Magazine Religione

Religione vuol dire relazione

Creato il 15 luglio 2014 da Profrel
Religione vuole dire relazione.
Quando lo dico, gli studenti si sorprendono, non se l’aspettano, pensano che religio, significhi 're­gola', che la religione sia questo: u­na rete di regole, convenzioni, ob­bligazioni, qualcosa di pesante, di insopportabile. Anche quelli che ignorano il latino e l’etimologia sono convinti che la re­ligione sia fondamentalmente una gabbia, una costrizione, un codice fatto per lo più di doveri, senza dirit­ti e pieno di molti cavilli antiquati.
Ed invece io ricordo a tutti che religio viene da res-ligare, un verbo che cer­ca di descrivere quel fenomeno, che l’uomo coglie con stupore e trepida­zione, per cui tutte le cose sono col­legate, connesse una con l’altra. La vita stessa è relazione, proviene dalla relazione e alla relazione tende. Qui è facile spiegare: la nostra nasci­ta scaturisce dalla relazione dei nostri genitori, e il figlio è così strettamen­te collegato alla madre da essere 'le­gato' a lei da una 'corda', il cordone ombelicale. Un legame che si rom­perà definitivamente solo quando verrà sostituita da un’altra relazione, quella amorosa.
E qui c’è un’altra bellissima parola per dire relazione: storia. Ecco cos’è la religione che scaturisce dalla Bib­bia, una storia, una storia d’amore e quindi di salvezza. O l’esistenza u­mana è una storia oppure è mera vi­ta biologica, ma per essere storia de­ve esserci relazione, quella cosa che ci sostiene ogni giorno sino alla fine.
Eppure, oggi, questa parola, non è perduta, ma sfuggente: per alcuni si­nonimo di relazione è 'resoconto', per altri il significato giusto è 'rap­porto', è però faticoso fare uscire quell’altra parolina, 'legame', a con­ferma della 'liquidità' della nostra società contemporanea, dove a es­sersi liquefatti sono innanzitutto i le­gami tra gli esseri umani.
Mi faccio allora aiutare da un con­temporaneo cantautore romano, an­che se è già 'vecchio' per i miei stu­denti nati nel terzo millennio, Lo­renzo Cherubini in arte Jovanotti. Non ricordo più come andò la prima volta, ma durante una lezione in­centrata sul res-ligare è venuto qua­si spontaneo citare il ritornello del­la canzone Mi fido di te, che dice: «...forse fa male, eppure mi va,/ di stare collegato, di vivere d’un fiato/ di stendermi sopra al burrone/ di guardare giù/ la vertigine non è/ paura di cadere/ ma voglia di vola­re. /Mi fido di te/ cosa sei disposto a perdere?».
Stare collegato può far male, ma è ciò che l’uomo desidera più di ogni altra cosa, per vivere intensamente (d’un fiato); essere legati gli uni agli altri è ciò che rende umani perché la rela­zione è un rischio vertiginoso, che comporta sempre ingenti costi (cosa sei disposto a perdere?) ma risponde al bisogno più antico inscritto nel cuore dell’uomo.
Andrea Monda in Avvenire del 9 luglio 2014 (Relazione e storia, a volte serve anche Jovanotti)

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :