Recensione: Per dieci minuti, di Chiara Gamberale
Creato il 08 maggio 2014 da Mik_94
Lo
sapevo. Sapevo che vi avrei parlato presto di un altro romanzo di
Chiara Gamberale. Ma non immaginavo che fosse tanto
presto! In realtà, dopo Quattro
etti d'amore,
ne ho letti uno e mezzo. Per
dieci minuti
e il racconto L'amore quando c'era,
di cui spero di parlarvi a breve, in un post cortissimo. Ad ogni
storia, ho scoperto che mi piace, sempre di più. Con uno stile che
sa rinnovarsi, con tematiche che sono belle perché sono sentite e sempre simili. Abbracciandovi, vi do appuntamento a domani: ospiterò la tappa del
Blog Tour di un'amica! Ps. Se ho commesso qualche "errore di calcolo", ditemi pure! E, tra parentesi, voglio dirvi che gli estratti non sono stati riportati per intero, giusto per motivi di spazio/praticità.
Leggiamo
per noia, per curiosità, per scappare dalla vita che facciamo, per
guardarla in faccia, per sapere, per dimenticare, per addomesticare i
mostri fra la testa e il cuore, per liberarli. Non ci somigliamo per
niente anche se teniamo in mano, amiamo, detestiamo, e se per Natale
regaleremo a chi ci è più caro, lo stesso libro (...) Uguali a noi stessi, con la speranza di affidare a
un'altra storia la nostra. Per perderla, per ritrovarla. Per
rimediare, in qualche modo, all'esistenza.
Titolo:
Per dieci minuti
Autrice:
Chiara Gamberale
Editore:
Feltrinelli
Numero
di pagine: 187
Prezzo:
€ 16,00
Sinossi:
Dieci
minuti al giorno. Tutti i giorni. Per un mese. Dieci minuti per fare
una cosa nuova, mai fatta prima. Dieci minuti fuori dai soliti
schemi. Per smettere di avere paura. E tornare a vivere. Tutto quello
con cui Chiara era abituata a identificare la sua vita non esiste
più. Perché, a volte, capita. Capita che il tuo compagno di sempre
ti abbandoni. Che tu debba lasciare la casa in cui sei cresciuto. Che
il tuo lavoro venga affidato a un altro. Che cosa si fa, allora?
Rudolf Steiner non ha dubbi: si gioca. Chiara non ha niente da
perdere, e ci prova. Per un mese intero, ogni giorno, per almeno
dieci minuti, decide di fare una cosa nuova, mai fatta prima. Lei che
è incapace anche solo di avvicinarsi ai fornelli, cucina dei
pancake, cammina di spalle per la città, balla l'hip-hop, ascolta i
problemi di sua madre, consegna il cellulare a uno sconosciuto. Di
dieci minuti in dieci minuti, arriva così ad accogliere realtà che
non avrebbe mai immaginato e che la porteranno a scelte sorprendenti.
Da cui ricominciare.
La recensione
Sessanta:
i minuti in un'ora. Millequattrocentoquaranta: i minuti in una
giornata. Moltiplicandoli per trentuno, ecco i minuti in un mese, se
la matematica – come si dice - non è un'opinione. Molti. Tanti.
Abbastanza. Be', quello è sicuro. Dieci minuti sono un momento, un
abbaglio, un niente. Li spendiamo al bagno, in fila alla posta, per
raggiungere a piedi il supermercato, aspettando sotto una pensilina
in plexiglass che passi una circolare puntualmente in ritardo.
Rubiamoli. Sottraiamoli alla schiuma da barba e al filo interdentale,
alle bollette da pagare, alle buste della spesa, agli autobus urbani.
Rubiamoli, e regaliamoli a noi stessi. Volersi bene è un attimo.
Volersi bene è Per dieci minuti.
Ho lasciato Chiara Gamberale alla cassa di un mini-market solo
sabato. Tra noi, un weekend e basta. Ho iniziato a leggere l'ultimo
dei suoi romanzi arrivati in libreria di lunedì mattina, di
sfuggita, sul pullman. Non avevo intenzione di prenderlo troppo sul
serio. Forse, l'avrei intervallato con qualcos'altro. A bordo del
pullman ho letto il suo diario di bordo. O almeno ho cominciato.
L'avventura di un mese. Le annotazioni giorno per giorno su un
piccolo esperimento, sulle novità, sugli amori e i disamori, sui
tesori che dieci minuti, seicento seconti, un sesto di ora possono
portare alla nostra porta. E niente. Ho scoperto che la Gamberale,
con poco, sa farmi star bene. Rieccola. Questa volta senza carrelli,
nomi fittizi, false identità. Semplicemente Chiara. Per
dieci minuti è
un autobiografia che non è la sua. Cosa strana. La Chiara del
romanzo fa la scrittrice, ha vissuto a lungo a una melanzana e a una
zucchina di distanza dai suoi genitori, ha amato per metà della sua
vita un ragazzo conosciuto all'ultimo anno di liceo. Quando lui aveva
gli occhi gialli di un gatto, lei le codine di un'adolescente
bambina. Hanno fatto un errore insieme: crescere insieme. Il
trentaseiesimo Natale di Chiara si prospetta solitario e nostalgico,
all'insegna delle tradizioni e dei ricordi - lei, poi, che odia
entrambe le cose. Suo Marito è andato a Dublino per lavoro; poi l'ha
chiamata, per avvisare gentilmente che sarebbe rimasto lì, con
un'irlandese che ama i pancakes e le tenerezze; poi l'ha chiamata
ancora, ma per dire, questa volta, che sarebbe tornato. Da lei? Per
sempre? Il Suo Capo l'ha licenziata; la rubrica che curava per una
rivista le è stata portata via, e dalla vincitrice morale del
Grande Fratello. Il Suo Romanzo – che parla di due donne
diversissime che, al supermercato, si sbirciano la spesa: vi dice
qualcosa? - non procede come dovrebbe procedere. La Sua Vita, come il
Suo Cuore: in cocci dolorosi. Chiara è una giovane donna che fa
abuso di pronomi possessivi, che ha pregiudizi infondati, che non
vede ciò che le sta intorno. Come quella Roma, nella quale si è
trasferita quando l'amore c'era, che non le piace, perché no.
Indifferente, vuota, cinica, piena di piccioni, turisti, occasioni
sprecate e marziani in incognito. Ho letto la sua storia nel parco
che sta dietro l'università. Si parla di prime volte e, per la prima
volta, ci sono andato. Mi spostavo, da una panchina all'altra, come
si spostava il sole. Dieci minuti lì, dieci minuti qui. Un cane mi
ha leccato le mani, una coccinella mi si è poggiata sugli occhiali,
una pioggia di polline mi ha bagnato i capelli. Bella la primavera,
bella quell'oasi tutta verde, bello perfino il primo giorno della
settimana. Quell'idea dei dieci minuti, anche vissuta dall'esterno,
era il rimedio per i miei lunedì. Parlando di cose mai fatte, ho
letto il romanzo in ebook. E sul mio cellulare. Ho passato il
pomeriggio su una panchina, con il cellulare in mano, a sorridere a
tutti e a nessuno. Magari, quel gesto mi dava anche un'aria...
misteriosa?
La gente passava, vedeva quel ragazzo in tuta seduto su
una panchina verde, e sempre magari si domandava il perché di quel
cellulare appiccicato al naso, il perché di quel vago sorriso. Per
chi erano i miei messaggi, per chi erano i miei occhi fissi e
attenti. Battevo sui tasti, in realtà, per memorizzare i passaggi
più belli tra le bozze. Parlavo con una persona mai vista, ma che
stava simpatica a pelle: se l'avessi conosciuta, sarebbe stata tra le
mie persone preferite. Speciale, ti fa sentire. Uno degli ottantanove
invitati alla sua festa di Natale. Una persona migliore a tal punto
da poterle insegnare qualcosa di buono, mentre lei insegna qualcosa
di buono a te, tra smalti dai colori sgargianti, chiacchiere con
mamma, pannolini sporchi, lauree di sconosciuti, visite sperimentali
sul sopravvalutato YouPorn e sul magico ButtaLaPasta.it. Chiara,
anche se ci sono già stato, alla prossima festa che fai, mi
c'inviti, per davvero? Per una nuotata tra personaggi troppo strani per essere
solo fantasia. Per un bagno di sole. La prosa si fa più semplice e
diretta di quella di Quattro etti
d'amore, grazie – bello,
anche con le sue nevrosi, i suoi strilli, i suoi dubbi assilanti.
Resta la voglia di raccontare, ma soprattutto di raccontarsi, e di
allestire una piccola Cappella Sistina di creature fluttuanti,
fatate, ironiche, esilaranti con realismo. “Da quando la mia vita è
vuota, non mi ero accorta che fosse così piena”, scrive Chiara,
facendo un salto dal suo palazzone di timidezza e pacata indifferenza
situato nei pressi dell'inospitale Egoland.
Nel suo salotto, ha
l'arca di Noè: un amico con le pailettes nella voce, che nasconde
boa di piume sotto i completi da bancario e che pronuncia tutto, ma
proprio tutto, al femminile (La Tua Marita, Le Pancakes, Gianpietro
che diventa Zia Piera...); il violinista degli Afterhours il cui
motto solenne, nato da una triste constatazione, è “Nel frigo di
Chiara c'è solo la luce”; il cinese dietro l'angolo, l'estetista,
gli innumerevoli ospiti della sua vecchia rubrica, le piccole
scrittrici in erba conosciute durante le presentazioni nei liceai, i
coinquilini di gioventù; e poi c'è Ato. Un italiano stentato, la
pelle diversa, una famiglia al di là del mare, della guerra, della
povertà. Un figlio mancato, nato già diciottenne, dipendente da
Harry Potter
e The Vampire Diaries,
con cui seguire lezioni di hip-hop e lasciare andare lanterne
voltanti come in Rapunzel,
il cartone che entrambi preferiscono. L'aiuto Babbo Natale di Chiara,
in un ventiquattro dicembre passato con il berretto rosso e la barba
finta, in una metropoli che si scopriva più accogliente e calorosa
ad ogni scampanellio, ad ogni risata, ad ogni Jingle
Bells - con Gianpietro che faceva la diva, Ato che si nascondeva e Chiara che
sperimentava. Di quella follia restano le parole in questo libro e
un'autentica foto in bianco e nero, riportata tra le pagine. Perché
è accaduto davvero. Per dieci
minuti è
una commedia brillante per i romantici cronici: quelli che hanno una
lunga storia d'amore con la loro vita e la loro felicità. Ma è
anche il diario di una professione, di un impegno, di una passione.
Ci sono le idiosincrasie del lettore medio, infatti, che, ogni tanto,
fanno capolino e, dagli angoli di una libreria da cui la protagonista
spia i loro acquisti, parlano in libertà. Una radicale sferzata al nostro
sorriso. La rotazione di quella parentesi che, da triste a allegra,
fa luccicare quei due punti fermi come fossero occhi d'uomo. Lasciamo
entrare il sole. "E
allora mi dico che, se nel mondo ci sono persone che suonano il
violino, cambiano i pannolini, girano video porno amatoriali,
insegnano hip-hop, seminano e leggono Harry Potter, fra sette
miliardi ce ne sarà almeno una che stava aspettando proprio me, nei
dieci minuti in cui io la incontrerò."
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Lea Michele - Cannonball
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