E’ il 1965, un giovanissimo Polanski alle sue prime esperienze cinematografiche sente molto forte il vento delle innovazioni della Nouvelle Vague, un terreno sul quale far emergere tutta l’angoscia che diventerà un suo marchio di fabbrica. La sua prima opera fuori dalla Polonia, Repulsion (Orso d’Argento a Berlino), mette in luce l’interesse del regista per tutti gli angoli della mente umana, soprattutto quando questa è portata alle sue estreme possibilità.
Carol vive con la sorella e ogni giorno fa la manicure alle ricche signore in un ambiente esclusivamente femminile dove non si fa altro che parlare di uomini tutto il tempo. Lei potrebbe averne di uomini se non fosse che al solo contatto con il genere maschile prova un profondo disagio. Polanski dipinge un incubo in cui siamo tutti trasportati in quella che diventa per Carol una nevrosi, un’ossessione. Alla sola vista di una lametta, di un pennello da barba o di una canottiera la pazzia prende possesso di lei, la casa la imprigiona, le mura cominciano a creparsi.
La partenza della sorella per Pisa è l’evento scatenante che le fa perdere ogni contatto con la realtà, si barrica in casa dove miete due vittime, ovviamente di sesso maschile. La seconda parte del film degenera in un puro incubo espressionista, l’appartamento riflette il delirio di Carol: un coniglio morto a cui la ragazza asporta la testa con un rasoio (la testa lei la porta in borsa) marcisce in salotto, decine di braccia emergono dalle pareti per imprigionarla, un cadavere è steso nella vasca da bagno.Catherine Deneuve interpreta il ruolo della bambola delirante in maniera magistrale, è veramente impossibile immaginare un corpo diverso per quegli occhi pieni di candore e follia allo stesso tempo. Le musiche originali composte da Chico Hamilton per il film accompagnano, deformandone l’aspetto, le camminate impeccabili di Carol per la città come ad informarci che nonostante sembri una ragazza perbene, nella sua borsetta alla moda c’è il muso di un coniglio in putrefazione.
Polanski con Repulsion mett
e le basi di un’indagine sulla psiche umana e in particolare sul rapporto che questa intrattiene con la scenografia, un percorso che verrà portato a ben altre conseguenze in L’inquilino del terzo piano e specialmente nel suo capolavoro Rosemary’s Baby. Da vedere per renderci conto che nel genere un tempo si faceva con poco, e forse si faceva meglio.