
Entrare nell'edificio 2 del Santa Chiara di Pisa, ostetricia-ginecologia-neonatologia, declassata a rango di visitatrice e non di gravida/partoriente/puerpera mi ha fatto uno strano effetto.
Quando vi trasportavo la mia pancia per gli esami di routine mi sentivo in un certo senso importante: in fondo tutta quella struttura esisteva per me.
Quando mi ci recai per partorire ero un po' spaurita e poco cosciente di ciò che mi stava per accadere.
Imparai nei giorni successivi al parto, che alla fine sono solo due prima che ti rimandino a casa a calci, ma che in quel particolare stato emotivo sembrano dilatarsi enormemente, ad ambientarmi e a considerare i tre pianio di quell'edificio un pochino come casa mia. Dopo tutto mi permettevo di gironzolarci in camicia da notte e ciabatte di gomma, su e giù dal terzo al secondo piano almeno 6 volte al giorno per gli orari dell'allattamento, più varie ed eventuali visite di parenti e colleghe, e amici ritardatari, che non coincidevano mai con gli orari previsti per le visite.
Stavolta è stato diverso: con sollievo e senso di libersazione mi sono goduta il mio stato di anonimato in mezzo alla calca di parenti assiepati davanti ai neonati messi in vetrina, anche se un poco dentro di me una vocina sembrava gridare, con flebile voce, inascoltata e sconsolata: "Ehi, ma c'ero anch'io qui! Sono stata anche io come voi! Sono una di voi!"
Stai zitta, che è meglio.
Decisamente ritornare sul luogo del delitto ha avuto l'effetto inimmaginato di ripercorrere quel periodo del mio divenire madre con una lucidità e una consapevolezza che allora non ero riuscita ad avere, presa com'ero dall'attendere alle mille e una incombenze che all'improvviso si presentano all'attenzione della neo-mamma che ero stata.
Ho rivisto le madri sfatte, con pancie che non sapresti dire se sono da pre o da post-parto, sciabattare per i corridoi del reparto maternità trascinando le loro occhiaie da 40 ore di travaglio e i loro passi da papera col pannolone, ho rivissuto gli assurdi orari per le poppate, con la bimba che non si voleva mai svegliare e l'odiosa aggiunta artificiale che le infermiere imponevano sistematicamente dopo la pesata, perchè puntualmente sembrava che fossi l'unica a non avere ancora prodotto una goccia di latte.
La nursery affollata di madri con le puppe al vento, che sembrava di stare a metà tra un dipinto di Poussin e un film di Tinto Brass.
I ritmi scanditi di quel mondo chiuso, quasi come se fuori tutto si fosse fermato, anche il caldo, e invece facevano 42 gradi all'ombra, perchè era luglio.
Le confidenze occasionali con le compagne di poppata, che pareva saremmo diventate amiche per la panza per il resto dei nostri giorni, invece, chi ha mai più sentito l'esigenza di andarle a cercare.
Ero troppo ancora in fieri per rendermi conto realmente di cosa fossi diventata e cose era cambiato, dentro e fuori. E per quanto mi sforzassi di convincermi che realmente qualcosa di speciale, un invisibile ed esclusivo legame si fosse già creato tra me e quella creaturina che rimaneva per il momento stanziata alla nursery, imponendomi solo a orari prefissati il compito di prenderla goffamente in braccio e mimare un'inutile quanto infruttuoso attaccamento al mio seno, la realtà è che questo legame allora non esisteva proprio.
E guardavo le madri uscire strafatte dal gravoso incontro con i loro cuccioli appena sfornati, alcune realmente provate dalla catena di vicende intercorse loro nelle ultime 48 ore o forse meno, e alla fine la mia amica, bella come un fiore, radiante gioia e soddisfazione come chi sa di aver portato a compimento una cosa difficile ma bellissima, fresca come solo i suoi 25 anni le consentono malgrado l'incipiente maternità si faccia sentire come una mazzata. E penso a come dovevo sembrare io a chi mi veniva a trovare in quei giorni strani, che sono sembrati due mesi.
I racconti interminabili sul decorso del parto minuto per minuto. Le lezioni sul come tamponare con alcool denaturato il cordone ombelicale, pratica che molti ospedali hanno smesso di propugnare alle madri in prossimo congedo, e tutte quelle menate che ora mi sembrano lontanissime nel tempo e nella memoria, forse perchè non vedevo l'ora di poterle rimuovere, forse perchè mi sembra di aver vissuto tutto quel periodo come in trans, e di essermi ripresa psichicamente e mentalmente dal parto solo molti mesi dopo, accorgendomi di non essere più proprio la stessa di prima.
E però è stato strano, ma anche un po' bello.
E mentre me ne venivo via, per tornare dalla mia, di bimba, che mi aspettava a casa, parcheggiata con la zia Master, mi son resa conto che ora finalmente, in questa faticosa primavera, davvero rinasco, e mi sento pronta per quel che verrà dopo, e mi sento pronta al limite anche a ricominciare tutto da capo, con la capacità, forse, di riuscire a relativizzare di più ogni singolo momento di costernazione, e stanchezza, e panico.
Be', ora non prendetemi proprio alla lettera: non è che sto mettendo in lista d'attesa un secondo pupo così su due piedi, am riguardandomi indietro forse per la prima volta mi accorgo che in fondo non è stato poi così terribiloe come mi sembrava di ricordare.
O forse ho solo portato a compimento il processo di rimozione di ricordi traumatici messo a punto da secoli e secoli di selezione naturale per consentire il perpetuarsi della specie.
Chissà.