Respirando all’orizzonte..
Ci sono luoghi mistici, luoghi religiosi, luoghi dell’anima. In genere questi luoghi sono contrassegnati da chiese, templi, croci. E poi invece ci sono luoghi assolutamente normali, ma che l’anima te la toccano: e allora credo che la bellezza del luogo non stia tanto nelle cose, ma nella nostra percezione delle cose. Pensiamo al paesaggio che si apre davanti a noi ogni mattina, aprendo la finestra per rinfrescare l’aria: è talmente normale che non ci stupisce affatto, eppure un giorno come un altro, con una luce particolare, o con un nostro stato mentale inusuale, esso ci appare estremamente bello, come se fosse nuovo.
Scorrendo le pagine del blog, si nota con quanta passione ognuno cerca di portare la propria esperienza, di raccontare quello che i luoghi visitati gli hanno sussurrato. Ma le cose che essi ci hanno comunicato non si traducono in parole: esse appartengono al regno dell’ineffabile.
Se dovessi scegliere un posto, di tutti quelli che nella mia breve esistenza ho visitato, mi si affaccia alla mente subito un quadro magnifico. È già passata la metà settembre, ormai l’estate è agli sgoccioli, i turisti spariscono, in Italia le scuole hanno già riaperto i battenti. Sono le sei del mattino, o poco prima, e la mia sveglia suona. Fuori è ancora buio. “Pazzo” direbbero molti “alzarsi così presto, in vacanza!”. Eppure, vi assicuro che se c’è una cosa di cui non mi pento nella mia vita, è proprio questa.
Esco sul balcone, l’aria è fresca, decido di mettermi una maglia. Dopotutto è settembre, non si può pretendere troppo. Scendo in spiaggia, alla reception incontro il ragazzo che sta facendo il turno di notte, e non vede l’ora di tornarsene a casa per dormire un po’. “Kalimera” saluto, buongiorno, anche se il giorno non è ancora sorto. Una di quelle poche parole che si imparano in viaggio, una sorta di dizionario tascabile talmente piccolo da stare tutto nella mente.
La sabbia è umida e fredda, il mare è quieto. Non c’è nessuno: siamo io e il buio mare. Chiudo gli occhi, seduto con le gambe incrociate su una sdraio che dopo qualche ora sarà usata da una signora appassionata di abbronzatura autunnale.
Ascolto il mio respiro, come mi hanno insegnato a meditare, come mi ricordo. Lentamente avverto come la sensazione che il mio inspirare ed espirare sia in sintonia con l’infrangersi delle onde, si muove al suo stesso ritmo. Il mare, come il mio respiro; il mio respiro, come il mare. Viaggiare davvero significa questo: diventare il posto che si è scelto di vedere.
Riapro gli occhi: l’orizzonte è incoronato da un leggero colore purpureo. Lentamente si fa più intenso, poi tende al rosso, e da esteso che era va concentrandosi verso il suo centro. Non vedo il sole che sorge dalle acque, perché compare, per pochi minuti, il nero profilo di un monte in lontananza.
Non so che cosa sia, che nome abbia quella terra, poiché di giorno non lo si vede. Esso esiste solo per quei pochi attimi. Cerco nella mia testa di raffigurarmi una cartina del Mediterraneo, e mi rendo conto che l’unica isola più a Oriente in quel momento è l’isola di Cipro. Mi assale un profondo stato di gioia, indescrivibile, io sto vedendo Cipro. L’isola di Afrodite, la dea dell’amore. Quel lembo di terra incastonato tra Turchia e Siria è lì, davanti ai miei occhi, e solo io ho il privilegio di poterlo vedere. Più in là, c’è il Medio Oriente, e io sono lì, sospeso tra due dimensioni, che guardo la porta dell’Asia, seduto sulla soglia europea.
Tornando a casa scoprii che in realtà quella non era Cipro, ma semplicemente la costa turca che distava pochi chilometri da Rodi, tuttavia sufficientemente lontana perché di giorno non si potesse scorgere. Ma che cosa fosse in realtà, importa poco.
Carlo