di Beniamino Franceschini
da IL CENTRO, aprile 20112
India e Nigeria sono terre amare per l’Italia, poiché entrambe confermano l’inconsistenza internazionale del nostro Paese. Anni di predilezione per gli affari interni da parte della classe politica e di diseducazione dell’opinione pubblica alle dinamiche mondiali hanno esasperato il provincialismo superbo e illusorio. Stretti dallo scontro ideologizzato, gli italiani si sono convinti che le relazioni internazionali possano essere condotte senza eccessivo danno affidandosi ad altri soggetti, o che, comunque, la priorità sia sempre la cura del proprio giardino.
Certamente, pur essendo casi differenti, in India e in Nigeria emerge la posizione di secondo piano dell’Italia nella percezione della comunità internazionale e nella risposta del governo. Sia chiaro: i problemi non dipendono dall’esecutivo attuale, ma derivano da una tendenza di lungo corso. Ogni qual volta sia stato necessario intervenire, le fazioni politiche e d’opinione sono sempre state i peggiori nemici della politica estera italiana. Basti pensare alle nostre missioni all’estero, riguardo alle quali lo sforzo più acre non è stato tanto nell’individuazione del quadro operativo, quanto nel convincimento circa il ruolo dei nostri soldati, sempre e solo impegnati in incarichi di pace. Il timore del volto militare dell’Italia, – non citiamo la parola “guerra”, – non è soltanto uno scrupolo nei confronti della Costituzione, bensì è l’esaltazione di una cultura spesso ipocrita che maschera l’avversione ai soldati in quanto tali, con la contrarietà alla decisione politica dell’impiego di truppe. L’Italia potrebbe assumere posizioni forti in politica internazionale solo a costo di sprofondare in dilanianti dibattiti che hanno l’unico risultato di allungare i tempi: anche questo è segno della mancanza di un sistema di valori condiviso.
Entrando nel merito, Nigeria e India mostrano due caratteristiche dell’immagine dell’Italia contemporanea. Infatti, se l’episodio del blitz anglo-nigeriano ha ribadito ciò che già si sapeva, ossia che Londra considera Roma ontologicamente in subordine, la questione dei marò apre scenari ben più inquietanti, rendendo manifesti i vuoti sia della diplomazia italiana, sia della capacità di gestione politica della sfera estera: mancanza di risposta rapida alla sollecitazione, sottovalutazione dei fatti, ristrettezza nella lettura geopolitica sono limiti, oltre che del governo, anche di ampia parte della nostra classe dirigente. Ricordiamoci che non di solo spread muore l’Italia.
Beniamino Franceschini
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