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[Recensione] Un marziano in Italia. Vita di Ennio Flaiano di Pascal Schembri

Creato il 24 febbraio 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

[Recensione] Un marziano in Italia. Vita di Ennio Flaiano di Pascal SchembriTitolo: Un marziano in Italia. Vita di Ennio Flaiano
Autore: Pascal Schembri
Editore: Edizioni Anordest
ISBN:978-88-9674422-8
Numero Pagine: 223
Prezzo: € 15,00
Voto: [Recensione] Un marziano in Italia. Vita di Ennio Flaiano di Pascal Schembri

Contenuto: Se la Gran Bretagna ha avuto il suo Oscar Wilde e l’America i suoi Mark Twain e Woody Allen, noi abbiamo avuto Ennio Flaiano (1910 – 1972), giornalista, scrittore e sceneggiatore dei film di Fellini. Il volume, uscito in occasione del centenario della nascita, è la storia di un uomo che ha attraversato due conflitti mondiali uscendone nella maturità.
Ed ecco una prima e cruciale domanda: come fare a essere un giornalista in un clima in cui il pensiero è dettato dall’alto e la dottrina si insinua come propaganda di ogni attività intellettuale? Da che parte sta Flaiano?
Il suo è un libero pensare: ognuno vuole la sua versione della libertà, che consiste nel sopprimere quella dell’altro, come a dire in Italia i fascisti si dividono in due categorie, i fascisti e gli antifascisti.


Il libero pensatore è equidistante, ma non a priori. Sono l’età e l’esperienza a permettere di giudicare la realtà per quello che è, di toccare con mano la sua assurdità, fino a poterla fotografare in aforismi o apoftegmi che dir si voglia (che sono sentenze, risposte in sé definitive, ci chiarisce Wikipedia).
Scrittore di un romanzo  commissionato da Longanesi per il premio Strega, effettivamente vinto (Tempo di uccidere, 1947), capisce al volo la realtà delle cose:

Sono la velocità del consumo, l’incremento numerico dei prodotti immessi nel mercato, l’enorme offerta culturale quotidiana a rendere impossibile l’attento esame di ciò che viene pubblicato (…) La notorietà, la fama, il successo a questo servono, a riempire il vuoto lasciato al silenzio dell’anima.

Presto l’equidistanza di cui Flaiano è alla ricerca si fa lontananza, diventa estraneità. Come un outsider si pone all’esterno del mondo che lo circonda per osservarlo meglio, nella perenne ricerca di un punto fermo che non sia la realtà stessa, ma un metro nuovo: quello del suo giudizio.
Sono l’outsider, l’estraneo (perché no un marziano?) a giudicare con sguardo alieno ciò che vedono per la prima volta, senza esserne irretiti.
Illuminante il capitolo Frasario essenziale che contiene uno scorcio degli apoftegmi più incalzanti e dirompenti di questa veduta dall’esterno, di questo sguardo alieno:
“I nomi collettivi servono a far confusione: popolo, pubblico… Un bel giorno ti accorgi che siamo noi. Invece credevi che fossero gli altri.”
“A causa del cattivo tempo la Rivoluzione è stata rinviata a data da destinarsi”.
“Diavolo, vado bene qui per l’inferno? Sì, sempre storto.”

L’aforisma dissacra, demistifica la realtà in un modo particolare: cava i paraocchi a chi vi è assuefatto, il frammento che resta è tuttavia qualcosa che ricompone. L’ordine non c’è, è solo presupposto. Ciò che governa il tutto è il caos e rendersi conto di ciò è liberatorio, come testimonia il felliniano 8 ½: un caos fatto di sogni, di passioni, evocati nel ricordo.
Cosa c’è dietro i sogni, le passioni di un marziano se non il desiderio di divenire parte della realtà osservata, di non essere un alieno proveniente da un altrove? Quella del Flaiano giornalista e sceneggiatore è una forma di sottile intelligenza, quella di non astrarsi completamente dall’indole generale che sta delineando, osservando e studiando. Si trova egli stesso sospeso sopra un ponte immaginario che collega cielo e terra. Come avrebbe potuto altrimenti conoscere così a fondo l’indole che si specchia nel suo stesso essere?
Flaiano detesta la capitale e odia adorarla (Oh capitale, mia capitale). La stigmatizza parlandone male. Il forestiero capisce di non poter più essere tale e per questo paga un prezzo salato: il disincanto, la lontananza perpetua, ormai vinto da Roma, dalla grazia della sua indecenza. E’ una prigionia, quella di stare ai margini, che non consente di tornare e che ha il sapore di esilio perpetuo, di un nuovo paradosso.
Sotto questa prospettiva non ridiamo più del Marziano che parla romanesco, che conosce Roma come le sue tasche. Rassomiglia troppo allo scrittore Flaiano (Abruzzese di Pescara trapiantato a Roma) che si conforma al mondo cui è estraneo o, meglio, al quale non può più esserlo abitandolo. Lo dimostra la vittoria della prima edizione del  premio Strega del 1947 con il romanzo Il tempo di uccidere.
A conferma di questo ritratto scopriamo il Flaiano sceneggiatore de La dolce Vita, I Vitelloni, Le notti di Cabiria, Sulla Strada.
Ne La dolce vita (1960) vi sono momenti che sottolineano una difficoltà di comunicazione tra cielo e terra, tra divino e umano. Nell’abisso che li separa manca un ponte. Senza di questo la voragine è destinata ad allargarsi, fino a quando nessun messaggio potrà più essere recapitato a chi sta, ancora, nell’altra parte. Ciò che rimane è un vuoto esistenziale diffuso, cessa la speranza di qualsiasi redenzione. E’ qui che si svela il Flaiano più amaro e disperato, soprattutto nel film Il bidone di Fellini (del 1955).
Il cinema di Fellini attua un complotto mai sopito, una minaccia reale quanto efficace: Vogliono farci pensare? Vogliono metterci paura? Sì, se questo significa ricordare (Amarcord, 1973).
Il ricordo vince sul forestiero, vince sul Marziano (cos’hanno mai da ricordare il forestiero o il Marziano di una realtà non vissuta?), vince su di loro la verità che si nasconde dietro il paradosso: questa volta non ci armiamo di aforismi ma di scene, di immagini di vita vera racchiuse in un film (che potrebbe essere il nostro). E’ il paradosso che svela l’ipocrisia,  ma anche l’identità più autentica.
Lo scopriamo quando ridiamo a una battuta, ad esempio questa: Sei bugiardo? Sì.
Anche un no sta bene, in fondo dice la stessa cosa, non si avverte la differenza. Sia il sì che il no ci somigliano, che si è tutti in bilico tra una e l’altra sponda, tra il divino e l’umano, il cielo e la terra. Sopra lo stesso ponte.


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