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Regionali: la giostra delle vanità

Creato il 19 settembre 2012 da Casarrubea
Carte da gioco siciliane plastificate

Carte da gioco siciliane plastificate

La Sicilia ha subito una costante violenza: quella di essere divorata da animali astuti che l’hanno tenuta sotto una spada di Damocle. Violenza e mediocrità delle sue classi dominanti, dei suoi gruppi di potere, dei furbi che hanno fatto di una delle isole più belle e più ricche di civiltà della storia, terra di conquista, sede di un marchingegno che ha funzionato come un tritatutto al momento delle elezioni regionali. Il suo punto più basso e più debole del suo essere terra e popolo di Sicilia.

Mai come alle regionali la Sicilia ha dimostrato il suo volto più alterato, il suo più cupo soffrire, la sua atavica impotenza. Puntualmente salta fuori l’animale che la ferisce, evocato da un richiamo lontano, primitivo. Come se tutte le anime defunte dei suoi vecchi feudi, delle baronie, delle contee e dei marchesati si svegliassero all’improvviso per celebrare, di volta in volta, un rito antico e oscuro, il ritorno sempiterno del servaggio. Con nuove forme indirette di potere, di persuasione occulta o esplicita, di promesse e di gioghi.

E’ il potere clientelare. Fa tutt’uno con quello mafioso, anche se distinto nelle sue funzioni, nei suoi compiti, nelle sue opportunità operative. E inizia il tam tam. Le tribù entrano in agitazione, i tamburi battono il loro cupo richiamo, i capi vestono le loro armature di guerra, e si dimostrano capi, offensivi, pericolosi. Così il formicaio del villaggio comincia a scandire il suo nuovo ritmo e ciascuno si muove spinto da una strana forza d’inerzia. Con i suoi addobbi, i suoi alamari e vessilli.

Non c’è bisogno di programmi o di progetti nel gioco dei fumi e degli odori che derivano dalle pulsioni  della guerra. E’ la guerra che conta e il fumo. I simboli invadono tutto. Arrivano fin sotto i cartelli stradali delle vie di Palermo, come, ad esempio, sotto la via Principe di Paternò, dove l’occhio è attratto non dall’indicazione della via, ma dal seguente manifestino: “Impegno ed esperienza al servizio della Sicilia. Salvino Caputo”. Se i capi sono presi d’acciacchi mandano i figli in avanscoperta. Mandano i loro cavalli bardati, più o meno di razza e allenati alle corse.

Il più prolifico è Gianfranco Miccichè che in vista della nuova “pugna” ha coniato l’idea-partito del Grande Sud e si è dato un progetto riassunto in due parole: “Sogno siciliano”, dove sogno non è il sostantivo italico, ma la prima persona del verbo essere declinato al siciliano, mal tradotta in italiano: “sugnu”. E questo non gli basta. Si colpiscono i simboli più sacri di questa terra martoriata. L’aeroporto Falcone e Borsellino? Meglio intitolarlo ad Archimede. E lo crediamo bene perché Archimede scoprì la legge per cui tutti i corpi galleggiano, specialmente in tempo di alluvioni.

E la cosa gli piace. Solo che è strano che l’onorevolenon l’abbia sperimentato prima. Allo stesso modo l’ex governatore Raffaele Lombardo, manda in prima linea il figlio Toti  dell’Mpa con questo programma/slogan: “Autonomia e impegno per la Sicilia. Liberi di crederci”.

Il ragazzo dice che vuole fare il deputato regionale per Miccichè presidente.

Altro pezzo forte della politica è Cateno De Luca. Ha capito di essere in guerra e si è dato uno slogan all’altezza del compito: “Rivoluziono la Sicilia. (S)cateno De Luca”. Meno massimalista e più filosofico è, invece, Nello Musumeci che in un suo manifesto fa appello ai “siciliani che vogliono il cambiamento”. Tutti tranquillizzati dall’assicurazione che occorre “Governare con onestà” e che “Io sto con Nello”. E bravo Nello. Siamo diventati, come si vede, amici, e da amico ci dice che chi governa deve farlo con onestà. Voi non lo sapevate?

Il più acculturato di tutta questa congerie di concorrenti è forse Fabrizio Ferrandelli che corre come cavallo di Crocetta.  Ha inventato uno slogan che è una vera e propria   gaffe. Lo slogan è questo: “Sicilia, più luce”. Il richiamo evidente è a Goethe che pare avesse detto, sul letto di morte, rivolto al sacerdote che gli voleva salvare l’anima: “Più luce, padre, più luce”. Vuoi vedere che Ferrandelli, dopo il fallimento della sua candidatura a sindaco di Palermo, entrando in un’altra campagna elettorale, ha finalmente imboccato la strada della conversione?

Sicuramente non convertito è Crocetta che, anzi, rincara la dose e ci fa sapere che “la rivoluzione è già iniziata” e scende in campo per una Sicilia “libera”. Il dubbio è d’obbligo: libera o liberal? Non ci rimane che piangere.


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