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Regola 11: il cattivo gusto del maggiordomo

Creato il 22 aprile 2011 da Dallenebbiemantovane

No. 11 - A servant must not be chosen by the author as the culprit. This is begging a noble question. It is a too easy solution. The culprit must be a decidedly worth-while person--one that wouldn't ordinarily come under suspicion.
(N. 10 - Il colpevole non deve essere scelto tra il personale di servizio. E' assolutamente una questione di principio. E' una soluzione troppo semplicistica. Il colpevole deve essere una persona che ha giocato un ruolo significativo, una persona della quale non si dovrebbe sospettare.)


Gosford Park

Ma in un giallo, il colpevole potrebbe essere il maggiordomo?
Ah no?
E allora perché il 1° aprile 2011 (notare la data) il filippino Manuel Winston ha avuto il cattivo gusto - con vent’anni di ritardo - di attribuirsi il cold case noto ai media come giallo dell’Olgiata?
Vuole forse smentire un secolo di "buone pratiche" letterarie?
E come mai il regista Robert Altman, in Gosford Park, ha osato fregarsene?


Vediamo di capirci qualcosa. Van Dine articola il suo severo divieto in tre punti molto diversi fra loro:
1. E' assolutamente una questione di principio.
2. E' una soluzione troppo semplicistica.
3. Il colpevole deve essere una persona che ha giocato un ruolo significativo, ... 
3.a ...una persona della quale non si dovrebbe sospettare.
Il punto 1. attiene all’etica, il punto 2. alla logica, il punto 3 e il punto 3.a. alla narratologia.

Innanzitutto va notato che dedicare una intera Regola al personale di servizio, denota alla base una certa scarsità di immaginazione, nel senso che Van Dine presuppone a priori che non possa esistere una società non suddivisa in classi o priva di domestici; o quantomeno, che simili società non siano presentabili all’interno del genere giallo. Lasciamogli la sua convinzione, ma rendendoci conto che un ragionamento così astorico lascia il tempo che trova.

Ma perché Van Dine ne fa “una questione di principio”? La ragione mi pare essere la seguente: per uno scrittore nordamericano altolocato degli inizi del XX secolo, la società era divisa in classi sociali: forse non rigide come le caste indiane o i ceti inglesi, sicuramente permeabili tra loro a causa dell’intrinseca mobilità sociale Usa; fondate sulla ricchezza e non sul censo.
Tuttavia Van Dine, dal suo punto di vista, non poteva non notare, come chiunque altro, che quando dalla cassettiera di una signora o dal portacristalli di una dimora rispettabile sparivano la collana di perle o l’argenteria, i primi a essere accusati - e licenziati - erano sempre i domestici. La stessa esperienza può esserci confermata da chiunque svolga ora, e soprattutto svolgesse a quell’epoca lavori domestici in casa altrui.

Nota e diffusa è anche la malinconica consuetudine degli amori ancillari, pericolosissimi per il soggetto debole (di solito una donna la cui controparte era un datore di lavoro maschio, ma non mancano esempi celebri inversi o dello stesso sesso) sia in caso di piccoli reati sia, soprattutto, in caso di gravidanze indesiderate.
Che ciò avvenisse a torto o a ragione, non ha importanza: ha importanza il bias, l’errore di valutazione basato sul luogo comune, sulla legge dei grandi numeri: tutte le cameriere sono potenzialmente ladre e puttane, tutti i domestici sono potenzialmente farabutti. Si salvano magari il maggiordomo e la dama di compagnia dalle inarrivabili referenze, ma sono pur sempre eccezioni.

Ecco perché il Nostro ci tiene così tanto ad escludere i domestici dal novero dei possibili colpevoli: è di cattivo gusto; è un luogo comune; ed è la prima cosa cui penserebbero le forze dell’ordine, quei grigi burocrati privi di fantasia e tanto proni alle statistiche. Non siamo realmente di fronte a uno slancio etico, bensì logico: il punto 1 è la premessa del punto 2.

Lievemente diversa è la motivazione dei punti 3. e 3.a: qui, infatti, Van Dine argomenta sul plot e sui personaggi che “hanno giocato un ruolo significativo” e dei quali “non si dovrebbe sospettare”. Che cosa c’entra il personale di servizio?
C’entra ancora, perché se partiamo dai presupposti sociali analizzati sopra, è lampante che per Van Dine i servitori non possono giocare un ruolo significativo: sono troppo impegnati a lavorare per poter pensare, odiare, architettare delitti; o forse sono troppo limitati, troppo ignoranti, troppo stupidi.
Ne consegue (3.a) che sarebbe una solenne perdita di tempo sospettare di loro.

Inutile dire che anche questi punti denotano una scarsissima immaginazione, un’ideologia fortemente conservatrice e una rigidità sociale maggiore di quanta ce ne si possa aspettare da un romanziere; da cui discendono limitazioni enormi nelle potenzialità del mezzo espressivo romanzesco.
Questo quando già Diderot nel 1773 (Jacques il fatalista e il suo padrone), Forster nel 1914 (Maurice, pubblicato postumo) e Lawrence nel 1928 (L’amante di lady Chatterley), avevano tracciato splendide, originali dinamiche padrone-servitore distruggendo ogni residua illusione sulla servitù muta, cieca e non pensante. Non a caso, nessuno di questi esempi – non gli unici, ma di altissimo livello – è un giallo.

I giallisti classici, infatti, volontariamente o meno, si rivelano non meno conservatori di Van Dine nel negare alla famigerata “servitù” personalità, volontà attiva (e quindi potenzialmente omicida) e talvolta anche un nome.
Meno male che ogni tanto ci pensa la Christie a vivacizzare l’atmosfera: per esempio, in Assassinio sull’Orient Express, i cui protagonisti non a caso sono quasi tutti americani, ogni classe sociale partecipa con una o due coltellate all’omicidio rituale e collettivo e relativa progettazione.
Ma anche nella maggior parte dei suoi romanzi abbondano cameriere, dame di compagnia, maggiordomi il cui unico segreto, scoperto di solito verso la fine del romanzo, è una liaison pericolosa o un legame di parentela poco rispettabile. Il massimo cui, narratologicamente, i loro personaggi possono ambire è la funzione di deus ex machina (scopritori di lettere, come peraltro fa anche la litigiosa coppia di domestici della signora Dosio ne La donna della domenica di Fruttero & Lucentini, ironico giallo postmoderno del 1972).

E finalmente arriviamo a Robert Altman: nel suo godibile film Gosford Park (Usa e Uk, 2001) giallo e marxismo finiscono provvidamente a letto insieme, proprio come la cameriera Elsie con il suo padrone, William McCordle, che dopo poco finisce accoltellato.
In apparenza, Altman mette in scena un classico whodunit (chi è stato?), ma in realtà vuole dare un pungente ritratto del disfacimento del sistema classistico inglese verificatosi dopo la Prima Guerra Mondiale.
E ci riesce benissimo: ma il prezzo da pagare è la demistificazione della Regola n. 11: come ci mostrerà il regista nei suoi quadretti di gruppo, se all’inizio il microcosmo dei Signori e il microcosmo dei Domestici appaiono rigidamente segregati nei rispettivi habitat – i primi in salotti, camere spaziose e campagna, i secondi in cucina e negli stanzini mansardati, entro la prima metà della pellicola tale impressione viene sistematicamente distrutta mostrandoci i legami espliciti o segreti di sesso, affetto, rancore, interesse, spionaggio e controllo reciproco, esistenti tra i due gruppi e tra i loro membri.

Ne consegue che non solo il colpevole può essere scelto tra il personale di servizio, non solo non esiste la famosa questione di principio, non solo non è una soluzione troppo semplicistica, ma il colpevole (che deve essere una persona che ha giocato un ruolo significativo, una persona della quale non si dovrebbe sospettare) è effettivamente costituito da membri del personale di servizio, addirittura due, uno dei quali, come nella migliore tradizione giallistica, ha infierito su un corpo già defunto!
Peccato che, suprema ironia della sceneggiatura, la polizia nemmeno se ne accorgerà, di queste dinamiche sotto il pelo dell’acqua: finirà per archiviare il caso (la cui soluzione del resto non interessa a nessuno, nemmeno ai familiari della vittima, che molto aveva da farsi perdonare, e da molti) senza aver fatto alcuna indagine sostanziale.

Dimostrando così (la polizia britannica di Altman) valori solidamente Vandiniani.


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