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Recensione | The Affair 1×08 “8”

Creato il 10 dicembre 2014 da Parolepelate

“Pure love cannot sustain in an imperfect world.”

È con una straordinaria interpretazione di Romeo e Giulietta che inizia l’ottavo episodio di questa fantastica serie. A me Shakespeare, o qualsiasi altra cosa, non l’hanno mai spiegato così.

Che sia un riferimento specifico o solo “tematico” non lo so, fatto sta che tutto serve ad avere un’immagine più completa dei nostri personaggi che riprendono la vita di tutti i giorni, con l’estate ampiamente alle spalle e un matrimonio da salvare.

Anche questo episodio è caratterizzato da uno schema leggermente differente. La gran parte dei due racconti non si sovrappone e, anzi, non è neanche chiaro il parallelismo temporale. Fatto sta che gli sceneggiatori sono abili nel tratteggiare, ancora una volta, le differenze fra due mondi completamente distinti: da una parte abbiamo la famiglia medio-borghese, contemporanea ma comunque “classica”, la quale affronta una crisi coniugale cercando di non

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pensarci troppo, invano, e facendosi aiutare da un terapeuta (e, per inciso, c’è una terapeuta di coppia che fa da consulente agli sceneggiatori); dall’altra, c’è la famiglia “allargata”, la grande famiglia, una grande rete di supporto che si sforza di portare il meno possibile rancore.

Lo spettatore è portato a credere a Noah perché noi sappiamo che, malgrado sia un adultero, fondamentalmente è un buono. Abbiamo visto i segni della sua coscienza che lo mangiava vivo. Abbiamo visto il suo pentimento e sappiamo che è reale. Per cui un po’ dispiace vedere che Helen non accetta il regalo, in uno sforzo sovrumano di perdonarlo.

Helen: I thought you were safe.

[…]

Noah: I think I wanted to make a mistake. I’ve never made a single fucking mistake in my whole goddamn life. A person can’t live like that.

Ed è così che Noah va a Montauk. Non ci sorprende che incontri Alison, ma ci sorprende che incontri un suocero completamente opposto alle nostre aspettative. Bruce, più spesso chiamato jackass, è il primo uomo adulto con il quale Noah si confronta riguardo il tradimento. Prima di lui ci sono stati solo Alison, Helen e la terapeuta. In quanto uomo e scrittore di successo, ci offre un punto di vista “alternativo”:

Seems to me this girl might have been your muse, and now that she’s gone, you’re afraid of the page.

Scopriamo un Bruce dal volto più umano e vissuto. Un po’ di rancore malcelato per quella sola candidatura al Pulitzer. Tanto rimpianto per la sua musa del passato. Acciaccato e irriverente, ma sincero. In pratica, ammette di aver preferito un amore confortevole, sicuro, un amore in prospettiva, rispetto ad una passione forse (o forse no) temporanea ma vitale.

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Come ci suggeriscono gli stessi autori in una nota, sia Noah che Alison hanno trascorso gli ultimi quattro mesi cercando di convincersi che la loro storia facesse ormai parte del passato. Ma non appena i loro sguardi si incontrano di nuovo, tutto torna a galla e la tensione emotiva – più che sessuale – è tangibile.

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Qui mi riallaccio al discorso

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della struttura:

questo è uno degli episodi dove le differenze fra i due racconti sono al dir poco abissali. Noah non ricorda della chiacchierata fuori con Alison, bensì solo di averla accompagnata in ospedale dalla nonna. Noi sappiamo, guardando la parte di Alison, che a questo punto la nonna ha già avuto un infarto  – qui che le linee temporali si fanno confuse – e non vediamo Athena the bitch in ospedale con lei nel racconto di Noah. Un dettaglio non da poco.

Diverso è l’atteggiamento dei due, davanti all’ospedale, nei racconti: Noah ricorda di aver declinato l’invito ad entrare di Alison; lei ricorda l’esatto opposto.

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I differenti ricordi delle vicende in ospedale mettono in luce come la nostra tendenza a ricordare eventi che hanno un significato rilevante per noi stessi: Noah ricorda di aver assistito, in una scena bellissima, alla morte della nonna. Alison, invece, ricorda del conforto di Noah poco prima della morte della donna. Ricorda la delicatezza con cui Noah le ricorda che sua nonna non è il suo bambino.

I know this pain… Feels familiar. But it’s different. She’s not a child.

Qui capiamo ancora meglio perché Noah mente quando dice che il tradimento non ha niente a che fare con la personalità di Alison, perché in un modo o nell’altro, lei lo mette in contatto con la parte più celata e sofferente di sé. Accanto a lei si sente uomo, non maschio, non padre, ma uomo amante, uomo debole, uomo che conosce il lutto.

Ma, soprattutto, lei ricorda quell’I love you detto dopo la morte della nonna. Sappiamo che, in Inglese, I love you può voler dire ti amo come anche ti voglio bene. E mai come in questo caso l’ambiguità dell’espressione gioca a favore della scena.

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Ho apprezzato molto il modo in cui gli autori hanno toccato un altro tema molto forte, quello dell’eutanasia. Questo telefilm parte da una base di grande realismo, a partire dalle dinamiche famigliari per finire, appunto, con le scelte difficili che tutti noi potremmo dover affrontare. Ed è questo che viene messo in luce qui: non se sia giusto o no sul piano etico, ma se sia umanamente sopportabile sul piano di realtà.

Alison e Cole stanno cercando di avere un bambino. Sappiamo per certo che Cole ne è convinto, mentre Alison è come sempre impenetrabile. Una madre non può davvero sopravvivere alla morte di suo figlio, per quanto ci provi. Ci sarà sempre un ricordo, una scatola di giochi, a far pesare la mancanza.

Ora, parliamo dei flash forward. L’indagine si fa sempre più interessante! Il detective più tenace della storia scopre della prenotazione al locale The End. Ora, se ricordo bene è il locale dove Noah e Max, l’avvocato, andarono una volta insieme (episodio 6). La prenotazione a nome di Solloway, però, potrebbe riferirsi ad un altro membro della famiglia, ad esempio Whitney.

Teoria (non mia, perché non sono capace di tali contorsioni mentali): Whitney non vomita perché bulimica, ma

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perché incinta di Scotty. Ricordiamo che all’inizio, Whitney e Scott flirtano appena si vedono. C’è chi pensa che la reazione di Whitney alla domanda delicatissima della madre possa essere spiegata così: o lei è “fiera” di essere bulimica oppure sa che la madre è proprio fuori strada. Un altro elemento che collega Scott al locale è la scena, in questo episodio, della cena di famiglia, durante la quale Scotty afferma di voler andare ad un locale in città. Ed ecco perché non sono certa che il Solloway della prenotazione sia Noah. In ogni caso, la gravidanza sarebbe un buon movente per l’omicidio di Lockhart da parte di Noah, ipotesi che avevo azzardato qualche puntata fa.

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Che l’omicidio di Scott nasconda intrighi famigliari è ovvio: i Lockhart sono spacciatori; c’è la disputa con Oscar – che gli autori hanno messo da parte, per ora – e ora c’è la teoria che collega i Lockhart e i Solloway. Il detective ha capito che l’omicida si nasconde tra i conoscenti del ragazzo, come si vede dal suo sguardo indagatore al funerale.

E poi c’è il Noah del futuro, l’autore di Discent, un romanzo best seller di grande successo e chiaramente ispirato alle vicende di Montauk – altra cosa chiara allo scaltro detective. La successione temporale degli eventi non è ancora chiara: il futuro in cui

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muore Scott e Noah ha successo sembra ancora piuttosto lontano, visto che in quel futuro Alison ha un bambino che ancora non si prospetta all’orizzonte. Non so come decideranno di costruire il finale, ma sono quasi certa che nella seconda stagione ci verranno chiariti più elementi. Mi aspetto un cliffhanger di proporzioni bibliche.

Vi lascio al promo del prossimo episodio, il nono e penultimo della serie. Un promo davvero elettrizzante: Alison che vuole scappare, ma Oscar madonna santa ammazzatelo glielo impedisce; una lite furibonda con Helen; Alison e Noah di nuovo insieme. Non sto più nella pelle.

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