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Recensione "Wolf Hall" di Hilary Mantel

Creato il 14 febbraio 2011 da Alessandraz @RedazioneDiario
"Wolf Hall" di Hilary Mantel, candidato a diventare un classico della nostra epoca, è un libro che ti lascia dentro la sensazione di avere effettivamente fatto un viaggio nel tempo, di aver vissuto davvero nell'Inghilterra del XVI secolo, nel taschino del protagonista, Thomas Cromwell. Non so se i sontuosi abiti rinascimentali prevedessero cose simili ai nostri taschini, ma la cosa più affascinante è che ciò di cui hai voglia, una volta finita la lettura, è venir fuori dalla piega del prezioso damasco, dalla quale hai partecipato ai più importanti e conosciuti fatti storici della Londra che Enrico VIII chiamava la mia città, e piantarti davanti all'uomo con gli occhi del quale hai guardato tutto, per raccapezzarti della familiarità e dell'elusività di questa figura che campeggia nelle quasi ottocento pagine del romanzo della Mantel. "Sono i vivi a rincorrere i morti. Sbattono le lunghe ossa e i teschi dai sudari e mettono loro nella bocca scarnita parole di pietra: rivedono i loro scritti, riscrivono le loro vite" con questa frase, verso la fine del libro, la Mantel sembra parlare del suo lavoro, del romanzo storico, e dell'ambiguità nascosta nell'atto di inventarsi un Thomas Cromwell come poteva essere o poteva non essere, nell'alternativa (già del vecchio Manzoni, il capostipite) tra finzione narrativa e vero storico. La StoriaLa narrazione trova Thomas ragazzo che dopo un'infanzia segnata dal padre beone e violento decide di lasciarsi alle spalle la nativa Putney. Le vicende successive vengono, nell'intreccio, accennate come brevi flashback, come ricordi o suggestioni che narrano del soldato nelle file del Re di Francia, del giovane apprendista di mercanti ad Anversa o attento osservatore sempre pronto a novità e occasioni diverse nelle banche gloriose di un'Italia da mito. Impercettibilmente il lettore è portato a constatare un cambiamento di rotta decisivo nell'esistenza del protagonista. Il ragazzo, che fugge da un'accusa di omicidio e dalla possibilità di venire definitivamente ammazzato di botte dal padre, approda con determinazione cosciente a una vita che non comporti più la violenza, e il polso del romanzo lo si tasta quando, come di striscio, leggiamo "Ho smesso di azzuffarmi con gli altri perché, quando vivevo a Firenze, andavo tutti i giorni a vedere gli affreschi" e la frase è qualcosa che Cromwell non pronuncia a beneficio di chi gli sta davanti, perché sa che non sarebbe capito, ma pensa fra sé, in un intimità col lettore che condivide la difficoltà di capire la vita, ma la consapevolezza dei segni e dell'importanza di certi avvenimenti.
L'imponenza della bellezza lo cambia; così come si presente la dolcezza che nasconde quest'uomo con l'aspetto di un assassino, come molti gli diranno in seguito, quando da ragazzo rassicura i cavalli terrorizzati dalla mano dura del padre maniscalco che ferra loro gli zoccoli "Era compito suo tenere loro la testa e parlare strofinando la zona vellutata fra gli orecchi per rassicurarli che mamma cavalla li amava e chiedeva ancora di loro e che Walter avrebbe finito presto". E l'amore lui cercherà, quasi non concedendoselo, distribuedone invece ai suoi protetti, figli, ragazzi e giovani donne accolti in casa, senza troppo farsi notare. Ben presto nella parte iniziale del romanzo troviamo un Thomas Cromwell ormai sicuro di sé alle dipendenze dell'onnipotente cardinale Wolsey, per lungo tempo braccio potente della corona inglese.
E' il cardinale che lo scova e ne intuisce le potenzialità. Gli insegna tutto ciò che sa e il legame saldo che si instaura fra i due è una delle cose più belle del romanzo. Cromwell lo ammira, lo segue fedelmente, ma con intelligenza. E' proprio il non averlo lasciato solo anche quando la sua fortuna finirà che renderà poi lui stesso interessante agli occhi acuti di re Enrico. La sua fortuna economica non dipende innanzi tutto da questi uomini a cui si lega, il suo istinto per i commerci e per gli affari interessanti costituiscono una garanzia agli occhi di questi esponenti della nobiltà che vanno oltre alla differenza di classe e Cromwell continuamente intorno a sé constata sornione lo sbigottimento di chi si chiede chi diavolo sia quest'uomo senza pedigree che accresce il suo potere anno dopo anno. Eppure quello che il cardinale Wolsey e poi Enrico VIII vedono non è solo un arrivista, ma un uomo capace di affetto vero e lo stesso Cromwell ama il suo cardinale, che difende fino alla fine, e ama il suo re che "di volta in volta sembra un infelice, un inetto, un bambino, un genio del mestiere".
Così l'occhio del lettore vaga, condotto dal punto di vista interno, affezionato ma lucido, del protagonista, sullo sfarzo assoluto degli oggetti di cui si circonda il cardinale e sulla sua assoluta fedeltà al suo re e ai destini dell'Inghilterra, sulla sua scaltrita capacità politica e sul suo desiderio di passare alla storia per le scuole da lui fondate. Allo stesso modo, del grande sovrano vediamo la sua paura di contravvenire alle leggi cristiane, ma il suo cedere di fronte alle lusinghe di una Anna Bolena suadente e vendicativa. Le vicende di Master Cromwell si intrecciano strettamente a quelle di questa donna che da una posizione sociale relativamente bassa si innalza con la sua ambizione ferrea alla posizione più alta possibile, regina a fianco del suo Enrico. Così come per lei cade Wolsey, così il destino del protagonista è legato alle sue sorti. Il poliedrico Enrico, che incredibilmente si reca a casa a trovare Cromwell malato, ormai suo insostituibile braccio destro, ma che, per realizzare il suo sogno di un erede legittimo che salvi l'inghilterra da una grave crisi dinastica dopo la sua morte, è capace di modificare le sue priorità in base all'interesse suo e del regno, è un bravo principe di stampo machiavellico. E infatti è il Rinascimento a grandeggiare in queste pagine con il suo fascino glorioso e le sue contraddizioni.
La RecensioneSin dall'inizio la storia di Thomas Cromwell, per come è narrata da Hilary Mantel, è emblematica per due aspetti interdipendenti: la hýbris del successo conquistato con le proprie capacità e l'interesse del protagonista per il protestantesimo nascente che si concretizza nel rapporto, che intercorre dall'inizio alla fine, con Tommaso Moro, l'uomo che, rifiutandosi di ratificare l'indipendenza della religione inglese e del sovrano dalla chiesa di Roma (necessità creatasi inizialmente per annullare il matrimonio di Enrico con Caterina d'Aragona e sposare la fresca Anna Bolena), finisce per essere giustiziato e divenire poi santo e martire della Chiesa cattolica. Il Cromwell della Mantel ha eliminato il mistero dalla sua vita: sebbene conosca il Nuovo Testamento a memoria per lui il cristianesimo non è rapporto intimo con il Dio personale a cui dire tu; per lui, come per molti dei personaggi, l'aspetto religioso è vissuto semplicemente come un fatto ideologico.
Sin dagli inizi Thomas si interessa di William Tyndale il francescano che, in esilio, stava traducendo la Bibbia in inglese, sulla scorta di quella tradotta in tedesco da Lutero. Rimane sempre, con grande circospezione, in contatto con gli esponenti della dissidenza e di fatto, con una serie di leggi lentamente e inesorabilmente fatte approvare in Parlamento, renderà possibile la transizione della Chiesa inglese all'Anglicanesimo assecondando la propensione di Enrico VIII a decidere autonomamente le questioni dottrinali in base ai suoi interessi (sposare lecitamente Anna Bolena), a incamerare i beni della Chiesa inglese e a rendersi indipendente da papa Clemente e dai suoi successori che non stavano ai suoi giochi, in ossequio all'allora potentissimo Carlo V, nipote di Caterina d'Aragona. Vediamo che al rigoroso Tommaso Moro lo lega un rapporto di amore/odio. Nel romanzo quest'ultimo è tratteggiato come un crudele torturatore di eretici, un umanista tronfio che persino scrive le proprie lettere pensando a una futura pubblicazione. Eppure i dialoghi con Cromwell prima del patibolo, a cui il rifiuto del giuramento di fedeltà alle ultime leggi che stabilivano il re d'Inghilterra capo della chiesa inglese lo aveva destinato, sono fra le parti più commoventi del romanzo. Tommaso Moro crede che il parlamento possa decidere in merito a questioni pertinenti all'autorità temporale, ma non possa decidere su Re Enrico capo della Chiesa d'Inghilterra o sulla nullità del sacramento del matrimonio, perché ciò pertiene all'autorità spirituale "e in questa il Parlamento non ha alcuna competenza perché essa viene esercitata al di fuori di questo regno". Chi lo interroga nella sua cella pensa a Roma e alla sede papale, ma non è a questo che Moro si riferisce. La "concretezza" del Regno dei cieli, attraverso la materialità dei segni, la carne degli sposi, il pane e il vino, la pochezza umana del sacerdote, viene testimoniata fermamente da questo personaggio pur discutibile, per come lo percepisce il Cromwell della Mantel.
Come detto in precedenza, quello che esprime l'essenza del Rinascimento in questo romanzo è la negazione del Mistero come Dio vicino e presente. Persino nei momenti più dolorosi per lui, la morte improvvisa della amata moglie Lizzie e delle piccole figlie, Anna e Grace, a causa del "sudor anglio", quel mistero è lontano, non viene chiamato a rapporto nemmeno in termini di rabbia contro il destino. Ma non è che non ci sia, si rifugia nelle pieghe oscure dell'irrazionale, sotto il luminoso lastricato della strada della razionalità. E tutto questo è da ascrivere quasi certamente alla Weltanschauung della Mantel, sebbene testimoni perfettamente il cambiamento di mentalità che avviene dal Medioevo ai nostri tempi moderni. Il mistero diventa: gli spiriti, le anime dei morti, che vengono a perseguitare i vivi, l'immagine inquietante di Anna, la figlia adorata ritratta nei suoi tratti caratteriali come "certa della propria capacità di forgiare il destino", proprio lei che non ha potuto farlo. Questa breve descrizione è ciò che illumina il romanzo ai miei occhi: Cromwell è colui che dal basso, basandosi sulle proprie capacità, forgia accuratamente e intelligentemente non solo il proprio destino, ma influisce sul destino dell'Inghilterra; lui è l'immagine dell'uomo del Rinascimento, l'uomo al centro di tutto: la hybris. Eppure, Anna è la sua verità: l'inquietante certezza della propria finitudine. L'uomo solo, che cambia con la propria razionalità e le proprie energie la realtà intorno a sé, ma che relegando il mistero a religione, ideologia che si possa forgiare a proprio piacimento, si ritrova solo e vittima ultimamente del potere (la fine di Cromwell sul patibolo la vedremo probabilmente nel sequel che la Mantel sta scrivendo). Hilary Mantel non dà questo giudizio, ma la figura di Tommaso Moro, che affida la propria vita e le proprie imperfezioni ("Ho vigilato attentamente sul mio cuore e non sempre mi è piaciuto quello che vi ho trovato") al "mondo invisibile", decidendo di preferire la morte alla menzogna, coscientemente è il contraltare (odiato e amato) dell'umanissimo e ferreo Cromwell. Egli parlando a Moro prima dell'esecuzione esecra la "vostra mente che non pensa che all'altro mondo. Mi pare di capire che non vediate alcuna possibilità di migliorare questo di mondo". Questa è la chiave del personaggio. Nel tentativo di dare all'Inghilterra "un'autorità sana a cui obbedire", per liberarla dalla rapacità e corruttela degli uomini di Chiesa, ha sottomesso l'alterità dell'Avvenimento del Dio innamorato fino a morirne all'arbitrio delle maggioranze parlamentari o dell'eventuale volontà illuminata dei sovrani. Gli ostacoli saranno rimossi, nella speranza dell'uomo del Rinascimento, dalla pervicace volontà dell'uomo di "incidere profondamente sugli eventi" e di sopravvivere, con il proprio successo, o almeno col ricordo del proprio nome, alla propria ineluttabile fine.
Non si può ignorare, per comprendere a fondo la reale capacità di conquista di questo romanzo, lo stile a cui approda Hilary Mantel. Si è già detto della particolarità del punto di vista interno, o piuttosto vicinissimo al personaggio, ma quel che colpisce è la capacità di delineare con poche parole, perlopiù non apertamente descrittive, i caratteri di un personaggio e la sua interazione col protagonista, la destrezza con cui si esce dal dialogo e si entra nei pensieri e nelle immaginazioni di Thomas, perdendosi nei meandri dei suoi ricordi e ripiombando nelle incombenze dei suoi molteplici ruoli. Mantel passa con disinvoltura dal discorso diretto a quello indiretto, al discorso indiretto libero e il lettore è come un chip nella testa e nell'anima del protagonista, partecipando delle sue certezze e dei suoi gusti, dei suoi dubbi e delle sue domande.
Certe descrizioni per accumulazione sono mirabilmente confinanti con la poesia e la narrazione è sobria persino quando commuove. Il ritratto dell'epoca di Cromwell e del suo animo ha mille sfumature, rese come una sorta di puntinismo che si snoda per le pagine innumerevoli. Wolf Hall, di Hilary Mantel, è come un arazzo di quelli descritti nel libro pendere dalle pareti del raffinato cardinale Wolsey, perfetti, eleganti, confezionati con grande maestria, ricchi di particolari e di colori. Lo puoi ripiegare e mettere via, ma riappendendolo ti farà nuovamente perdere nel suo mondo sontuoso, possibilità arcana dell'immaginazione.
L'AUTRICE:
E' nata a Glossop, nel Derbyshire, nel 1952. Scrittrice prolifica, ha esordito nel 1985 con Every Day is Mother's Day e molti dei suoi romanzi sono stati finalisti a importanti premi letterari, primo fra tutti l'Orange Prize (Beyond Black, di prossima pubblicazione per Fazi Editore). Wolf Hall è stato insignito nel 2009 di uno dei più importanti premi letterari del mondo, il Man Booker Prize, e si è guadagnato la candidatura ad altri due illustri premi letterari: il Costa Book Awards 2009 e l'Orange Prize for Fiction 2010. Di Wolf Hall è in lavorazione un sequel, The Mirror and the Night.

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