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RECENSIONE OCRA ROSSA di Hind Haitham Cari lettori, ...

Creato il 02 maggio 2011 da Alessandraz @RedazioneDiario

RECENSIONE OCRA ROSSA di Hind Haitham

Cari lettori,

questa recensione è dedicata ad un breve racconto della giovanissima scrittrice araba Hind Haitham, Ocra Rossa, titolo originale HARB AL-KASHAB (La guerra della legnaia). In libreria il 2 maggio, è la prima pubblicazione di una nuova casa editrice, la Qulture Edizioni, alla quale siamo lieti di dare il benvenuto. L’ambientazione yemenita e il fatto che l’autrice sia una giovane donna potrebbe superficialmente farci ipotizzare una lettura basata sulla condizione femminile in una cultura diversa dalla nostra, ma il racconto cela ben altro: una storia di vendetta, di faida tra famiglie, non condivisa dal narratore, come tante ce ne potrebbero essere in qualsiasi villaggio e paese, per un pezzo ti terra rossa come il sangue versato per contendersela, e non solo …

Titolo: OCRA ROSSA

Editore: Qulture Edizioni

Pagine: 91

Prezzo: 12

TRAMA

Ci sono ferite che il tempo no può lenire, che continuano a dilatarsi irrimediabilmente.

Ancora bambino, Omar viene allontanato dalla madre e costretto a vivere nascosto ad Aden per sfuggire alla vendetta dei nemici della sua famiglia. Qui si ripromette di dimenticare, ma le voci del suo villaggio e la polvere ocra della sua terra lo rincorrono, nostalgia di un’infanzia strappata e ricordo di un Paese martoriato da violenza e vendette. Omar ha bisogno di raccontare la sua storia.

Un romanzo che sullo sfondo della minaccia estremista racconta il potere dei clan e il pregiudizio dell’orgoglio.

Una storia narrata in prima persona che svela i retroscena di una realtà in ombra che nel silenzio continua a mietere vittime.

RECENSIONE

“In quell’aria rosso ocra la macchina si allontanò e vedemmo la mamma divenire sempre più piccola, fino a scomparire nella notte. Quella fu l’ultima volta che sentii la sua voce così decisa, bellissima, nonostante le catastrofi e le avversità che le avevano segnato la vita, costringendola alla fine ad allontanare i suoi figli da sé”.

Così Omar, il protagonista narratore in prima persona, ragazzo di appena quattordici anni, scopriremo, ci racconta il distacco dalla sua terra e dalla madre a causa di una faida che dura da quaranta anni tra la sua famiglia e quella degli Omar Sàlim dai tempi di suo nonno: la contesa di un appezzamento di terra, di una legnaia che mieterà vittime soprattutto tra i figli ed i nipoti delle due famiglie. Siamo nel primo capitolo del racconto, che terminerà così: “Non sono più tornato in quella terra, ma lei non mi ha mai abbandonato”.

Omar e sua sorella minore Zahra sono gli unici figli sopravvissuti di Salim e Salima ai continui agguati e scontri per una legnaia: non siamo lontani nel tempo, il romanzo è ambientato nello Yemen, ai giorni nostri, ed i due ragazzi vengono mandati ad Aden dalla zia Fatima per sfuggire alla sorte condivisa dagli altri fratelli maschi, quella di essere stati assassinati. Abdallah (il preferito della madre, non perde occasione di sottolineare Omar) viene ucciso mentre esce per festeggiare l’ultimo esame prima della laurea; gli altri, Muhammad, Hasin, Sàlim, tutti uccisi, da adolescenti o poco più, per questo scontro senza fine.

Il racconto di Omar ci porta indietro nel tempo, ancora prima che nascessero lui ed i suoi fratelli: non esiste solo la diatriba tra suo nonno ed Abd al-Qawyy Omar Sàlim, il corrispettivo della famiglia nemica, ma anche le trame ordite dal fratello di suo padre Mansur, che nel corso degli anni ha alimentato la sete di vendetta rimanendo a Sanaa, dietro le quinte, ed istigando Salim (il padre di Omar) ed i suoi propri figli a combattere, cadendo uno alla volta. Proprio in questo viaggio narrativo nel passato, Omar ci racconta che, tredicenne, coinvolto in uno degli scontri, vede morire davanti ai propri occhi un fratello ed un cugino per mano dello stesso Abd al-Quawy. Il ragazzo è nascosto dentro un covone: il nemico di suo nonno lo scopre e fà per ucciderlo, ma lui riesce per primo nell’intento. La morte del capo del clan avverso non fa che acuire rancore e vendetta.

E’ passato un anno, Omar e Zahra sono ad Aden: il ragazzo soffre questa lacerazione, questo distacco forzato dalla sua terra e da sua madre in particolar modo, tanto che ha febbri frequenti ed inspiegabili (psicosomatiche, diremmo); nonostante questo egli si sente profondamente diverso dagli uomini della sua famiglia. Dunque non risponderà mai ai richiami del padre che lo vuole veder tornare per partecipare al massacro. Strana coincidenza è che durante una discussione, Zahra gli fa notare che il suo nome ed il suo cognome corrispondono esattamente al cognome della famiglia nemica: Omar Sàlim. Nel racconto non ci verrà mai svelato l’arcano, ma si potrebbe azzardare che, essendo rimasto l’unico figlio maschio superstite, l’accostamento dei due nomi abbia volute essere un escamotage scaramantico per preservargli la vita. Altra ipotesi: potrebbe trattarsi di un segno del destino, al quale, però scopriremo, neanche lui potrà sfuggire.

I due fratelli proseguono negli studi, gli anni passano e, per un altro scherzo del destino Omar, tendenzialmente schivo e solitario, stringe amicizia con un coetaneo, Mahir: questi non è altri che il nipote di Abd al-Quawyy, l’uomo che lui ha assassinato, il nemico di suo nonno. Senza anticipare troppo della trama, questo è anche un racconto di amicizia e di tolleranza tra due persone completamente diverse, tra due visioni, l’una di pace, l’altra estremistica e soprattutto del rapporto tra due persone che le famiglie volevano predestinate ad odiarsi solo per nascita.

Verso la fine del romanzo Omar ha trentotto anni, non è mai tornato al suo paese neanche per il matrimonio della amata sorella, tornata a vivere vicino ai genitori; lo zio gli ha dato del codardo perché non è tornato per uccidere (e probabilmente per farsi uccidere) per quella terra, che nel frattempo è andata in malora, dato che tutte le giovani braccia che avrebbero potuto prendersene cura sono state abbattute dalla cecità dell’orgoglio dei propri stessi padri e zii. Il padre, il quale non gli ha mai più rivolto la parola vorrebbe obbligarlo a sposarsi: ma Omar, come già fatto con lo zio, si ribella (impensabilmente per la tradizione familiare e culturale) e il padre lo rigetta definitivamente come figlio. Omar, scrive, finalmente si sente libero: è riuscito a tenere testa a chi con ottusa testardaggine non si è mai curato delle proprie famiglie; ma come sempre, quando c’è un taglio netto, e non graduale, le ferite sono dure a rimarginarsi e si convive con sensi di colpa tipici dei rapporti irrisolti. Fino a che passano altri anni e, senza anticipare niente dell’epilogo del racconto, proprio alla fine spunta nuovamente la minaccia dal passato …

Necessario è stato indugiare nella trama perché questo racconto, seppur fortemente ancorato alle radici del Paese che gli fa da cornice, potrebbe svolgersi in qualsiasi altra parte del mondo. E’ la storia di una vendetta, di una faida interminabile tra famiglie, dove si perde di vista l’oggetto del contendere, che non è più quella terra rossa ma l’ottusa volontà di dimostrare chi è il più forte, soprattutto tra uomini. Per questo colpisce il fatto che la giovane autrice vesta i panni di un narratore in prima persona uomo, fin da ragazzo: non siamo di fronte, come premesso, alla storia di una protagonista donna in un Paese diverso dal nostro; neanche le vicende politiche, la questione palestinese e la religione ne sono i principali ingredienti (seppur presenti ed incidenti nella trama). L’attualità di questa narrazione è, paradossalmente radicata nella notte dei tempi: scontri tra famiglie, di certo alimentati da credenze tradizionali su modalità di comportamento basate su generi e ruolo all’interno delle famiglie: modalità che si ripetono in un circolo vizioso nella storia della letteratura (si pensi alla tragica ricaduta generazionale dello scontro perenne tra Capuleti e Montecchi di shakespeariana memoria) e anche - soprattutto - nella vita reale.

Coraggioso, dunque, Omar, che sfugge al ricatto morale, quello di essere definito “codardo” perché non capisce, anzi, rifugge dalla logica perversa di una vendetta sterile come lo diventerà la terra lasciata morire come i suoi fratelli ed i suoi cugini. Coraggiosa intellettualmente Hindi Haitham a creare un racconto che potrebbe svolgersi ovunque, pur mantenendo salde le profonde connotazioni di una terra della quale tanto ancora dobbiamo scoprire. Aperta intellettualmente, come si dovrebbe sempre essere, per la tolleranza che dona ad Omar, per il coraggio che dona a Salima, la quale riesce a tenere testa al marito mettendo, spera, in salvo i due figli rimasti in vita.

Originale, da parte di una giovanissima donna intellettuale come la scrittrice, l’assunzione di un punto di vista maschile fuori dal coro, e la creazione di un personaggio, di un uomo - dato non indifferente - che paga con la sofferenza (e non solo, vedremo alla fine) il suo sradicamento dal proprio Paese e soprattutto la sua voglia di pace e giustizia.

L’autrice.

Hindi Haitham è una delle più giovani scrittrici arabe viventi. Nata nel 1987 ad Aden, è laureata in inglese e attualmente lavora presso lo Yemen Center for Studies and Researches di Sanaa. Incoraggiata dal padre, noto poeta e presidente dell’Unione degli Scrittori yemeniti, ha già pubblicato una raccolta di racconti e due romanzi.


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