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[Recensione] Tra carte e scartoffie di Luciano Vandelli

Creato il 08 maggio 2013 da Queenseptienna @queenseptienna

[Recensione] Tra carte e scartoffie di Luciano VandelliTitolo: Tra carte e scartoffie. Apologia letteraria del pubblico impiegato
Autore: Luciano Vandelli
Editore: Il Mulino
ISBN: 9788861596566
Anno: 2012
Prefazione di : Anna Maria Cancellieri
Lingua: italiana
Numero pagine: 304
Prezzo: € 22,00
Genere: saggistica
Voto: [Recensione] Tra carte e scartoffie di Luciano Vandelli

Contenuto: Zelanti o lavativi, capaci o perdigiorno, molti giganti della letteratura – da Gogol’ a Stendhal, da Svevo a Dickens – hanno indossato le “mezze maniche” del pubblico impiegato, vivendo la quotidianità di quel mondo fatto di mediocrità e routine, ma traendone idee, personaggi, ambienti che hanno ispirato grandi capolavori. Queste pagine ci restituiscono le vicende, ora tristi ora divertenti, spesso surreali, di scrittori e di personaggi immaginari accomunati dal medesimo destino impiegatizio, seguendo le tracce del rapporto tra letteratura e burocrazia in luoghi, culture, epoche, generi assai distanti: dalla Francia alla Russia, dalla Mitteleuropa alla letteratura anglosassone, dai nostri Travet e Policarpo sino alla spy-story e alla fantascienza. E svelando anche legami inconsueti, come quelli tra Balzac e Marx, tra Kafka e Weber o, ancora, tra Tolkien, Asimov e i politologi.

Recensione: Sembra vi sia un rapporto molto stretto tra il mondo letterario e l’universo burocratico. In questo saggio scopriamo che esiste persino un settore di studi, il Law and Literature, il quale esamina le relazioni che vi sono tra diritto e letteratura e dove emergono la filosofia del diritto, il diritto civile, il diritto penale e processuale.

Il romanzo moderno inizia con l’emergere della classe borghese e l’affossamento dell’ancien régime (vedi Rivoluzione Francese). Indicativamente ciò avviene con Napoleone, nel 1800, quando si passa dall’acquisto venale delle cariche al pubblico concorso. Napoleone stesso firmò la legge istitutiva delle prefetture. Di fatto la rivoluzione borghese ha prodotto il diritto amministrativo, la burocrazia e il romanzo moderno.

Non sono pochi gli scrittori che per vivere si sono impiegati nella pubblica amministrazione. La letteratura difficilmente può considerarsi una professione remunerativa, da essa spesso giunge gratificazione, ma nulla che consenta di sbarcare il lunario. Emergono da qui problemi legati alla compatibilità tra il lavoro d’ufficio e la scrittura: c’è chi approfitta di tempi morti per scrivere qualche verso, o chi sottrae ore al sonno, chi giunge a minare la propria salute in una lotta senza quartiere, per esempio Kafka che dorme qualche ora il pomeriggio per avere la notte tutta per sé:

In ufficio adempio ai miei obblighi esterni, non a quelli interni, e ogni obbligazione interna non eseguita si converte in una disdetta che ormai non si separa da me.

Per altri versi le due dimensioni sono tutt’altro che inconciliabili, appare sottile la differenza tra scrivere romanzi e dedicarsi a pratiche amministrative. Chi ha avuto la possibilità di dimettersi dall’ufficio per dedicarsi alla scrittura a tempo pieno, ha perso qualche volta la vena artistica:

 Il lamentarsi del lavoro d’ufficio quando c’è, e il rimpiangerlo quando non c’è sembra, anzi, un atteggiamento ricorrente tra gli scrittori impiegati.

A parer mio costituiscono attività simbiotiche che consentono una sorta di equilibrio tra la parte razionale e metodica di sé (i classici piedi per terra) e la creativa (la testa tra le nuvole): sono gambe con le quali si cammina, binari sui quali scorrere senza deragliare.

Certo vi sono scrittori-impiegati laboriosi e zelanti (Kafka per esempio) e veri e propri lavativi. Si racconta che Gogol’ si recasse in ufficio una volta al mese a ritirare lo stipendio, che Stendhal avesse un’idea così alta del suo mestiere che non lo svolgeva, ritenendosi  superiore alle sue funzioni.

Non mancano importanti romanzi in cui il pubblico impiego riassuma un intero universo. A parte Il processo e Il Castello di Kafka sono da ricordare Gabriel Garcia Marquez – Nessuno scrive al colonnello; Robert Musil – L’uomo senza qualità (se non altro perché parla della Kakania, esprimendo perfettamente l’idea della farraginosa macchina amministrativa dell’Impero Asburgico); Joseph Roth - La Cripta dei Cappuccini, o La Marcia di Radetzky…

Attraverso la letteratura possiamo ricostruire, volendo, la storia del diritto amministrativo perché vi si trova spesso traccia di leggi, provvedimenti, riforme:

In effetti nei romanzi e nei racconti si riflettono tutti i grandi passaggi della storia dell’amministrazione: la nascita o la trasformazione di regole e di istituti, le riforme fondamentali, l’affermarsi di corpi amministrativi fondati su rigide gerarchie (…)

Si è in grado di costruire un vero e proprio ritratto della pubblica amministrazione, di osservare quanto è cambiato e, soprattutto, è rimasto immutato. Nella prima metà del XIX secolo già si parlava di leggi taglia enti inutili, di decentramento, riduzione delle imposte, welfare, accorpamento di ministeri, privatizzazioni, liberalizzazioni, di leggi di semplificazione.

A proposito di queste ultime, nel saggio si ricordano le Leggi Bassanini, varate tra i 1997 e il 1999. Le studiavo man mano che uscivano, un po’ perché materia d’esame, un po’ per la preparazione di concorsi pubblici. Che dire? Ne accenno perché Andrea Camilleri vi ha dedicato un racconto illuminante, La rivolta dei topi d’ufficio.

Altra cosa che scopriamo è che non c’è genere che non sia invischiato in qualche modo con la pubblica amministrazione: dal fantasy alla fantascienza e alla spy story.

Nel caso del Signore degli Anelli di Tolkien, per esempio, lo scontro tra Sauron e Saruman è volto a creare un sistema accentrato (nella Terra di Mezzo), laddove la Compagnia dell’Anello propenderebbe verso un’organizzazione basata sul decentramento amministrativo e le autonomie locali. Nel caso di Asimov, nel Ciclo delle fondazioni, si parla di  un pianeta capitale con 40 miliardi di abitanti, tutti pubblici impiegati stipati nei propri uffici e dediti alle loro pratiche amministrative. Un doveroso cenno merita l’universo distopico di Orwell e del Nuovo Dizionario della Neolingua (1984).

Insomma: a lettura conclusa troviamo conferma di ciò che sapevamo. Non c’è aspetto della nostra esistenza che non venga registrato in un fascicolo, che non sia archiviato in una cartella, che non diventi pratica amministrativa. La morte (si pensi solo a Tolstoj – La morte di Ivan Il’ic), come la nascita, è una pratica amministrativa. La concessione del telefono (romanzo di Camilleri) è una pratica amministrativa. Il processo di Kafka è una procedura: si tratta di accertare la responsabilità penale di Joseph K. Nel Castello pure: si tratta di perfezionare l’assunzione dell’agrimensore K.

La letteratura forse è una delle poche cose che dia la parvenza di osservare la pubblica amministrazione dall’esterno, se non dall’alto. Almeno fintanto che non si pretenda di pubblicare un libro, aprire una casa editrice, pagare o farsi pagare i diritti d’autore.


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