Referendum: un quesito o un baubau?
Creato il 04 giugno 2011 da Zfrantziscu
Un'amica di gioventù, prima di arrendersi definitivamente alle birbonate del figlioletto, tentò l'ultima carta gridandogli: “Se non fai da bravo, chiamo il Monopolio”. E vinse, per un bel po', la sua battaglia. Il baubau a volta funziona anche con i grandi, almeno quelli predisposti all'assimilazione acritica. Non ha funzionato a Milano dove le grida di Berlusconi contro il moro in arrivo e l'avvocato amico dei terroristi hanno, si dice, provocato una reazione uguale e contraria.Oggi c'è un altro baubau di segno opposto ad essere agitato e si chiama “privatizzazione dell'acqua”. È la semplificazione di qualcosa di più complesso che dovrebbe funzionare come il Monopolio con il figlioletto della mia amica. Un incubo, l'acqua privatizzata. Vuol dire che qualcuno si impadronirà delle acque delle fontane del mio cuore? Che qualche privato vorrà farmi pagare un tanto a bottiglia l'acqua di Norghio, de Locherie, di Rèmules, di Istiotha che già nel nome portano un'idea di antica libertà?O vuol forse dire che le società imbottigliatrici di acque minerali dovranno smantellare gli stabilimenti e liberare l'acqua imprigionata dal privato? Non credo proprio, anche se nella lotta fra pubblico e privato, fra le incarnazioni del bene in sé e del male in sé, favorita dalle nuove insorgenze di giacobinismo e statalismo, non giurerei che non saltasse in testa a qualcuno. Comunque sì: la privatizzazione dell'acqua sarebbe una iattura pari, che so?, alla privatizzazione dell'aria. Una cosa da combattere con tutte le forze, come suggeriscono degli amici di Facebook, perplessi per la mia tiepidezza circa il referendum. Ma di questo si tratta? O il baubau semplificativo è una mascalzonata? La privatizzazione dell'acqua non è neppure lontanamente in discussione: continua ad essere un bene pubblico (potrò andare liberamente a prendere acqua buona a Istiotha, insomma): è della sua gestione che di tratta. Qui da noi, il gestore si chiama Abbanoa, ed è una “società a totale capitale pubblico locale, essendone soci i comuni della Sardegna”. In un eccesso di buonismo si potrebbe dire che funziona pessimamente, talmente male da sollecitare gran pare dei soci (i comuni) a chiederne la morte. Mettiamo che alla fine così succeda: sarà un'altra società a totale capitale pubblico che ne prenderà il posto e sarà così salva la sacralità della gestione pubblica? O si baderà, nel futuro, a risolvere il problema di far arrivare acqua buona, giorno e notte, in tutte le case della Sardegna? Non sarebbe meglio mettere da parte i furori ideologici e badare al risultato, naturalmente evitando – le leggi a questo servono – che una eventuale gestione pubblico-privata chieda soldi buoni per un servizio cattivo? Certo, i privati investono perché mirano al profitto. Ma si può anteporre il cattivo pubblico ad un accettabile privato, solo perché pubblico è bene e privato è male? Ci sono, abbiamo letto in questi giorni, aziende pubbliche che funzionano ottimamente e aziende private malfunzionanti e che, in altri casi, è vero il contrario. Problema complesso, insomma. Che non si può risolvere con un sì o con un no, secchi e senza sfumature. So benissimo che il referendum di domenica prossima sulla gestione dell'acqua c'è perché la politica non è stata capace di dare soluzione ad un problema reale. E so che l'opposizione ha tutto il diritto di sollevare la questione. Ma quel che urta il po' di intelligenza che mi resta è l'imbroglio del baubau agitato come un drappo davanti a un toro già incavolato per motivi suoi. Sia come sia, la “privatizzazione dell'acqua” non è un rischio alle viste: è, appunto, solo un baubau. Que sera sera, commenta Valerio Saderi un articolo precedente, annunciando che lui andrà a votare sì. Mi tenta, questa idea di andare a vedere che effetto che fa.
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