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Revì, “Da piccolo volevo fare lo Champagne”

Da Iltaccuvino

wpid-20150404_110726.jpgE’ così che è cominciata la storia di Revì. Aveva 13 anni Paolo Malfer, classe ’49, quando studiando il libro di tecnica datogli dal professore scoprì la storia di Dom Perignon e gli balenò l’idea di fare lo Champagne (allora si poteva ancora chiamare così pur non essendo prodotto nella zona d’origine). Chiese alla madre il permesso di prendere una bottiglia di vino bianco, che allora si usava per cucinare, e alla nonna un poco di pasta madre del pane, per il lievito. Studio proporzioni e dosi e nel primo esperimento commise l’errore di tappare con un sughero a raso, che durante la fermentazione venne espulso dalla pressione. Rettificò la tecnica tappando e legando stretto con lo spago, e il Natale del 1962 in famiglia si brindò con lo Champagne fatto dal piccolo Paolo.

Ora sono passati decenni, Paolo ha fatto della sua passione il suo percorso di studi, frequentando la scuola di enologia di San Michele all’Adige, e continuando a collezionare piccoli appezzamenti di vigna nella zona detta del “Re Vin”, porzione vocata della Vallagarina, grazie alla ventilazione sospinta dalla brezza dell’Ora del Garda, e condizioni di particolare escursione termica specie nella valle dell’Inferno che si incunea tra le montagne a ovest del paesino di Aldeno, dove ha sede la cantina, ricavata sotto l’abitazione. Una vocazione quasi garagista per questa azienda familiare, dove al patron Paolo si affiancano oggi i figli e la moglie.

La produzione aziendale, in parte da vigne di proprietà in parte da uve acquistate, per mantenere alto il livello dei mosti anche nelle annate più avverse, si concentra unicamente sul metodo classico Trentodoc, vera passione viscerale di famiglia, declinata solamente in versioni millesimate, caratterizzando quindi le bottiglie con i segni dell’annata. Bottiglie che affinano sui lieviti per un minimo di 34 mesi (in pratica eguagliabile a un Trentodoc Riserva), per tutte le tipologie, arrivando anche a 40 mesi per via di sboccature scaglionate nel tempo. Una scelta che è da un lato forza e dall’altro limite di questa realtà, costretta a tenere in casa volumi relativamente alti di bottiglie a fronte di un giro annuo piuttosto piccolo, attestato oggi sulle 25 mila bottiglie.

Quattro le tipologie Trentodoc prodotte, tutte accomunate come detto dalla tecnica, che parte dal mosto fiore delle uve, Chardonnay e Pinot Nero, in piena tradizione locale, affinati solamente in acciaio. Medesime le percentuali per Dosaggio Zero e Brut, composte al 75% ca Chardonnay con saldo di 25% di Pinot Nero, la cui percentuale sale all’80% sul Rosè. Solo Chardonnay da un’unica vigna posta a 700 metri di quota, sul monte Cimirlo (sopra Povo), va a dar vita allla punta di diamante aziendale, il Paladino, prodotto in tiratura limitata di sole 1982 bottiglie (a celebrare l’anno di nascita ufficiale dell’azienda).

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Dosaggio Zero Millesimato 2011
. Nel calice brilla di toni paglierino tenui, imperlato da finissime bollicine. Al naso è definito ma elegante, fine e ricamato tra note di grissini, miele di tiglio, mela fresca, albicocca secca e lime. Al palato è coerente, fine, sottile ed elegante, di pulizia chirurgica, non irruento perché dotato di bolla finissima e soffice, che non accresce le durezze di quell’acidità agrumata che ne segna il sorso con grande freschezza, con chiusura su scorze di lime e buon ritorno sapido. Il mio preferito della linea.

Brut Millesimato 2010 (42 mesi sui lieviti). Il colore acquista toni più dorati e insieme il bouquet si arricchisce di frutta secca tostata, ananas, pompelmo e caramella mou. Al palato è più rotondo e avvolgente, ma mantiene la pulizia di bocca, con solo 6 grammi/litro di residuo, piuttosto lungo su ritorni di pompelmo e tenui tostature. Completo e di gradevole beva.

Rosè Millesimato 2011 (sboccatura 2015). Il colore è un fascinoso petalo di rosa vivo, suggestione che torna nei profumi, dove primeggiano mela rossa, frutti rossi di fragolina e mora, confetto e arancia rossa. Al palato si ritrova sempre una bolla finissima e delicata, mai aggressiva, qui accompagnata da un velo tannico setoso e da una gustosa materia, più ricca, con finale al ricordo di melograno e fruttini di bosco.

Paladino Millesimato 2010. E’ l’etichetta più pregiata, fatta per rispecchiare un ambiente unico e speciale, dove le condizioni consentono senza fatica la coltivazione in regime biologico (certificato). E la scelta conferma gli intenti alla prova dell’assaggio, a partire da un colore brillante di paglia screziata d’oro, e perline finissime al posto delle bolle. Il naso è un ventaglio multicolore che accomuna zenzero, cuore di carciofo, mirtilli rossi, fragola candita e mostarda di frutta, con freschi echi balsamici mentolati e folate di iodio. Al palato conquista con freschezza vibrante, pur essendo l’unico della linea a subire trasmormazione mallolattica prima della rifermentazione, il cui apporto si palesa in una cremosità suadente che allunga i ritorni aromatici nella memoria gustativa. Davvero una bottiglia di pregio, dove finezza ed eleganza sposano una complessità superiore.

Una bella produzione, oggi ancora piuttosto piccola ma con l’obiettivo di crescere e affermarsi, mantenendo lo stile e la cifra attuali, giocati su pulizia e precisione, nel rispetto di territorio, tradizione e gusto, il tutto mantenendo tra l’altro prezzi molto competitivi e ben giustificati dal lavoro che si nasconde dietro queste bottiglie (in cantina circa 15€ per Dosaggio Zero, Brut e Rosè, e circa 35€ per il Paladino, presentato in un packaging artigianale originale e curatissimo).


Tagged: chardonnay, metodo classico, Revì, Trentodoc

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