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Recensione: "La Fabbrica di Cioccolato"

Creato il 29 settembre 2014 da Giuseppe Armellini
C'è poco da fare, è una roba diversa.
Ho rivisto da circa un annetto la prima e storica trasposizione cinematografica del romanzo di Dahl (ovviamente durante il periodo natalizio nel quale quel film e il Canto di Natale dickensiano la fanno sempre da padroni) trovandoci dentro tutto quello che ci trovai da bambino, ovvero una favola nera terribile, crudele, visionaria sì, ma angosciante.
La fabbrica di Burton è diversa, la fabbrica di Burton è un film per famiglie che sebbene mantenga nel plot tutti gli snodi narrativi del film con Wilder (e del libro, of course) lo fa in un'atmosfera completamente diversa, spettacolare, a tratti divertente, senza raggiungere mai la cattiveria e il cinismo del primo film.
Credo, credo, che più che da Burton e dalle esigenze di marketing tutto dipenda dalla figura di Willy Wonka.
Quello di Wilder era una specie di orco con cappello, un uomo che in maniera fredda, cinica, calibrata e disinteressata si liberava di tutti i bambini viziati che dimostravano, anche dentro la sua fabbrica, di non essere bambini meritevoli di nulla.
Quello di Depp tendenzialmente è lo stesso personaggio ma sembra spaesato, svampito, un istrione che non ha nulla della freddezza del Wonka wilderiano, quella freddezza che era quasi sentenza.
Eppure la misantropia di questo nuovo Wonka è assolutamente marcata (vedere ad esempio il fastidio per l'abbraccio di una delle bambine all'inizio), anche lui pare come una persona che odia l'umanità, o almeno l'umanità che merita di essere odiata.
Ma non fa paura, non ci inquieta, anzi, Burton quasi ce lo dipinge come un personaggio di cui aver tenerezza, veramente l'opposto del suo predecessore.
E' una specie di cappellaio matto che organizza uno show divertente per punir bambini, non pare, come Wilder, qualcosa di trascendentale, una morale e un'etica che spazza via tutto il resto.
E non è un caso che alla fine Burton mostri tutti gli altri bambini che escono dalla fabbrica illesi, anzi, è solo la conferma che abbia avuto paura di affondare il colpo per far sì che questo film avesse successo.
Che poi si vive di un paradosso visto che Burton resta ancora più fedele al romanzo (ad esempio in tutte e 4 le uscite di scena dei bambini insopportabili) ma poi inserisce ex novo tutti i flash back sull'infanzia di Wonka, a mio parere malriusciti ed inutili (è un personaggio magnifico, sfuggente, raccontarlo lo banalizza).
Anche la sua balbuzie e il rifiuto (da trauma) del concetto di famiglia è troppo reiterato, spiegato. Insomma, dove uno ci veniva presentato come un personaggio da "odiare" questo è da amare.
E uno era traumatico, questo traumatizzato.
Ovviamente glisso sugli stacchetti musicali degli Umpa Lumpa, davvero insopportabili...
A proposito, sono (stato?) un Umpa Lumpa anche io e mi ci riconosco moltissimo, specie in quella spersonalizzazione che li (ci) rende tutti uguali.
La forza di questo Burton resta nella potenza visiva, nella passione che ha messo nel raccontare questa storia, in un prologo (di mezz'ora) straordinario sulla famiglia di Charlie e sui vari vincitori dei biglietti d'oro.
C'è amore in questo film, perchè questa è una storia che Burton ama.
Ma io preferivo la perfidia del primo, perchè solo quella restituiva del tutto quello che questa fantastica storia ci vuole raccontare, ossia che l'esser buoni, credere nei propri piccoli sogni, praticare l'umiltà al posto dell'arroganza alla fine potrà premiarti.
Nella nostra vita di biglietti d'oro ce ne capitano pochissimi.
E Charlie non ci insegna che quel biglietto d'oro finisce nelle mani di chi se lo merita.
Perchè non è importante il fatto che Charlie con solo tre barrette di cioccolato abbia trovato il biglietto.
No, quella è fortuna, quello è caso, quello, forse, è destino.
La forza di Charlie non è aver trovato il biglietto d'oro ma averne riconosciuto l'immenso valore.

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