Recensione “Le Vacche di Stalin” di Sofi Oksanen
Pubblicato da Francesca Rossi Un romanzo duro e crudo sulla violenza dei regimi, sulla rassegnazione e sulla solitudine profonda, quella che parte da lontano, dalle radici dell’identità di una persona. “Le Vacche di Stalin” non è un libro facile da leggere: non c’entra tanto lo stile, quanto la storia drammatica che viene narrata. Di sicuro non si dimenticano facilmente certe situazioni e certe parole, che colpiscono il lettore come fossero stilettate.Titolo: Le Vacche di Stalin Autore: Sofi Oksanen Casa editrice: Guanda Pagine: 484 Prezzo: 19,50 Anno di pubblicazione: 15 marzo 2012 Trama: Un Nord che in realtà è un Occidente, una porta verso la libertà e il benessere: questo, una volta, era il confine tra Estonia e Finlandia. Ben lo sanno Katariina e Anna, madre e figlia. La prima ha rinunciato a successo e ambizioni per seguire oltre frontiera il suo amore finlandese e una volta giunta in quell'agognata terra ha cercato in ogni modo di cancellare qualunque indizio del suo passato estone, ossessionata dal terrore di essere spiata, scoperta e denunciata. La figlia riversa su di sé la medesima ansia di controllo totale e si autoimpone l'obiettivo della perfezione fisica attraverso una dieta folle, in cui a colossali abbuffate di zuccheri seguono lo straziante godimento del vomito e l'affannoso tentativo di eliminare qualsiasi traccia dei propri sforzi. Un regime spietato, una fissazione che la assorbe completamente, che domina la sua vita come un despota assoluto e le impedisce di avere un lavoro, amicizie, relazioni normali. Dall'Estonia in lotta contro l'invasione russa alle deportazioni nei campi siberiani, dal cupo dominio sovietico degli anni Settanta fino al crollo del comunismo e ai nostri giorni, Sofi Oksanen costruisce, frammento dopo frammento, con uno stile crudo ed efficace, due figure femminili uniche e insieme indaga il dramma universale dello sradicamento, di vedersi sottrarre o di non riuscire a trovare la propria identità, la propria lingua, il proprio mondo.
RECENSIONE “Le Vacche di Stalin” è la storia di due donne, madre e figlia, la cui vita è stata condizionata dal regime sovietico. La prima, Katariina, estone, si innamora di un finlandese e per lui abbandona il Paese natio e va a vivere in Finlandia. Da quel momento in poi la sua vita diventa un’eterna lotta per tentare di dissimulare l’origine straniera. Anna, la figlia di Katariina, eredita, suo malgrado, questo tabù, diventandone vittima. Non le è permesso parlare estone, solo finlandese. Sua madre, infatti, non le si rivolge mai nella lingua materna, cosa che in un primo momento lascia indifferente Anna, ma poi la costringe a riflettere sulla condizione sociale e storica nel Paese di Katariina. Non le è permesso neppure vestirsi come una donna estone e, tantomeno, fare riferimento ai viaggi che lei e sua madre intraprendono in Estonia d’estate. Rivelare le proprie origini, infatti, significherebbe tatuarsi il marchio infamante di prostituta agli occhi della società finlandese.
Per questo motivo Katariina impone ad Anna una sorta di “regime quotidiano” che, nelle intenzioni, dovrebbe costringere la giovane a comportarsi da vera finlandese, dimenticando completamente la sua origine mista, come se non ci fosse. Anna, però, non può strappare da sola le radici che la legano all’Estonia. Vorrebbe esternare la sua doppia natura, essere libera di esprimersi in quanto figlia di due culture e due mondi. I continui divieti non fanno che ingigantire la sofferenza di non potersi mostrare per quello che è e, nello stesso tempo, rinsaldare il legame d’orgoglio e affetto verso il Paese materno. Anna è attratta dal modo di vestire e di muoversi delle donne estoni, lo sente parte di se stessa e non può rinnegarlo. Decide, cosi, di reprimere apparentemente l’identità considerata “straniera”, ma dentro di sé è proprio questa la parte più forte. Per esempio, Anna fa credere a sua madre di non ricordare più l’estone quando, in realtà, questa lingua è ancora ben viva nella sua memoria e nel suo cuore.
Tutti questi tabù, la finzione, il tentativo da parte di Katariina di soffocare l’origine estone di sua figlia, portano Anna a rifugiarsi in un mondo tutto suo, dove è lei a decidere come comportarsi, se amare e chi amare, se mangiare o vomitare. La ragazza si ammala di bulimaressia, cioè anoressia e bulimia insieme. In apparenza la malattia non esiste; Anna non ne porta segni visibili e la sua bellezza sboccia come se nulla fosse. Gli eccessi alimentari vengono seguiti da quelli sessuali. La sua personalità si forma passando attraverso un pericoloso e instabile equilibrio comportamentale, che la porta a far del male al proprio corpo, che Anna chiama “Creatore e Signore”. La sua vita di “principessa di Finlandia” è fatta di silenzi, paure, proibizioni ereditate dalla madre e da una determinazione che è solo di facciata.
Nei disturbi alimentari di Anna, nei suoi eccessi, si può vedere la disperazione manifesta di non poter vivere liberamente e di dover soffocare una parte di se stessa. E’ come se la frustrazione derivante da questa situazione trovasse, come unico sbocco, il maltrattamento del corpo. Anna non si rende conto della violenza che usa su se stessa: è convinta che questo sia l’unico modo per essere perfetta e accettata dagli altri. Si sottopone ad un rigido regime alimentare, paradossalmente, per vivere, uscire fuori da un’esistenza che non riesce a controllare pienamente. Da notare il fatto che la parola “regime” torna molte volte e con significati diversi, ma tutti uniti dal filo conduttore dell’oppressione.
“Le Vacche di Stalin” è un romanzo che si svolge su più piani: il primo è la storia di Anna, vicenda principale. Dietro di essa, però, ci sono la storia d’amore tra Katariina ed il finlandese, basato su una conoscenza e un affetto che nascono poco a poco, le vicissitudini affrontate da Sofia e Arnold, i nonni di Anna, ai tempi delle deportazioni in Siberia e delle purghe staliniane. Estonia e Finlandia sono le due nazioni sfondo del libro: simili ma divise dalla barriera del comunismo. E’ interessante notare la netta separazione tra coloro che abitano al di qua e coloro che vivono al di là del confine. Genti vicine eppure lontanissime e considerate non confrontabili.
Il romanzo è profondamente realistico e duro. Lo stile è audace, crudele, tagliente e crudo. Parole aggressive si alternano a parole più dolci e meste, rendendo alla perfezione il linguaggio ed il comportamento adolescenziali, dominati da tinte forti e nette ed incapaci di vedere le sfumature del mondo. Sofi Oksanen affronta con piglio deciso questioni storiche, politiche e sociali di cui ancora, purtroppo, si parla poco e su cui ancora aleggiano ombre mai dissipate. Consiglio questo romanzo che è coraggioso e aspro come solo la vita vera sa essere. Per saperne di più, potete leggere l’intervista con l’autrice a questo link
Estratti dal Libro
“Mi sforzavo di estenuarla, la vergogna, di frustarla fino a farla venire fuori in un rigurgito sanguinolento, in cui galleggiavano pezzi di pane fritto nel burro insieme alla mia vergogna, feti abortiti che spingevo nel cesso insieme alle salsicce e agli acidi della digestione. […] La capacità di crescita del feto era incredibile. Una volta raschiato, tornava a svilupparsi nelle mie viscere, nuovo e tuttavia identico. E io tornavo a esercitare la mia violenza, sbattevo contro gli alberi – avreste detto che ero innamorata! – per abortire quel feto, inciampavo per le scale, mi procuravo lividi con l’anoressia, mi strappavo le budella con la bulimia, per trovare almeno un po’ di requie”."Col grasso non è il caso di fare troppo gli schizzinosi, di fermarsi alle piccole dosi. Quando è festa è festa. Pane, ovviamente, formaggio, del più sostanzioso, confettura d’arance, biscotti d’avena, biscotti al cioccolato, stecche di cioccolato, pizze, schiacciatine al riso, torta all’arancia, brioche alla cannella scongelate, gelato mango e melone... Il forno acceso, il caffè sul fuoco, il burro in tavola, perché si ammorbidisca... il burro ci vuole, burro vero, quando si fa una seduta solo burro... mettere su della musica e staccare il telefono. E via con la crapula. Mi piace cominciare col gelato. L’esperienza mi ha insegnato che non si può attaccare col pane, se sei stata tanti giorni senza mangiare... Dopo un digiuno, impossibile vomitare il pane, anche se ti ficchi tutta la mano in gola. Il gelato è il lubrificante ideale, fa uscire la massa dallo stomaco che è una meraviglia, e dopo tutto va da dio. E poi il gelato va bene anche per le più perfette sedute volanti: un gelato appena vomitato ha lo stesso gusto e lo stesso aroma di un gelato fresco. Poi, dopo, si continua con pane e burro, senza bere, perché bere sul pane crea difficoltà al rigetto, al contrario di quanto si potrebbe immaginare... Tra la la la la... pa dam pam pa pa... stupendo... un due tre pane, un due tre formaggio... le pizze pronte nel forno... e allora pizza e un due tre in bocca e in bocca e in bocca, e via con le brioche nel forno".
Biografia Sofi Oksanen è nata nel 1977 in Finlandia, ma è di origine estone. Le vacche di Stalin, suo romanzo d’esordio, è stato finalista al Runeberg Award, uno dei più prestigiosi premi letterari finlandesi. La purga ha ottenuto i riconoscimenti: Nordic Council Literary Prize, Finlandia Award, Runeberg Award, Prix Femina, The European Book Prize.