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Recensione "La Figura di Cera" di Riccardo D'Anna

Creato il 15 aprile 2011 da Alessandraz @RedazioneDiario
Cari lettori e lettrici,
oggi sono qui per parlarvi di un romanzo davvero interessante edito dalla Gargoyle Books, La figura di cera. Autore? Un talentuoso saggista italiano di nome Riccardo D'Anna che ha scritto un bellissimo sequel per una delle vampire stories più amate: Il morso sul collo di Simon Raven. La figura di cera prende l'avvio dal punto in cui termina il romanzo di Raven. La squadra di cacciatori di vampiri proveniente da Cambridge ha riportato in patria i corpi di Richard Fountain e di Penelope Goodrich, entrambi sepolti con un paletto nel cuore.
Ma strani avvenimenti si succedono e ben presto Anthony Seymour, Piers Clarence e l'ispettore Tyrrel son costretti a indagare, finendo per confrontarsi nuovamente con l'orrore...

Trama. Londra 1958. Una serie di misteriosi suicidi preludono alla riapertura di un caso risolto forse solo in apparenza, denso di preoccupanti e inaspettati sviluppi.
La scomparsa dalla tomba di una marchesa caduta in disgrazia, da poco defunta fra le mura di un appartamento londinese – donna dall’indiscutibile fascino, musa ispiratrice di D’Annunzio, appassionata di occultismo e interprete dei brillanti riti della belle époque – muove i protagonisti, in una corsa contro il tempo, alla ricerca del suo calco di cera da cui ella avrebbe potuto riattingere vita.Dopo un incontro a Venezia con Peggy Guggenheim, i nostri eroi si vedranno costretti a recarsi a Berlino, in una citta' che mostra ancora le ferite della guerra e dove sopravvivono gli ultimi scampoli di quelle societa' segrete che furono legate ai presupposti oscuri e alle origini magiche del nazismo.Non solo, quindi, un semplice romanzo di genere, ma un racconto che coniuga atmosfere noir e sfondi storici, personaggi reali e derive fantastiche.

Concepito quale omaggio al Morso sul collo di Simon Raven (Gargoyle 2009), La figura di cera e' in realta' una sorta di obolo sentimentale che l’autore versa nei confronti dell’horror classico, che riaffiora timidamente non tanto e non solo in chiave letteraria: dai film della Universal a quelli della Hammer, da Vincent Price e Lon Chaney junior a Basil Rathbone e Nigel Bruce, indimenticati interpreti della coppia Holmes-Watson.


RECENSIONEA mio avviso, la figura di cera rappresenta la sintesi felice tra diversi generi letterari. Vi è l'horror, vi sono sfumature noir, un bel po' di giallo e di mystery, oltre che una fantastica rielaborazione storica.
Voce narrante resta sempre quella di Anthony Seymour, il brillante giornalista che viene coinvolto in una strana, misteriosa inchiesta da parte del commissario Tyrrel, insospettito da una serie di suicidi anomali che si verificano a Londra nell'inverno del 1958. Tutti gli indizi riportano a una marchesa di origine italiana, Lucrezia d'Ateleta, appassionata di occultismo, amante di D'Annunzio e ossessionata dalla propria bellezza e dalla fama al punto di aver fatto realizzare una statua di cera a grandezza naturale, con propri elementi biologici. 
Alla vicenda, già di per se inquietante, si aggiunge la consapevolezza dei protagonisti di non aver più accanto Richard che era stato per loro un caro amico e la certezza che l'orrore esiste e che è assai più vicino e tangibile di quanto si possa immaginare. Lucrezia D'Ateleta muore e viene sepolta; ma, quasi in simultaneo, iniziano i suicidi di giovani donne e di uomini, apparentemente senza motivo. Solo l'acume di Tyrrel porta all'idea che in realtà la donna non sia davvero morta e, attraverso una riesumazione molto british (nebbia, notte e freddo) Tyrrel e Anthony appurano che nella tomba si trova solo il corpo di un cagnolino della marchesa. 
A quel punto si innesca una frenetica caccia alla statua, un simulacro in grado di evocare e tenere in vita la donna che , ormai, si è trasformata in vampiro e si nutre del terrore e del sangue per sostentare la propria esistenza. Anthony, Tyrrel e Piers si recano prima a Venezia, dove conoscono Peggy Guggheneimh, e successivamente a Berlino, divisa in blocchi  tra le potenze vincitrici del conflitto mondiale. In questa città si rendono conto che le suggestioni oscure e le idee di occultisti che avevano ispirato le deliranti ideologie del Terzo Reich sono ancora vive, e che il simulacro della Marchesa è forse passato per le mani di Hitler, ossessionato dall'immortalità. Nel frattempo a Londra si susseguonoi suicidi, giungendo vicinissimo a Anthony: Jean Mattern, uno dei suoi collaboratori, viene trovato morto (e dissanguato). E' a questo punto che la vicenda precipita: il simulacro della D'Ateleta deve trovarsi vicino alla donna, ormai vampira, e dev'essere fermata prima che faccia altre vittime innocenti...
D'Anna è perfettamente riuscito a portare a termine un'operazione rischiosa: creare un sequel per un romanzo culto senza sfigurare, anzi. Ci ha regalato un romanzo intenso, avvincente, che si legge come un giallo e che fa rabbrividire il lettore come un vero, buon horror. L'Autore ha avuto una grande, grandissima capacità: ha utilizzato i personaggi di Raven senza stravolgerli, senza piegarli a comportamenti dissonanti rispetto al bellissimo romanzo dell'autore inglese. Immutata è l'atmosfera di puro British mystery, ed è assolutamente coerente con l'originale il modo di presentare la vicenda. Ma, nello stesso tempo, è peculiare la maniera con cui l'autore ha saputo fondere elementi storici, personaggi reali come D'Annunzio e spunti filosofici. Sono assolutamente fantastiche le citazioni inserite all'interno del tessuto narrativo, che in più di un'occasione mi hanno fatto sorridere o riflettere, come nel caso di Look back in Anger.
I personaggi sono delineati in maniera tridimensionale, con un loro background, il proprio bagaglio di tensioni, rimorsi e paure. Fra tutti mi ha colpito Tyrrel: il poliziotto attento, acuto, di poche parole ma con un'umanità, una carica empatica che mi ha riportato alla memoria i grandi detective delle serie televisive d'antan, dall'ispettore Derrick all'ispettore Morse fino al più recente Barnaby.  Poliziotti seri e severi che non demordono e che non si lasciano scoraggiare dalle difficoltà ma che guardano alla miseria umana con compassione dolente. 
Tutte le figure che si muovono nel romanzo sono realistiche, affascinanti nella loro umanità: pensiamo a Piers, donnaiolo, bon vivant e amico fedele che incarna l'archetipo del dandy inglese, o al professor Holmstrom, ruvido al confine della maleducazione, che è un character potente cui sono legati i momenti in cui si assapora un po' di autentico humour inglese. 
Il lettore scivola nella vicenda con grazia, per merito di uno stile narrativo semplice e curatissimo che alterna dialoghi ben costruiti a pause liriche, descritte con toni che sfociano nella poesia  e che mi hanno conquistato, commosso ed emozionato.
Se i morti possono tornare indietro, richiamati dal nostro dolore e dalle nostre preghiere, fino a una linea di confine, ma senza poterla oltrepassare,senza poter comunicare con noi se non attraverso l'incerta sintassi dei sogni. Se davvero riescano ad approssimarsi fino a un margine invisibile, come quando alzi gli occhi e ti sembra, sul principio dell'inverno, di scorgere la linea che si staglia al di sopra dei tetti e che galleggia oltre gli alberi, tra spirali di nuvole. Sono loro che vengono da chissà quale profondità o è il nostro desiderio a spingerli, la nostra paura a guidarli verso una riva rivestiti d'ombra? (...) Da tempo ero persuaso che esistesse una città dei defunti, confusa con quella dei vivi, dove in un tempo illusorio che si sbriciola, rimangono solo la fretta e l'ansia, lo stupore e il rimorso.
Una parola infine sulle descrizioni dei luoghi: le ho trovate, per usare un termine inglese, amazing! Belle e intense. La Londra descritta da D'Anna è onirica e nello stesso tempo spaventosa, sospesa tra le atmosfere di Arthur Conan Doyle e quelle di Montague R. James, e ricorda a più tratti quelle dei noir in bianco e nero degli anni Cinquanta, dove gli uomini indossavano cappello, un soprabito stazzonato e una immancabile sigaretta tra le labbra. Di certo, molto del fascino di questo romanzo si deve alla perfetta ricostruzione delle atmosfere d'epoca: a parte Londra, ho trovato vivide le scene ambientate a Berlino, che viene descritta come una città ancora piegata dalla guerra e già divisa, anche architettonicamente, tra est e ovest o ancora, la bella e ambigua Venezia, con le calli invase dall'umidità e dalla nebbia. 
Per concludere, non posso che raccomandare la lettura di questo piccolo agile volume, con la speranza di poter presto leggere qualcosa di nuovo di questo autore.
L'AUTORE: Riccardo D’Anna e' nato nel 1962 a Roma, dove vive e lavora.
Saggista e scrittore, ha pubblicato Una stagione di fede assoluta (PeQuod, 2006) e Saint-Ex (Avagliano, 2008).

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