In un’estate dominata dalle sagre della pannocchia, dai concorsi di bellezza per ragazzine cresciute a pane e facebook, dalle cene in stile medievale nei centri commerciali e dalle mille manifestazioni paesane e volgari che si danno valore raccogliendo fondi per i terremotati dell’Emilia (è veramente insopportabile l’atteggiamento tutto italiano di organizzatori di pseudo-eventi di trarre riconoscimento e credibilità sfruttando l’immagine di chi li ignora completamente), la morte di Renato Nicolini diventa ancora più dolorosa e struggente.
Assessore alla Cultura di Roma negli anni che vanno dal 1977 al 1985, nella prima giunta comunista guidata da Giulio Carlo Argan, architetto e uomo di teatro, fu un intellettuale noto per il suo impegno politico e soprattutto per aver dato vita a un nuovo modello culturale per la capitale durante i tormentati anni di piombo. Con la sua opera totalmente originale, Nicolini compie il miracolo: coinvolgere la massa in grandi eventi, far partecipare importanti nomi internazionali a spettacoli collettivi, inaugurare l’epoca dei reading, delle notti animate in cui l’elemento dello stupore e dell’emozione diventa preponderante: in una parola, abbattere le barriere tra cultura popolare e cultura d’élite.
Ricordato come l’inventore dell’Estate romana, era riuscito dopo gli anni di piombo a risvegliare le menti creative di Roma e non solo, nella consapevolezza che si dovesse dare fiducia agli sconosciuti, ai giovani, alle eccellenze della cultura italiana. Le città dovevano ritornare ad essere vive attraverso le manifestazioni effimere, come è la vita di ognuno di noi, e non ingessate e fatte per la gloria degli organizzatori.
Ci piace ricordarlo con le sue parole, insegnamento da non dimenticare.