguaci, i loro servi. Angus. E Kerri. Chi è che regge i fili?
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Non è facile per me parlare in questo romanzo in modo obbiettivo, senza cadere nelle classiche sbrodolate che detesto con tutto il cuore, e non solo perché è stato scritto da uno che ormai, anche se non l’ho mai incontrato dal vivo, considero un amico… Ma ci proverò lo stesso, e chissà che non ne salti fuori qualcosa di decente.
Comincio col dire che, se prima credevo che il genere letterario “vampiri” includesse solo libri-spazzatura come Twilight e cloni successivi, mentre leggevo La danza delle marionette mi sono dovuta ricredere, e suppongo che sarà lo stesso per tutti quelli che come me non sopportano Edward Cullen e soci: la trama, infatti, come avrete intuito leggendo il riassunto, è tutt’altro che la solita pappardella sulla ragazza bruttina che si innamora del vampiro superfigo tristemente nota a tutti noi. Come hanno già scritto alcuni lettori prima di me, dunque, sarebbe davvero una mossa superficiale (e, oltretutto, sbagliata) affiancarlo a certi “capolavori” usciti di recente.
O meglio, i protagonisti, come accaduto già altre volte, sono un vampiro buono e una ragazza innamorata del suddetto… ma per una volta non ne troverete di vegetariani o di sbrilluccicosi: qui ne troverete uno molto particolare, che non si ciba di prede scelte a caso, ma solo di quelle che fanno male ad altre persone. Ed è proprio l’amore e la riconoscenza che gli doneranno le vittime delle sue vittime – in particolare la giovane Kerri – a farlo sentire vivo, sebbene la vita lo abbia ormai abbandonato da un pezzo.
Il primo, principale punto forte della Danza delle marionette, dunque, è senz’altro la trama: l’idea di un vampiro che si sa di appartenere al mondo dei morti, ma che vorrebbe sentirsi ancora vivo, e che per fare questo diventa amico delle persone in difficoltà, come una specie di volontariato, è ricca di spunti interessanti che mi hanno saputo conquistare. L’accenno che ho fatto al volontariato, tra l’altro, non è casuale: si dà il caso, infatti, che l’ispirazione per questa storia sia arrivata all’autore proprio durante un’esperienza del genere. Gli imprevisti e i risvolti inaspettati ovviamente non mancano, ed è forse questo ciò che mi ha tenuto più attaccata alle pagine: credo di aver trovato uno di quei romanzi per i quali, durante la lettura, chi legge è costretto a vivere nel costante terrore che la storia vada avanti anche a libro chiuso, e che magari i personaggi si liberino dai fili che li trattengono e mandino avanti la vicenda a nostra insaputa.
A proposito dei personaggi, ovvero delle marionette che vengono fatte danzare da un misterioso burattinaio, sono molti fin dall’inizio e molto spesso ne vengono introdotti di nuovi. Non è stato semplicissimo, a essere sincera, averli presenti tutti durante l’intero arco del racconto: ciascuno di essi ha un carattere, dei pensieri e una storia da raccontare, tanto che in certi momenti tutte queste emozioni mi hanno un poco disorientata, ma allo stesso tempo è stato bellissimo potersi immergere dentro a delle pagine così ricche di personaggi vividi, tutti diversi e, ripeto, tutti incredibilmente intensi.
Volendo spendere alcune parole su quelli principali, dirò che di Angus, il nostro vampiro buono, mi è piaciuto molto l’alone di mistero che lo circonda per tutta la storia, ma anche la sensazione che ci sia sempre qualcosa nel suo carattere in grado di farlo apparire tutte le volte diverso. Ciononostante non è riuscito a conquistarmi del tutto, forse perché una fastidiosa tendenza a essere fin troppo perfetto ogni tanto si fa sentire, anche se l’autore è riuscito a non far pesare quasi per niente queste spie di “allarme anti-Mary Sue”: del resto, nel complesso il personaggio è davvero ben fatto, e credo che chiunque lo vorrebbe come amico.
Anche Kerri non mi è sembrata male, considerato che è assai raro che io e i personaggi di sesso femminile andiamo d’accordo: anche in lei qualche aspetto stereotipato non manca, ma perlomeno la nostra donzella non è una mocciosa senza spina dorsale che sbava per tutte le quattrocento pagine dietro al figo di turno (ogni riferimento a una certa Bella Swan è puramente casuale ^^).
Poi troviamo i “cattivi”, Galinder e Malakith, entrambi personaggi a mio parere molto ben riusciti, soprattutto la seconda; e meritano una menzione speciale anche Brian, Chris e Rachel, anche se a quest’ultima avrei concesso maggior spazio: tutti, come ho già scritto, pieni di carattere e davvero interessanti.
Riguardo allo stile, l’autore sembra aver preso alla lettera il comando “Show, don’t tell”, e questo è evidente fin dalle prime pagine, a parte forse qualche frammento di raccontato che comunque non mi ha assolutamente disturbato. Anzi, in alcuni punti pareva averlo preso persino troppo alla lettera: a volte, infatti, mentre il narratore mostra tende a fare economia di descrizioni che sarebbero servite a capire meglio alcune scene e ad abbondare dove invece non sarebbero state necessarie, ma per fortuna il più delle volte basta sforzarsi solo un poco per non perdersi. In ogni caso, la sensazione dominante era quella di leggere un testo architettato nei minimi dettagli: nessuna parola scelta in modo casuale o campata per aria; anzi, più volte ho incontrato accostamenti di termini che mi sono piaciuti molto per la loro originalità.
Infine, soltanto un paio di note stonate: la cura per l’impaginazione e soprattutto per editing e correzione di bozze lascia a desiderare, dal momento che ho contato parecchi difetti, tra refusi, periodi a volte traballanti, scelte stilistiche infelici (come il “prato erboso”…) e compagnia bella. Ben 20€ per 400 pagine, inoltre, sono davvero tanti: ok che i pregi non mancano, ma due o tre spiccioli di meno non farebbero male.
Queste pecche, comunque, non hanno affatto influito sul mio gradimento e nemmeno, ripeto, sull’indubbia qualità di questo romanzo.
La danza delle marionette rimane uno di quei libri che restano nel cuore per come sono scritti, per i temi che trattano, per le emozioni che evocano: è una delle storie più belle che abbia mai letto, perciò vi consiglio di non farvelo scappare, specie se siete stanchi delle solite storie sui vampiri glitterati.
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Adesso che sono quasi faccia a faccia Lou riesce a vederlo bene: un uomo dal viso pallido e smunto, qualche capello grigio che brilla in una chioma nera. E gli occhi… non sono normali.
Non sono umani.
Per la prima volta dopo ventisette anni, Lou sta per piangere.
«Che… uoi?».
Gli risponde un sorriso, che schiude labbra esangui. E allora Lou capisce, capisce tutto, mentre l’orrore gli pietrifica corpo, cuore e anima:
«Sei… ummm.. osfvo…».
E lui, il mostro, lo Scozzese che Gregucci pensava di fottere, gli accosta il viso all’orecchio. Lou non sente il fiato soffiargli addosso, ma adesso che ha visto bene, adesso che ha capito, sa perché. Fissa impotente la Morte in persona che gli sussurra:
«Sei tu il mostro. Mi fai ribrezzo».
Poi il suo dolore si squarcia insieme alla gola, soffoca l’ultimo grido d’agonia in un refolo sottile.
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