L’Italia si divide – come sempre – in due oggi, ultimo giorno di vita dell’Unità.
I gaudenti stringono la mano a chi considera logica la chiusura di un giornale che nessuno acquista, mentre i discepoli si rammaricano e gridano al complotto, alla nostalgia di una democrazia di cui l’Unità si erige(va) a simbolo.
Fondato da Antonio Gramsci nel 1924, l’Unità non appartiene al PD che detiene comunque quote della società editoriale Nuova Iniziativa Editoriale. Il quotidiano é stato organo del PCI dal ’24 al ’91, poi del PDS, poi del DS.
É già accaduto nel passato del giornale di veder le rotative ferme in un sonno di morte: nel 2000 infatti, si registra quello che Michele Serra definì un ‘delitto perfetto’. Dopo il complesso processo di privatizzazione iniziato nel 1997 si verifica un abbattimento delle copie vendute – meno di 50mila – che si traduce con otto mesi di silenzio.
Nel 2001, la rinascita attraverso l’introduzione di alcune novità quali i settimanali Left e Arturo, la community ComUnità, l’edizione Tedesca in stampa a Berlino e l’edizione online.
É nel Giugno del 2014 che, come una qualsiasi attività commerciale, la proprietà di dichiara pressata dai debiti e confessa una pericolosa situazione che odora di fallimento.
Più veloce a dirsi che a farsi, il 31 Luglio 2014 l’Unità esce nelle edicole d’Italia con il penultimo numero, urlando rabbia in bianco. Il quotidiano é un susseguirsi di pagine vuote incorniciato dalla vignetta di Staino che presenta un Bobo soffocato da una cascata di mattoni sotto il titolo ‘Hanno Ucciso L’Unità’.
Il direttore Luca Landò annuncia per domani l’ultimo numero e scrive: ‘Oggi troverete soltanto pagine bianche: sono pagine di protesta, ovviamente, ma soprattutto di allarme. Per spiegare, senza troppi giri di parole, come sarà il mondo dell’informazione senza la voce dell’Unità’.
80 i lavoratori che da oggi si aggiungono alla lunga fila di camminatori sulla fune. Equilibristi di un mondo in rovina, quello dell’editoria, dove i contributi pubblici sono l’unico olio che unge il macchinario e dove i lettori hanno smesso di frequentare edicole da mesi, forse anni.
Sui social network e tra le testate ovviamente si sprecano frasi di cordoglio, sentimentalismi e – poche, ma ci sono – esternazioni di allegria. L’Unità, indubbio pilastro di una classe difficile, si spegne per le leggi di mercato e non senza silenzio.
Se chi oggi piange per la conclusione di un’epoca, per la fine di un giornale che ha fatto la storia, rappresentativo di ideali e personaggi che soltanto attraverso le sue righe potevano esprimersi, se chi oggi é deluso dall’assassinio che resterà impunito, avesse comprato l’Unità, l’avesse portata con sé al bar, l’avesse sfogliata, l’avesse macchiata con il caffè, l’avesse passata al collega dopo averla sviscerata, l’Unità avrebbe goduto di una vita, oggi.
Per chi si sollazza all’idea del trapasso, sappia che alcune idee non muoiono mai. Sopravvivono nel salotto di una casa, dietro una scrivania illuminata da un neon e potrebbero tornare da un giorno all’altro a macchiare le pagine di un quotidiano.