Il 17 aprile si vota per un referendum, tutti ne abbiamo sentito parlare un po’ qua e un po’ là … ma en passant, senza farci tanto caso o soffermarci troppo sul “che cosa” verremo chiamati a esprimerci.
Ebbene il quesito referendario riguarda le concessioni petrolifere per le trivellazioni in mare che si effettuano a meno di 12 miglia dalla costa e ci verrà fatta più o meno questa domanda: Volete che, una volta scadute le concessioni petrolifere, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?
Va sottolineato che il referendum non riguarda attività estrattive sulla terraferma e quelle che si effettuano oltre le 12 miglia marine.
Se vince il sì, eviteremo che molte delle nostre coste vengano deturpate per quantità minime di idrocarburi estratti, se vince il no – o non si raggiunge il quorum – le cose resteranno così come sono: si continuerà a trivellare come si è fatto sino ad oggi.
Ovviamente gli interessi in gioco sono tanti, e forse sarà per questo motivo che si pensato bene di inserire il silenziatore a questo referendum.
Infatti non è che se ne parli molto anche se il 17 aprile è sospettosamente vicino e pochi sanno, ad esempio, che il comitato “No Triv” aveva proposto ben sei quesiti referendari ma solo uno è stato ritenuto “proponibile” mentre due sono ancora al vaglio della consulta -dopo un ricorso per conflitto di attribuzione di 9 regioni italiane – che dovrà esprimersi in merito il 9 marzo.
E qui sorgono alcune domande: perché non aspettare il 9 marzo e casomai fare tutto un conto? E, soprattutto, perché il governo ha voluto fissare una data in fretta e furia negando categoricamente ai promotori del referendum sulle trivellazioni di “accorpare” quest’ultimo alle elezioni di giugno? Si sarebbero risparmiati bei soldini con un unico Election day, tra i 360 e i 400 milioni di euro.
Non ci è dato sapere il perché di tutta questa premura, il “mistero” si infittisce e possiamo solo formulare ipotesi. Forse è meglio che il quorum non si raggiunga perché nella legge di stabilità il governo Renzi ha stravolto tutta la politica ambientale di questo paese indicando le trivellazioni in mare una risorsa prioritaria e per farlo si è arrogato il diritto di “scavalcare” le competenze regionali? Infatti, nonostante le risorse estratte coprano a malapena il fabbisogno nazionale di sole 8 settimane, Renzi & Co. enfatizzano non poco il presunto valore strategico delle trivellazioni in mare. Forse in nome dell’ottimismo renziano i nostri governanti sperano che “sotto sotto” ci siano giacimenti enormi, anche se da stime effettuate è stato calcolato che se venisse estratto dai nostri mari tutto l’estraibile l’Italia sarebbe autonoma al massimo per 5 anni?
Pietro Vanessi PV Un Sì per dire No alle Trivelle, Referendum 17 aprile
Alla fin della fiera ci ritroviamo con un referendum imbastito volutamente alla carlona nel quale si decide del futuro delle nostre coste e dei nostri mari, e il tutto sta passando in sordina, come se non ci riguardasse o, peggio ancora, come se si trattasse di un argomento di poco conto.
A questo proposito è utile ricordare che proprio oggi è uscito il dossier “Trivelle Fuori Legge” di Greenpeace dove sono stati resi pubblici i dati ministeriali sull’inquinamento provocato da un campione di 34 impianti (in tutto ci sono 106 piattaforme marine nei nostri mari).
Secondo lo studio di Greenpeace i mari sono contaminati da idrocarburi policiclici aromatici e metalli pesanti ben oltre i limiti stabiliti dalla legge, una contaminazione “grave e diffusa” – dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace – che può risalire la catena alimentare sino all’uomo e provocare svariate patologie, tra cui il cancro.
Dunque il referendum sulle trivellazioni in mare forse merita più attenzione di quanta ne danno in giro, casomai ci conviene anche spendere qualche minutino del nostro tempo per capire di cosa si tratta e poi – perché no – andare a esprimere il nostro parere in proposito il 17 aprile.
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Vignetta di Pietro Vanessi