RECENSIONE Orbene, accade che tu sia fortemente benestante, figlio di papà, residente a Verona, traboccante di danaro, beltà, forma fisica e intelletto, e ti imbatta in una sorella gemella che non conosci (?), che da un giorno all’altro venga ad albergare nella tua magione avita e si scopra essere una figa paura, le cui membra provocanti sono evidenziate dai leggiadri indumenti della tepida stagione estiva. Poscia, capita che accedere alle sue mutandine griffate diventi il tuo pensiero fisso e così anche quello dei lettori, che pure magari vorrebbero sapere di più del passato dei tuoi genitori, dei tuoi amici, della tua vita a Verona e invece si ritrovano loro malgrado annegati nelle tue seghe mentali, nelle tue gelosie, nella tua progressiva perdita di dignità: alla tua viziata e viziosa sorella, che veste solo Prada e passa tutto il suo dì a spendere e spandere, acquisti ogni cosa che voglia, oltre a sopportarne ogni isteria.
Tuttavia questo desiderio dei lettori resterà tristemente inascoltato, poiché le 360 pagine di “Le affinità alchemiche”, tra un occhio a Shakespeare e un pestone a Brizzi (i genitori appellati “parents”, che fa tanto Jack Frusciante) ci mostrano giusto qualche copula febbrile, valanghe di vestiti firmati descritti minuziosamente, tutti i personaggi secondari privi di qualsivoglia personalità ed evoluzione, qualche (pacato) tentennamento di fronte all'inevitabile incesto, tradimenti, dolori e riavvicinamenti, finale tragico romeogiuliettiano. Un onesto plauso va tributato a come viene affrontata la tematica dell’amour fou, tipicamente adolescenziale nella sua follia e al coraggio profuso nell’adottare uno stile che, quantomeno, non fosse il solito periodo franto "alla Moccia"; tuttavia il periodo ciceroniano di otto righe (quello straripante di subordinate, una dentro l’altra, che tutti abbiamo tradotto al liceo, arrampicandoci sugli specchi) si rivela ridondante, eccessivo, stancante, per di più in un testo vergato da un’adolescente, specie se raffrontato alla povertà contenutistica.La tematica dell'incesto, invece, è affrontata con scarsa convinzione e un capolavoro come "Giardino di cemento" di McEwan, con il suo greve e luminoso bagaglio di contraddizioni, o anche semplicemente il discreto young adult "Proibito" della Suzuma, sono lontani anni luce.
Alcuni estimatori anobiani hanno tacciato di “incomprensione del genio coltortiano, per mancanza di conoscenze del sottotesto culto che soggiace alla scontatezza della storia” i detrattori di questo romanzo, ma si può senza timore ribattere che non è sufficiente un parallelo con il passato, un calco su una storia immortale (che poi tanto calco non è) per costruire un romanzo che funzioni, perché non è certo la conta delle citazioni e delle metafore ardite a indurre il lettore a voltare pagina. In conclusione, pur senza la pretesa di voler buttare il bambino con l’acqua sporca, giacché confido che se la Coltorti lavorerà per snellire il suo fraseggio e arricchire le sue storie potrebbe anche uscirne qualcosa di meritevole, mi duole rilevare che codesto libro cagiona tedio e irritazione, indi per cui finirà a sostenere la gamba del desco della mia magion familiare. E sappiate che, se siete arrivati con fatica alla fine di questa recensione, difficilmente digerirete “Le affinità alchemiche”. L’AUTRICE: Gaia Coltorti, vent'anni, è nata a Jesi e ora vive a Roma dove studia Lingue e letterature straniere. Le affinità alchemiche è il suo primo romanzo, i cui diritti sono già stati venduti in otto Paesi oltre all'Italia.