di Guido Michelone
Giunto al quinto romanzo, Remo Bassini vercellese di origini toscane licenzi forse quello che a tutt’ oggi può ritenersi il capitolo migliore di una pentalogia in itinere – Il quaderno delle voci rubate, Dicono di Clelia, Lo scommettitore, La donna che parlava con i morti - già improntata alle miserie e ai misteri del vissuto quotidiano: fra realtà e noir, naturalismo e ‘ metagenere’ , con un linguaggio essenziale quasi scarnificato, che ricorda magari certa narrativa nordamericana, la fiction di Remo Bassini in Bastardo posto recupera anche lo psicologismo della grande letteratura novecentesca, puntando altresì su modelli affabulatori che di proposito scombinano la sequenza logica di fatti e avvenimenti: l’ obiettivo è forse “ governare il tempo” , come sottolinea Alberto Odone, pensando a questo romanzo costruito su diversi assi cronologici stratificati, in cui l’ Autore svela (o cela) i segreti dei vari argomenti inscenati.
In tal senso una dolorosa serie di omicidi e suicidi viene investigata dal personaggio principale, il giornalista Paolo Limara, quasi come un flusso di coscienza joyciano: benché non si possa propriamente parlare di discorso libero indiretto, ma di una vicenda corale osservata da un narratore esterno, il cui punto di vista, forse autobiografico, sembra quasi coincidere con quello del protagonista, Bastardo posto si snoda per molti versi alla stregua di una confessione o terapia di gruppo, quasi un rito collettivo, ma di tutti contro tutti, tra complessi di colpa, forti depressioni, stati confusionali e crisi d’ identità, che sono anche frutto del clima omertoso che infesta una piccola città (assediata da una nuova crescente malavita). Ed è quindi, sotto
quest’ ultimo aspetto, che ad esempio si fa apprezzare la descrizione attenta alla vita di provincia, che l’ Autore effettua esclusivamente attraverso i gesti, i comportamenti, i ricordi e soprattutto i pensieri delle tante figure di primo o secondo piano; di conseguenza, il libro risulta anche lo specchio fedele della società italiana odierna, in cui, dietro il sonnolento tran-tran giornaliero, si mascherano ipocrisie, connivenze,
efferatezze, illegalità di ogni tipo. Partendo dunque dalle riflessioni che Limara conduce dopo la morte della propria amante, Remo Bassini compone un intreccio fittissimo di trame, rimandi, angosce esistenziali, scoprendo poco a poco un macrocosmo violento, assurdo, esagerato, che non può non condurre a un finale a sorpresa, per certi segni davvero imprevedibile (per altri no, a pensarci bene); Remo Bassini insomma non vuole l’ happy end scontato e consolatorio, conoscendo socio-artisticamente i presupposti di tante, troppe
amarissime verità. Ma forse la verità è una sola, benché la verità o le verità che i personaggi ricercano è qualcosa di elusivo, grazie alla parzialità dei punti di vista di una scrittura assai ben articolata, non solo a livello dei tempi (di cui parla Odone), ma pure negli spazi visivi dall’ esterno (la notte) all’ interiore (la solitudine di ciascun personaggio).