Ho iniziato a leggere questo libro sul reddito minimo garantito quando faceva ancora caldo e l’ho finito adesso che è praticamente ora di mettere la lana, quindi capirete che non è una lettura appassionante ma che al tempo stesso l’ho considerata assolutamente necessaria. Ora è venuta l’ora di scrivere un post a cui penso, per l’appunto, da mesi. Il fatto è che il tema è enorme e non affrontabile in una sola volta, quindi ho buttato giù dieci concetti fondamentali per me che spero possano servire da spunto e vi presento i miei pensieri così. Se vi interessa approfondire c’è quel libro oppure questo sito, con relativa bibliografia.
La cosa un po’ spiazzante per me è che il libro è curato da BIN Italia, cioè la Basic Income Network, però è sul reddito minimo garantito. Sono due cose diverse.
Il basic income è praticamente il reddito di cittadinanza, cioè una somma data a tutti i cittadini senza condizioni di sorta, mentre il reddito minimo è una soglia di benessere definito in denaro e servizi sotto alla quale nessuno deve scendere; il reddito minimo garantito è quindi un integrazione del reddito o sussidio dato a disoccupati, lavoratori precari, sotto occupati, chiunque non riesca con il proprio reddito a raggiungere detta soglia e quindi un tenore di vita dignitoso. A questo reddito vanno integrati servizi come quelli sanitari, dei trasporti, di orientamento al lavoro, e così via. Spesso è condizionato all’accettazione di un lavoro, alle volte però questo lavoro deve corrispondere alle capacità ed esperienze precedenti della persona. È quindi limitato a categorie di individui e condizionato, a differenza del reddito di cittadinanza universale e incondizionato.
In entrambi i casi, però, la filosofia è che il reddito è un diritto che viene prima del lavoro, e che può esistere anche senza di esso perché serve a garantire la dignità della vita umana.
Tutto questo per dire che io sono per un reddito di cittadinanza dato a tutti i cittadini residenti e ai residenti di lunga data, senza nessuna condizione di nessun tipo. Un reddito basso ma sufficiente a mangiare, avere un tetto sulla testa, spostarsi localmente e disporre della propria vita senza dover accettare un lavoro purchessia.
Questo reddito sarebbe finanziato attraverso una radicale redistribuzione delle risorse dai ricchi, soprattutto i grandi ricchi, agli altri, e da un riordinamento della spesa che elimini il groviglio di casse integrazioni, pensioni sociali, assegni sociali, social card, e chi più ne ha più ne metta, che agiscono a macchia di leopardo e tutelano alcune categorie a discapito di altre. Inoltre un reddito di cittadinanza permetterebbe di non tenere lavoratori inutili nel settore pubblico pur di non farli morire di fame, e quindi comporterebbe un ulteriore risparmio per la collettività.
Ora i miei dieci spunti. Sono eterni, per cui capisco chi non li legge tutti, però vi chiedo di leggerli integralmente se desiderate commentare, altrimenti rischiamo di non capirci.
1. Un reddito minimo garantito ce l’hanno tutti i paesi europei, tranne l’Italia e la Grecia. Certo, qui da noi c’è qualche ammortizzatore: disoccupazione, cassa integrazione, pensioni sociali, ma sono misure che coprono, secondo quanto scritto nel libro, circa un disoccupato su cinque. Gli altri, tra cui i precari, i più vulnerabili, non hanno niente. Niente di niente di niente. Io ho lavorato nella mia vita, ma non ho mai avuto diritto a nessun ammortizzatore. Uno dei passatempi preferiti dagli italiani è andare a trovare cose che vanno meglio all’estero e mostrarle ai propri connazionali come evidenza della nostra perenne arretratezza. Ecco, oggi lo faccio anch’io: tutta Europa, tutta, garantisce un reddito minimo ai propri cittadini. Lo fa la Danimarca, lo fa la Bulgaria, lo fa Cipro, lo fa la Polonia, lo fanno la Repubblica Ceca, la Romania, la Germania, il Portogallo. Alcuni addirittura pagano il cinema e le uscite culturali a chi non lavora. Noi neanche paghiamo da mangiare.
2. L’obiezione più comune è: non si può pagare la gente per non lavorare. Invece bisogna. Innanzitutto, nella maggior parte dei casi il non lavoro non è una scelta, e un sussidio dignitoso ma basso lascerebbe gli incentivi al lavoro: se voglio un po’ di più del minimo per sopravvivere, cerco di guadagnarmelo. Però intanto sopravvivo e non mi devo vergognare davanti agli altri della mia miseria e della mia disoccupazione. Tra l’altro, un reddito dato a tutti e non solo ai più poveri (reddito di cittadinanza) farebbe sì che qualsiasi lavoro aumenterebbe il proprio reddito, quindi incentiverebbe al lavoro senza costringere, mentre un reddito per i soli disoccupati e sotto occupati (reddito minimo garantito) potrebbe creare un incentivo a non lavorare di più.
Ma la cosa davvero importante è che è meglio pagare qualcuno per stare a casa che pagarlo (di più) per fare lavori inutili che spesso sono anche dannosi. Gli esempi sono innumerevoli: la nostra intera società ed economia è basata sull’esaltazione del lavoro fine a se stesso e della creazione di lavoro in quanto valore assoluto – seguito dalla creazione di lavoro per riparare ai danni del lavoro creato tanto per crearlo. Faccio alcuni esempi: l’elefantiaca e contorta burocrazia italiana, che crea intralci a chiunque faccia attività economiche anche nella maniera più onesta possibile, dà lavoro a un sacco di gente, che con la semplificazione burocratica probabilmente starebbe a casa. Eppure la semplificazione burocratica è universalmente desiderabile. Ci lamentiamo che l’edilizia è in crisi però non servono più case, abbiamo distrutto il territorio e cementificato l’Italia: preferirei pagare gli operai perché stiano a casa finché, eventualmente, non decidono di fare altro. Non possiamo rinunciare alla FIAT perché ha riempito Torino di operai che adesso non sanno cosa fare se non automobili, e quindi dobbiamo spendere soldi pubblici non solo per finanziare la produzione di macchine su scala industriale, ma anche per le strade sempre più larghe, i parcheggi, il pronto soccorso per le vittime degli incidenti, i medici per la cura dei danni cronici da inquinamento, e in Friuli VG anche la benzina agevolata. Tutti posti di lavoro per una società peggiore di quella che ci sarebbe se la FIAT chiudesse e la gente andasse in bici (sì, l’ho detto). Preferirei spendere tutti quei soldi pubblici per pagare un reddito minimo agli operai. Pensiamo anche ai rischi che i disoccupati senza reddito presentano per la stabilità sociale o per la possibilità di furti o altri tipi di criminalità economica, con conseguente spesa per le forze dell’ordine, la magistratura, le carceri. Tutto questo si potrebbe non dico evitare, ma almeno ridurre, con un reddito minimo per tutti. Infine, una tutela per chi non lavora renderebbe più facile licenziare senza creare ogni volta vere e proprie tragedie umane. Il doppio ricatto “se mi licenziano muoio” e “se mi licenzi mi uccidi” libererebbe anche l’iniziativa economica e la libertà individuale sia del lavoratore che del datore di lavoro.
3. I destinatari del reddito per come lo definisco io sarebbero i cittadini residenti in Italia e i non cittadini residenti da diversi anni. Per evitare di incentivare l’immigrazione, già insostenibile, ma al tempo stesso per non penalizzare chi è nel nostro paese e paga le tasse, introdurrei un requisito temporale congruo.
4. Ho riportato tempo fa che in Italia la spesa sociale è fortemente sbilanciata a sfavore di giovani e famiglie e a favore degli anziani (17% della spesa sociale totale va ad anziani e superstiti contro il 13% di media europeo, fonte il libro che ho citato), e che anche all’interno di questi anziani c’è un forte squilibrio tra chi è andato in pensione prima e chi dopo, tra chi prende pensioni di tremila euro al mese e chi di cinquecento. Inoltre, gli ammortizzatori sociali attuali coprono chi aveva un lavoro regolare e penalizzano precari e disoccupati di lungo corso. Una prima redistribuzione da fare sarebbe all’interno di queste categorie: riequilibrare le pensioni e gli aiuti ai disoccupati. Ma la grande redistribuzione necessaria per il progetto che propongo sarebbe quella delle immense ricchezze presenti in Italia, uno dei paesi più diseguali d’Occidente (se vi interessa, ho scritto in passato di questo e non mi ripeto per non farla ancora più lunga). Portando via qualcosa a chi, come raccontava Presa Diretta qualche puntata fa, può permettersi di fare vacanze in yacht da un milione di euro alla settimana, potremmo sostenere chi non riesce a dare da mangiare ai propri figli.
5. La società italiana, e quella friulana in particolare, venera il Dio Lavoro. Rifiutare un lavoro è inaudito, non trovare un dipendente immediatamente quando lo si cerca fa pensare di vivere in una società di fannulloni, nessuno deve poter stare senza lavorare più dello stretto periodo di ferie concesso in un anno. Il part-time è per fannulloni. I sei mesi all’anno di lavoro e basta sono da fannulloni. Lavorare, lavorare, lavorare. Presentarsi agli altri attraverso il lavoro che si fa e non essere nulla nella società senza di esso.
La mia filosofia è diversa: idealmente, tutti devono contribuire al benessere collettivo, ma nessuno dev’essere costretto ad accettare lavori sottopagati, troppo pericolosi, schifosi, oppure orari di lavoro che mangiano tutto il resto della vita. Con un reddito di cittadinanza nasce finalmente la possibilità di dire no. Siamo liberi dal ricatto: fai quello che ti dico io come ti dico io, o crepa. Mi si dirà: e se poi nessuno vuole pulire le strade? Benissimo, dico io. Così tutti i professoroni, i figli di papà, gli schizzinosi, apriranno la porta e troveranno le strade sporche, e finalmente si renderanno conto che c’era un esercito di schiavi che gliele puliva per disperazione. E magari si farà finalmente a turno con quelle scope, nessuno escluso, nessuno troppo dotto o studiato o prezioso per pulire un marciapiede e raccogliere le cartacce.
6. In apparente contraddizione con quanto detto prima, dico anche che non sono d’accordo con due caratteristiche a quanto so universali del reddito minimo in Europa: l’obbligo di essere disponibili a lavorare, ma la possibilità di rifiutare un lavoro non consono alle proprie competenze ed attività pregresse. Persone che conosco in Germania mi hanno assicurato che così è possibile dire sempre di no e continuare a prendere il sussidio. È possibile per il manager, per l’architetto, ma non credo sia possibile per chi fa lavori cosiddetti non qualificati. Allora: se si decide che chi prende il sussidio deve accettare un lavoro, gli si dà un numero limitato di possibilità di rifiuto, oltre le quali lo perde. Però, siccome lo spirito di questo reddito minimo è egualitario, il rifiuto non dev’essere motivato dall’idea di essere ‘meglio’ degli altri e di non doversi abbassare a fare un lavoro manuale. Se devi lavorare, trovati un lavoro tra una rosa di tre o quattro disponibili, anche se sei medico o architetto. In futuro magari passerai ad altro, ma intanto ti rendi utile. Se invece si toglie la condizionatezza, come io preferirei, il risultato secondo me sarebbe quello indicato al punto cinque.
Inoltre, come ho già scritto in passato io penso che una persona che non lavora sia uguale a una qualsiasi altra persona che non lavora (salvo casi particolari come disabilità gravi o anzianità tali da impedire di lavorare). Niente sussidio proporzionato al reddito precedente, niente pensioni diversificate, niente di niente. Smetti di lavorare? Se hai risparmiato prima, avrai qualcosina in più degli altri, se non hai risparmiato prendi quello che prendono gli altri. Non sai più come mantenere la villa? La vendi. Il famoso ascensore sociale deve poter andare “su” ma anche “giù”, altrimenti si creerà un affollamento sgomitante in cima e al tempo stesso un’incapacità di capire chi vive diversamente da sé o ha avuto un’altra sorte. Naturalmente, con questo sistema, tutti verserebbero gli stessi contributi e la spesa sociale sarebbe finanziata dalla fiscalità generale.
7. Il reddito minimo garantito proposto dagli autori o il reddito di cittadinanza che vorrei io non dovrebbero essere altissimi, e non solo perché non potremmo permetterceli. Innanzitutto, dal mio punto di vista, lo scopo non è accrescere i consumi e creare domanda interna, ma garantire un tenore di vita dignitoso. Dare di più significherebbe finanziare il consumismo, magari con i soldi di chi risparmia ed è virtuoso. Inoltre se uno vuole quel di più, che è desiderabile ma non indispensabile, se lo deve guadagnare. Credo che questo sia il miglior incentivo al lavoro e al tempo stesso il miglior modo per non elevare il lavoro ad assoluto. La cifra sarebbe attorno ai seicento euro al mese, con variazioni legate eventualmente ai figli a carico e con servizi sanitari e alloggio garantiti.
8. Dare il reddito a tutti, e non solo a chi ha bisogno, costerebbe di più nel complesso ma prevederebbe anche un enorme risparmio burocratico: non ci dovrebbero più essere uffici adibiti a valutare le domande, le richieste di rinnovo, lo stato patrimoniale, la disponibilità a lavorare, e così via. Un altro vantaggio a cui nessuno sembra pensare è questo: se presentata correttamente, l’universalità renderebbe più socialmente accettabile il sussidio. Nessun ricco potrebbe dire: io lavoro per avere quello che questi hanno gratis, perché anche lui, in busta paga ogni mese, troverebbe i suoi seicento euro garantiti dalla collettività. Certo, nel suo caso pagherebbe più tasse di prima per averli, ma saprebbe che può diventare anche lui in qualsiasi momento una delle persone che critica, quelle mantenute dagli altri, oppure che potrebbe lavorare meno, passare a un part-time, e conservare il trasferimento mensile garantito dalla collettività. A quel punto, lavorare è una scelta dettata dalla passione, dall’aspirazione a un tenore di vita più alto, o dal nobile desiderio, che tutti dovrebbero avere ma che non si può imporre per legge, di contribuire al benessere della collettività.
9. Ilva, FIAT, delocalizzazioni in tutta Italia, licenziamenti di massa… sono anni che vediamo ai telegiornali folle furibonde e con la disperazione negli occhi che si accalcano fuori dagli uffici manageriali a urlare a chi li vuole licenziare e a piangere con i giornalisti perché non sanno come dare da mangiare ai figli. Nei casi più estremi, come quello dell’ILVA, ci tocca sentire discorsi allucinanti su cosa sia meglio: la disoccupazione o il cancro. In altri casi, in cambio di un lavoro ti do il voto, faccio gli straordinari gratis, lavoro in condizioni insicure, o per uno stipendio da fame, ti bacio la mano… tutto pur di non essere disoccupato. Con un reddito minimo garantito, l’eterno ricatto della disoccupazione finirebbe. Saremmo liberi, finalmente, liberi di definirci come persone, e non come lavoratori, di dire di no a condizioni intollerabili, di provare a renderci utili agli altri anche gratis, perché intanto un minimo di reddito ce l’avremmo. Potremmo imparare nuovi mestieri, tenere i bambini altrui, condividere i prodotti dell’orto, magari pensare di aprire un’attività, e non ci ridurremmo a supplicare disperati di poter continuare un lavoro che magari ci fa schifo al servizio di persone che disprezziamo, ma che hanno su di noi potere di vita e di morte.
10. Un altro ricatto che sarebbe eliminato sarebbe quello della famiglia. Il reddito minimo garantito o di cittadinanza è individuale prima che familiare. In questo momento, in Italia, gli ammortizzatori sociali sono le famiglie: io (io ipotetico) non ce la faccio ma mio nonno, mio padre, mia madre, portano a casa qualcosa e mi mantengono. Questo è sbagliato per due motivi. Innanzitutto, crea differenze tra chi appartiene a famiglie ricche e chi a famiglie povere, non per merito ma per nascita. Crea risentimenti sociali e rende le diseguaglianze ereditarie; l’ho visto di persona: un disoccupato invidia un altro disoccupato perché il primo è figlio di operai e l’altro di professionisti. Inoltre, dipendere dalla propria famiglia è umiliante per quanto buono sia il rapporto con essa. Per un ragazzo ma ancora di più per un trentenne dover prendere i soldi dai genitori, che però intanto ti chiedono cos’hai intenzione di fare della tua vita, ti ricordano che ti mantengono loro, si preoccupano per te, è vergognoso e asfissiante. E questi sono i genitori buoni: altri possono non volerti dare nulla. Inoltre, questo sistema ti costringe ad essere grato solo a loro, che quello stipendio o quella pensione ancora ce l’hanno, anche se non è un merito essere nati in un’Italia in cui le tutele dei lavoratori e dei pensionati non erano ancora state smantellate ed erano forse, addirittura, eccessive.
Ma noi non siamo solo figli: siamo anche cittadini e siamo esseri umani. Che i nostri genitori siano ricchi o poveri, vivi o morti, generosi o assenti, noi dobbiamo poter sopravvivere dignitosamente e identificarci in una collettività più grande di quella, pur importante, della famiglia. Dobbiamo sapere che questa collettività ci garantisce e che noi garantiamo essa e i singoli all’interno di essa, li proteggiamo dall’umiliazione e dalla miseria. Indipendentemente dalle quattro mura in cui il caso ci ha fatto nascere.