“C'è un'opportunità da cogliere” dice l'assessore Majorino.
Il centro di Napoli è pieno di graffiti, scritte: anche qui, la manutenzione di strade e facciate dei palazzi potrebbe essere fatta dai detenuti.
Sodano, il vicesindaco “sono progetti che vanno finanziati”. Non sa che i lavori sono gratuiti, che esiste una legge che permette l'impiego dei detenuti per lavori di pubblica utilità.
Roma: alle casse del comune mancano 550 ml, le strade sono dissestate, le periferie sono in degrado. Perché non si usano i detenuti dei cinque carceri?
L'assessore ai lavori sociali dice che non sono fatti suoi.
Quelli ai lavori pubblici dice che li stanno usando, e che si sta chiudendo l'accordo con Anci ..
Ma è un altro protocollo quello a cui si riferisce.
Marino, intervistato dalla giornalista, dice che è andato a Rebibbia. Ma al direttore non ha presentato proposte. Palermo: 1658 detenuti, ma solo uno lavora gratis per lavori di pubblica utilità. “E' un beneficio per me perchè meglio lavorare che guardare i muri del carcere”.
La puntata di ieri di Report è stata provocatoria e propositiva: ci sono i lavori che i comuni non possono fare perché non hanno i soldi, e allora perché non usiamo i detenuti? Perché i detenuti non possono lavorare per i lavori di manutenzione nel carcere, senza aspettare la ditta e la gara d'appalto? La legge prevede sia i lavori per pubblica utilità, ma non si riesce ad applicare. Il muro non lo fanno i detenuti che, anzi, sarebbero molto felici di lavorare gratis, ma lo fanno le istituzioni. Gli amministratori locali che non conoscono le leggi. Lo fanno i politici con la loro superficialità, col loro parlare politichese. Perché? Non è facile far lavorare fuori dal carcere i detenuti perché, come a Brescia, escono senza scorta e nessuno li controlla. E perché non è facile scegliere, per i dirigenti delle carceri, chi far uscire e chi no.
In tutta Italia hanno lavorato solo lo 0,6 % dei detenuti: forse manca l'organizzazione per farli uscire in squadra. Coinvolgendo la polizia carceraria e quella municipale, creando un piano organico, a livello nazionale, per farli lavorare, con una visione politica anche. E non lasciando che sia ogni direttori che affronti il problema a modo suo.
Come a Bollate, il carcere modello vicino Milano, dove i detenuti hanno fondato un'associazione per curare un orto, per aiutare i senzatetto .. Ridanno qualche cosa alla società, a cui hanno tolto.
Ma Bollate è un'eccezione.
Far lavorare i detenuti è una partita di giro, conviene a loro ma conviene anche a noi. Anche dal punto di vista economico. Mantenerei detenuti è costoso: il costo è di 100-200 euro: sono 2,8 miliardi anno. E i detenuti passano il tempo a non far nulla, o a camminare attorno alle mura.
La recidiva del carcere è del 70%: ma se lavorassero, il tasso crollerebbe, perché imparerebbero un lavoro e si abbatterebbero i costi di manutenzione delle carceri. Ma per legge il detenuto andrebbe pagato.
Legge giusta, direte voi. Legge ipocrita, secondo me. Perché finge di non vedere il fatto che in questo modo i detenuti non ripagano in alcun modo lo stato e la società. Non si tratta di sfruttarli (come gli stagisti, come i callcenteristi, come i neolaureati negli studi di professionisti): ma di dar loro un'opportunità.
Oggi, visto che non ci sono soldi per pagare tutti i detenuti, per fare i lavori di manutenzione, le carceri crollano e interi reparti vengono chiusi (causando altro sovraffollamento). Molte strutture diventano inagibili e per risistemarle servono altri appalti milionari. Con tutti i problemi degli appalti che abbiamo ..
E i detenuti che possono avere un lavoro sono troppo pochi.
La soluzione sarebbe cambiare la legge per permettere il lavoro volontario.
Chi lavora in carcere, guadagna oggi da 150-400 euro al mese. Uno stipendio deve esserci, dice la legge. Ma possiamo cambiarle norme, visto che chi va in carcere ed è condannato ha fatto un danno alla società e io istituzione devo cambiarti. Allora potrebbe essere giusto obbligarti a lavorare quasi gratis, concedendo anche uno sconto di pena e trattenendo parte dello stipendio per le spese di mantenimento in carcere. Lo sconto di pena fa paura? Oggi esci prima lo stesso, ma oziando tra le mura del carcere, basta non aver fatto nulla.
Ma come funziona nel resto del mondo?Claudia di Pasquale ha posto la domanda ai nostri politici. Che, ovviamente hanno scaricato ad altri il problema. Dando un'idea di incompetenza che trovo insopportabile. Cosimo Ferri sa come funzionano le cose in America? E Donatella Ferranti? E il senatore D'Ascola?
In America ci è andato Marrucci: nelle carceri i detenuti lavorano, come falegnami, come muratori. E i lavori dentro le carceri sono fatti dai detenuti.
La legge non obbliga a lavorare, ma qui tutti fanno qualcosa, specie quelli condannati per sentenze lunghe. Chi non lavora non può fare telefonate ogni giorno e non prende soldi.
Chi fa sempre il suo dovere ha delle celle con docce e anche computer. È un bel benefit.
Il carcere risparmia sui lavori ordinari, per i cancelli, per le copisterie, e i detenuti imparando un lavoro, sono meno propensi a delinquere una volta fuori.
Carcere della contea: qui si trovano detenuti per pene sotto l'anno o in attesa.
Furgoni per 10 persone li portano a lavorare in squadre, per essere impiegati in interventi speciali in contea, come pulire le strade, le piazzole, raccogliere immondizia, scovare discariche abusive. Lavorano da 32 a 40 ore, per un dollaro al giorno.
Le carceri incassano i soldi presi dalla Contea, e guadagnano anche dal lavoro fatto all'esterno per la Contea. Qui i detenuti sono contenti di lavorare, perché ottengono sconti della pena.
E forse anche senza sconti, preferirebbero uscire dalla cella, piuttosto che guardare la tv e oziare.
Nel carcere statale si trovano solo detenuti con condanne definitive: anche qui lavorano all'esterno, ma si sono sviluppati di più lavori interni, per motivi di sicurezza.
E allora producono scarpe, fanno manutenzione per gli interni della struttura: i mobili, le lavatrici, i bagni.
Lavorano e accumulano punti, in base ai punti prendono una paga da 30-50 dollari: qui il 90% dei detenuti partecipa ad un programma.
Suben, Austria: ci sono carceri dove si lavora come conto terzisti di aziende locali, oltre a fare lavori di manutenzione.
Qui si lavora a tempo pieno e i detenuti sono pagati dai 7-10 euro, ma il 75% dei soldi rimane all'amministrazione, come contributo.
Quelli che lavorano all'esterno prendono paghe da 2-3 euro: dopo la riforma del 93 si sono aperti laboratori, per occupare i detenuti.
Che imparano un lavoro che poi una volta usciti, diventa il loro lavoro.
Il giudice Gratteri, favorevole alla proposta, ha fatto il paragone con le comunità terapeutiche, dove il detenuto deve lavorare, perché è già un costo per lo stato. Allo stato il detenuto costa anche per le spese processuali, per le ammende.
Certo, bisogna trovare politici che appoggino questa idea: ci sono le coperture finanziarie per quest'idea, dovrebbe essere il ministro a proporle al Parlamento. Ma il ministro non risponde e il sottosegretario Cosimo Ferri ammette che “è una proposta di buon senso”.
Oggi le spese di mantenimento sono pagate dai detenuti che lavorano: ma chi non lavora non le paga. Al contrario del resto del mondo, in Italia lo stato non trattiene niente per la paga ai detenuti.
E anche chi esce dal carcere non pagherà le spese.
Lo stato ha pagato 213 ml di euro, per le spese di mantenimento, ma ne ha recuperati solo 4 ml, nel 2013.
Tra queste ci sono anche le spese di giustizia, per risarcimenti e multe non pagate.
Sono spese che ricadono sulle spalle della collettività: perché lo stato non obbliga tutti a lavorare, come risarcimento per le spese di giustizia e per le spese di mantenimento?
Quelli che non possono pagare, chiedono la remissione del debito.
Come Raffaele Pernasetti, ex boss della Magliana, deve allo Stato 40000 euro. Soldi non pagati, ha chiesto e ottenuto la remissione del debito.
Il presidente della commissione giustizia Ferranti scarica il problema sul DAP: “queste domande le deve rivolgere a chi gestisce le carceri”.
E Pagano vice al DAP invita la giornalista a rivolgersi al ministero. Uno scaricabarile, sembra: tanto è vero che nessuno ha idea di quanti soldi non si riescono ad incassare dai detenuti.
Chi governa non sa quanto si recupera da Equitalia giustizia. Mentre aspettiamo che Ferri dia la risposta, Report lo ha chiesto ad Equitalia, che ha risposto di non avere questo dato.
E dunque, perché non si copia dall'estero, dove i detenuti vengono impiegati in lavori interni e di pubblica utilità e si trattengono dallo stipendio le spese carcerarie?
Poi ci sono casi emblematici, come a Secondigliano, dove a lavorare per lo stato sono ergastolani che prima erano in regime di 41 bis.
Lavorano in un orto, per fare zucche siciliane: lavorare in un orto è una sorte di rinascita, dicono.
Sono boss mafiosi come Gaetano Pennisi, Galatolo, Molinetti: tutti condannati per omicidi e reati di mafia.
Alla domanda della giornalista rispondono che, se obbligati, non lavorerebbero. Perché non riconoscendo lo stato, per la loro logica mafiosa, non lavorerebbero gratis.
Ecco, la stortura è questa: ai mafiosi, ergastolani, viene data la possibilità di uscire all'esterno.
Vogliono essere trattati come un fiore. Possono ottenere permessi premio, perché fanno delle attività. Ma non si sono pentiti.
E quelli che non hanno preso delle condanne pesanti?
Il sistema delle pene alternative. È uno strumento che esiste dal 1975, per dare la possibilità di scontare delle condanne lievi fuori dal carcere.
Il condannato più noto affidato alle pene sociali è Berlusconi: a Cesano Boscone lavora un giorno alla settimana, per 4 ore, dove si occupa dei malati di alzheimer.
Forse una pena un po' lieve, per uno che è stato condannato per frode fiscale.
Berlusconi ha un'assistente sociale personale, mentre nel comune di Milano ci sono una decina di assistenti per 1200 detenuti: Berlusconi è diversamente uguale anche da condannato.
Gli altri affidati incontrano l'assistente una volta al mese, se va bene. Berlusconi ha modo di incontrare la sua assistente una volta alla settimana, come prescrive la legge.
E la situazione del sistema delle pene alternative è in crisi in tutto il paese.
A Padova 8 assistenti seguono più di mille casi: oggi sono in agitazione. Un affidato si riesce a vedere una volta ogni 3 mesi, altro che una volta alla settimana, secondo gli standard del ministero.
All'ufficio di esecuzione penale esterna di Roma ci sono 3000 affidati per pochi assistenti. La gente va di autocertificazione, e sconta la pena andando nelle parrocchie.
Come funziona all'estero? Portland è detta la città delle rose, perché c'è un parco pubblico pieno di questi fiori. A gestirlo un solo dipendente e una decina di condannati, che lavorano come servizio sociale, come alternativa al pagamento di una multa. Sono i condannati ai servizi sociali che tengono pulito il parco, lavorano nella distribuzione dei pasti, nella coltivazione degli orti. Si restituisce qualcosa alla società. Solo nel 10% dei casi, chi lavora ai servizi sociali continua a commettere reati.
Dublino: hanno scoperto quanto sono efficaci i servizi sociali nel 2008, con la crisi e il taglio dei fondi pubblici ai comuni. Chi commette reati va a pulire i graffiti, a tenere puliti parchi e strade.
Amsterdam: le pene alternative hanno surclassato la prigione. Con la misure alternative hanno addirittura chiuso delle carceri. I condannati puliscono i parchi, li tengono in piedi. Funziona meglio fare lavorare i condannati, piuttosto che tenerli in galera.
Gli affidati in prova sono 12500, ma manca un progetto integrato per controllarli, per renderli efficienti per lo stato. Alla fine è sempre un problema di visione politica. Che nulla ha a che vedere con le ferie dei magistrati. Senza visione si lavoro in emergenza: le carceri scoppiano, i detenuti diventano pazzi o imparano ad odiare lo Stato. E quelli affidati alle pene alternative non scontano la pena.
E alla fine arrivano le multe, per il sovraffollamento carcerario. L'emergenza carceri è stata risolta col risarcimento da 8 euro al giorno e con la scarcerazione di detenuti con pene sotto i tre anni.
Certo, finché affideremo la soluzione dei nostri problemi ad una classe politica che non sa come funzionano le cose del mondo, avremo poche speranze.
MILENA GABANELLI IN STUDIOAnche noi ricorriamo alle misure alternative per i piccoli reati dal ’75 sono 12mila e 300 gli affidati in prova, ma manca un progetto organico anche per utilizzarli in maniera produttiva: gli assistenti sono pochi e non riescono a controllare se chi ha evitato di andare in carcere poi mantiene un comportamento corretto e quindi non spaccia, non frequenta farabutti e fa il lavoro che gli è stato assegnato. Questo perché mancano perfino i soldi per la benzina. E alla fine ci si ritrova sempre là con le carceri sovraffollate; cioè manca un’idea, una visione. Ma il Ministro dice “il problema èrisolto” e però si va verso le multe.
Il link al sito di Report per rivedere la puntata e il pdf con la trascrizione del servizio.