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Recensione “Un uso qualunque di te” di Sara Rattaro

Creato il 08 maggio 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Simona Postiglione UNA STORIA CHE ESPLODE NELLA TESTA E NEL CUORE. UN’EMOZIONANTE CONFESSIONE FEMMINILE COSI’ AUTENTICA DA LACERARE IL CUORE.
Cari lettori, 
cosa succede quando una donna molto complicata decide di costruire tutta la sua vita su una grande delusione? Lo racconta Sara Rattaro nel romanzo Un uso qualunque di te, pubblicato il 14 marzo scorso dalla Giunti Editore. Gli esiti di una scelta come questa sono difficili da spiegare e da far comprendere, spesso anche a se stessi. E’ di Viola che vi parlerò oggi, di lei, di Carlo e di Luce: una storia d’amore difficile che, come l’autrice si augurava, è effettivamente esplosa con grandissima forza ed emozione nella testa e nel cuore. 


Recensione “Un uso qualunque di te” di Sara Rattaro Titolo: Un uso qualunque di te
Autore: Sara Rattaro
Editore: Giunti
Collana: A (adulti)
Pagine: 208
Prezzo: 12,00 Euro
Genere: Narrativa 
Trama: È quasi l’alba di un giorno di primavera e Viola, madre e moglie inquieta e distratta, riceve una telefonata. È il marito che le dice di correre subito in ospedale. Ma Viola non è nel suo letto. Comincia a rivestirsi in fretta e, tra un reggicalze che non si chiude e le décolleté lasciate chissà dove, cerca di richiamare Carlo per sapere in quale ospedale andare e che cosa sia successo. E così sullo scolorare della notte, mentre i semafori si fanno sempre meno luminosi e i contorni delle strade diventano più netti, Viola arriva, dove avrebbe dovuto essere da ore. Quella che ci racconta senza prendere mai fiato è una vita fatta di menzogne, passione, tradimenti, amore, sensi di colpa e rimpianti. Ma adesso non è possibile mentire, il terrore e la verità la aspettano in quella stanza d’ospedale dove le sue bugie non la potranno più aiutare.
RECENSIONE Quello che ho letto è un romanzo coinvolgente, scritto con uno stile narrativo molto identificativo che pone in evidenza l’intensità emotiva dell’autrice. Un uso qualunque di te non è il primo romanzo di Sara Rattaro: la scrittrice genovese ha già pubblicato Sulla sedia sbagliata (Morellini Editore, 2010) e, molto probabilmente, sarà possibile ritrovare tra quelle pagine la stessa profondità e capacità di fotografare le emozioni dei personaggi. Sara Rattaro dà loro voce senza mai perdere di vista il ruolo che occupano nella storia, ne rispetta il dolore con estrema delicatezza e mostra tra le righe la complessità del sentire umano, lasciando che il lettore si cali empaticamente nella stessa complessità.
Quale sensazione si prova a essere attraversati da una lama? Ci si può osservare con distacco mentre si sanguina perché qualcosa ci ha lacerato la carne? 
Siamo solo alla seconda pagina del romanzo e già Viola si mostra in tutta la sua intensità. E’ quasi sempre lei a raccontare, a descrivere la sua vita dal momento in cui riceve la chiamata di Carlo, attraverso l’alternarsi di flash back tesi a chiarire le dinamiche che l’hanno portata lì. La scelta di usare la prima persona accresce il senso d’identificazione da parte del lettore. Sara Rattaro, sotto questo aspetto, dimostra di essere particolarmente dotata perché, dal mio punto di vista, l’empatia è un dono concesso a pochi. Il racconto si sviluppa attraverso il susseguirsi di periodi brevi, frasi dirette e incisive che, anche grazie all’uso sapiente di molti aggettivi e paragoni, rendono incalzante il ritmo della lettura.
La trama è semplice, se si pensa allo spaccato comune di società che racconta: una coppia apparentemente serena, con una figlia; lei che tradisce ripetutamente lui, lui che finge di non sapere perché la ama ma, soprattutto, per amore della loro figlia, che non vuole privare del nucleo familiare. Un giorno qualsiasi, un evento improvviso sconvolge gli equilibri della famiglia, costringendo i protagonisti a uscire dall’angolo in cui si erano volutamente nascosti, per affrontare verità scomode e dolorose. Protagonisti credibili, schiacciati dalla tragedia, la stessa che può capitare di vivere a chiunque, un giorno qualsiasi della sua vita. Viola e Carlo sono tremendamente soli nel loro modo di amare l’altro: Luce è il punto d’incontro, il filo conduttore delle loro esistenze. 


Un racconto, quello dell’autrice, che coinvolge, fa riflettere sulle motivazioni nascoste che guidano le scelte dell’animo umano e commuove sino alle lacrime, senza cadere però nel sentimentalismo spiccio. Una trama legata alla normalità della vita reale, che si dipana e prende vita sotto gli occhi del lettore lasciando il segno, grazie ad una scrittura limpida e precisa. Temi importanti come quello della famiglia, dell’amore coniugale e di quello per i figli, del tradimento e dell’amicizia, sono trattati con particolare sensibilità e leggerezza; un lettore attento non potrà non riconoscere tra le righe le emozioni profonde dei protagonisti e l’importanza che le parole non pronunciate assumono nella vita di entrambi.
La città mi dorme sopra. Sopra di me e al mio viaggio, al senso di colpa e alla paura che mi si spalma lentamente sulla pelle. Dondolo. Se mi guardi non si vede ma io dondolo. Mi dondolano dentro le ossa, il sangue, la linfa e la maggior parte delle cellule. Ogni parte del mio corpo è impilata sull’altra come un castello di carte. Quanto tempo riuscirò a rimanere in piedi?
Ho amato Viola da subito e, contrariamente a quanto potrebbe accadere, la figura di Carlo, con la sua bontà e la sua sofferenza, è passata quasi in secondo piano. Viola è una donna complicata, che vive in perenne conflitto con se stessa: consapevolmente sola, non ha saputo, forse voluto, lasciarsi alle spalle la delusione per il tradimento che, lei per prima, ha subito da parte di un altro uomo. Ha sempre avuto la convinzione che Carlo l’amasse più della sua vita, gliel’ha dimostrato ripetutamente rispettando i suoi silenzi, sopportando le sue assenze, soprassedendo nelle diatribe legate al rapporto difficile che ha sempre avuto con la suocera. E non l’ha odiata quando l’odio sarebbe stato la conseguenza naturale per le sue bugie. Carlo è un uomo buono e un padre esemplare; un uomo che, in modo del tutto naturale, sa cosa significa amare e lo dimostra ogni giorno concedendosi, aprendosi, raccontandosi. Nella sua umanità, nella semplicità del suo modo di sentire la vita, nonostante tutto, comprende che non esiste un modo giusto per amare qualcuno soprattutto se questo ti dà, comunque, più di quanto ti toglie. Carlo è la parte migliore di ognuno di noi. In contrapposizione, Viola è la parte peggiore.


La nostra protagonista non si ama abbastanza, la sua autostima è insufficiente e non colma il senso d’inadeguatezza che prova nei confronti della vita. La conseguenza più evidente, oltre alla mancanza di rispetto verso se stessa, è la sua incapacità di lasciarsi andare ad amare in modo naturale. Se è vero, come dice Carlo, che l’amore non è altri che sentirsi dire ciò che ci fa stare bene, è vero anche che la scelta di credere che sia così è del tutto personale. Viola s’innamora di Carlo, ma pensa a loro come a una coppia improbabile, sulla quale nessuno avrebbe mai puntato: l’acqua e il fuoco, le due facce della luna. Viola si sente rifiutata dalla famiglia borghese del marito. Ama Luce, ma è convinta che sua figlia sceglierebbe Carlo, cui è legata come le stringhe delle scarpe: si capiscono al volo e parlano la loro lingua, di cui lei comprende solo i rudimenti, mai le sfumature. Viola ama ma è incapace di dimostrarlo; in cuor suo credo pensi di non meritare l’amore di Carlo e di sua figlia perché ha mentito a entrambi senza ritegno, cedendo alla paura del buio. Non si sente quasi mai all’altezza, tranne quando svolge il suo lavoro o decide di sedurre e di lasciarsi sedurre. Trasgredisce, tradisce, e lo fa per punire l’intenso amore che lega padre e figlia. Un amore da cui si sente esclusa, del quale non riesce a sentirsi parte nonostante sia forse il suo desiderio più grande. Soffre Viola: si fa del male e fa del male. La comprensione e la complicità di Angela, l’amica di sempre, le danno sollievo ma non la consolano. Non la salvano. Non ho disprezzato questo personaggio una sola volta, l’ho biasimata, certo, ma ho sentito fino in fondo tutta la sua sofferenza, soprattutto quella che l’autrice lascia comprendere tra le righe del racconto. Viola pensa che la parte più bella di Luce derivi da Carlo, si stupisce quando scopre che sua figlia è simile a lei nella volontà di farsi del male, che l’ha condotta in fin di vita. Eppure le sarebbe bastato allungare la mano per toccare l’amore che aveva sotto gli occhi: un gesto e l’avrebbe fatto suo. Invece per paura, per fragilità, per insicurezza, per ragioni difficili da spiegare persino a se stessa, è rimasta ai margini: non ha pensato che Carlo e Luce avrebbero notato la distanza, il vuoto da colmare e le attenzioni mancate. Non ha capito che sua figlia anelava alla stessa vicinanza e sentiva la stessa mancanza.
Improvvisamente tutto cambia. Una giornata tranquilla si trasforma in qualcos’altro, in un giorno che non dimenticherai mai. Una data ti si incide tra i ricordi e lentamente diventa indelebile. Quando quel giorno arriva, Viola incontra se stessa, forse per la prima volta, in un intenso e struggente faccia a faccia e decide di allungare finalmente la mano, e di provare a toccare quell’ amore che è sempre stato alla sua portata.
La sua vita troverà un senso nella dimostrazione d’amore più grande che un essere umano può dare ad un altro. Per Luce e per Carlo ma anche per se stessa.
Un assaggio QUI
Recensione “Un uso qualunque di te” di Sara Rattaro L’AUTRICE
Sara Rattaro è nata nel 1975 a Genova. Laureata in Biologia e in Scienze della Comunicazione, ha frequentato il master in Comunicazione della Scienza «Rasoio di Occam» a Torino prima di essere assunta come informatore farmaceutico. Coltiva da sempre la passione per la scrittura, le sue storie s’ispirano ai racconti delle persone che incontra.

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