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Recensione: La vita davanti a sé di Romain Gary

Creato il 09 aprile 2013 da Girasonia76


Recensione: La vita davanti a sé di Romain Gary

Recensione: La vita davanti a sé di Romain Gary

Trama Il pomeriggio del 3 dicembre del 1980, Romain Gary si recò da Charvet, in place Vendôme a Parigi, e acquistò una vestaglia di seta rossa. Aveva deciso di ammazzarsi con un colpo di pistola alla testa e, per delicatezza verso il prossimo, aveva pensato di indossare una vestaglia di quel colore perché il sangue non si notasse troppo. Nella sua casa di rue du Bac sistemò tutto con cura, gli oggetti personali, la pistola, la vestaglia. Poi prese un biglietto e vi scrisse: «Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove». L'anno prima Jean Seberg, la sua ex moglie, l'attrice americana, l'adolescente triste di Bonjour tristesse, era stata trovata nuda, sbronza e morta dentro una macchina. Aveva 40 anni. Si erano sposati nel 1962, 24 anni lei, il doppio lui. Il colpo di pistola con cui Romain Gary si uccise la notte del 3 dicembre 1980 fece scalpore nella società letteraria parigina, ma non giunse completamente inaspettato. Eroe di guerra, diplomatico, viaggiatore, cineasta, tombeur de femmes , vincitore di un Goncourt, Gary era considerato un sopravvissuto, un romanziere a fine corsa, senza più nulla da dire. Pochi mesi dopo la sua morte, il colpo di scena. Con la pubblicazione postuma di Vie et mort d'Emile Ajar, si seppe che Emile Ajar, il romanziere più promettente degli anni Settanta, il vincitore, cinque anni prima, del Goncourt con La vita davanti a sé, l'inventore di un gergo da banlieu e da emigrazione, il cantore di quella Francia multietnica che cominciava a cambiare il volto di Parigi, altri non era che Romain Gary. A trent'anni di distanza dalla sua prima edizione, la Biblioteca Neri Pozza pubblica questo capolavoro della letteratura francese contemporanea. «Venti anni prima di Pennac e degli scrittori dell'immigrazione araba, ecco la storia di Momo, ragazzino arabo nella banlieu di Belleville, figlio di nessuno, accudito da una vecchia prostituta ebrea, Madame Rosa» (Stenio Solinas). È la storia di un amore materno in un condominio della periferia francese dove non contano i legami di sangue e le tragedie della storia svaniscono davanti alla vita, al semplice desiderio e alla gioia di vivere. Un romanzo toccato dalla grazia, in cui l'esistenza è vista e raccontata con l'innocenza di un bambino, per il quale le puttane sono «gente che si difende con il proprio culo», e «gli incubi sogni quando invecchiano».
Recensione: La vita davanti a sé di Romain Gary L'autore: Romain Gary (pseudonimo di Romain Kacev) nacque nel 1914 in Lituania, figlio naturale di un’attrice, ebrea russa fuggita dalla rivoluzione, e di Ivan Mosjoukine, la più celebre vedette, insieme a Rodolfo Valentino, del cinema muto. A trent’anni, Gary è un eroe di guerra (gli viene conferita la Legion d’honneur), scrive un romanzo, Educazione europea (Neri Pozza 2006), che Sartre giudica il miglior testo sulla resistenza, gli si aprono le porte della diplomazia. Nel 1956, vince il Goncourt con Les racines du ciel. Nel 1960 pubblica uno dei suoi capolavori La promessa dell’alba (Neri Pozza 2006). Nel ’62 sposa Jean Seberg, l’attrice americana di Bonjour tristesse, l’interprete di A bout de souffle. Nel 1975 pubblica, con lo pseudonimo di Emile Ajar (identificato all’inizio come Paul Pavlovitch, nipote reale di Romain Gary), La vita davanti a sé (Neri Pozza 2005) che, nello stesso anno, vince il Prix Goncourt. Il pomeriggio del 3 dicembre 1980, Gary si uccide, nella sua casa di place Vendôme a Parigi. Con un colpo di pistola alla testa.
Recensione
Ho finito di leggere questo romanzo esattamente un mese fa ed è da allora che non faccio altro che andarci a sbattere contro coi ricordi e coi pensieri, senza essere capace di tradurli in parole.
Si affacciano nella mia mente esclamazioni del tipo: Non me l'aspettavo. Un capolavoro. Che genio, Gary. (aggiungeteci pure punti esclamativi in quantità indefinita). O aggettivi che non fanno altro che ripetere: toccante, vero, profondo, emozionante, vivo. Il problema sorge quando si tratta di mettere insieme esclamazioni e aggettivi in periodi che possano rendere giustizia a uno dei migliori romanzi letti negli ultimi anni. Come si fa? Non ho ancora trovato la risposta.
Non posso neanche consigliarvi di dare uno sguardo alla trama per capire cosa ci riserva questo romanzo: sotto la voce trama, in realtà, si nasconde una parte della vita dello scrittore. Scopriremo che la pubblicazione del romanzo è avvenuta sotto falso nome così come il riconoscimento del Premio Goncourt, e ci imbatteremo poi nel terribile suicidio con cui Gary decise di mettere un punto alla sua esistenza.
Alla storia effettiva di Momo, indimenticabile protagonista de La vita davanti a sé, son dedicate un paio di righe del tutto insufficienti a introdurre il lettore in quel che sarà il romanzo. Meglio quindi dedicarsi alla lettura senza perdere troppo tempo a cercare notizie in giro.
L'impatto è inaspettato e incisivo. Momo ci accoglie parlandoci immediatamente del suo sesto piano senza ascensore e della difficoltà di Madame Rosa di salire tutte quelle scale a causa dei suoi chili di troppo. Noi lettori ci ritroviamo disarmati e affascinati di fronte a quel ragazzino che alla prima occhiata potremmo quasi confondere con un ben più familiare scugnizzo napoletano. In realtà Momo è un parigino musulmano, ma nazionalità o credo religioso non lo rendono così diverso da qualsiasi altro bambino cresciuto per strada.
Momo è figlio di una prostituta e di un padre probabilmente ignoto, ai nostri occhi si presenta come orfano allevato da un'ex prostituta che, smesso il lavoro di una vita, ha visto come fonte di guadagno la possibilità di allevare i figli di chi si ritrova ad averne incidentalmente e non può prendersene cura. Le amicizie di Momo sono orfani come lui, travestiti, malviventi, poveracci.
Ha un'età non ben definita, una quotidianità non troppo facile, un futuro inesistente.
Con questa disastrosa carta d'identità, ci si aspetterebbe un Momo già deluso dalla vita e disilluso, un ragazzino triste e incattivito, un piccolo delinquente che sta imparando l'arte dell'arrangiarsi.
E invece Momo entra in scena con la sua spontaneità, la sua ingenuità, la sua dolcezza, la sua grazia e ci disarma. Ci racconta la sua storia senza peli sulla lingua, con il linguaggio di un bambino, la lucidità di un adulto, la saggezza di un anziano. Senza rendersene conto, Momo ci costringe a tirar fuori emozioni e lacrime, ci fa scoppiare in improvvise risate e girare pagine di continui sorrisi, ci colpisce con le sue azioni e le sue parole facendoci sentire orgogliosi di essere suoi lettori.
Momo è la vita stessa: nei suoi alti e bassi, nei suoi momenti di pura gioia e quelli di difficoltà, nella sofferenza e nell'accettazione della realtà, nelle scelte e nelle rinunce. Una vita intera raccontata dalla voce di un bambino che forse bambino non è, che si ritrova improvvisamente nei panni di un adolescente, cresciuto di quattro anni in pochi giorni senza sentire il peso del tempo che gli è stato nascosto. Una vita riscaldata dall'amore di una ex-prostituta, Madame Rosa, sopravvissuta ai campi di concentramento e affezionata a Hitler; illuminata dalla saggezza del signor Hamil - un anziano venditore di tappeti che ha begli occhi che dispensano del bene tutto intorno - che gli insegna a leggere, a fare domande, a cercare la risposta al "Signor Hamil, si può vivere senza amore?"; rassicurata dalla solidarietà di Madame Lola, un ex campione di boxe che ora batte al Bois de Boulogne come travestito - "se tutti fossero stati come lei, il mondo sarebbe terribilmente diverso e ci sarebbero molte meno disgrazie" - ; osservata dall'interesse di una donna che vorrebbe prendersi cura di lui, ma che lavorando in una sala di doppiaggio riesce solo a mostrargli la magia del mandare le scene indietro, la magia di qualcosa cui un bambino orfano e povero non avrebbe mai potuto assistere e quello "era il vero mondo alla rovescia ed era la più bella cosa che ho mai visto nella mia vita schifa (...) avevo le lacrime agli occhi". Attraverso gli occhi e le parole di Momo, anche il lettore più prevenuto vedrà crollare ogni suo pregiudizio e giudizio verso prostitute, travestiti, ebrei o ladri. Momo ce li racconta al di là di quel che fanno o hanno fatto: va dritto al loro cuore, alla loro essenza. Non c'è giusto e sbagliato né male e bene: c'è la vita e chi la vive, senza badare al sesso, all'età, allo stato sociale, al colore della pelle, alla religione. Un romanzo multiculturale che obbliga il lettore a cambiare prospettiva, a rivedere le sue concezioni di normalità, e ad accettare che quel che accade in La vita davanti a sé sia un capolavoro di vita, nonostante tutto.
A tratti sembra di essere in una accogliente e rassicurante favola, a tratti in un romanzo fin troppo realistico. La vita davanti a sé può essere letto a più livelli e racchiudere in ognuno di essi delle grandi verità, accompagnate da intense emozioni.  Un romanzo che non si può ignorare, non si deve mettere da parte. Non  ho altre parole da aggiungere, è stato già difficile per me arrivare fin qui.
Non mi resta che dirvi: fidatevi, leggetelo.



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