Magazine Cinema
5.0 su 10
In poche righe espongo il mio pensiero su "Qualunquemente" di Giulio Manfredonia, ma che in realtà appartiene in tutte le sue caratteristiche contenutische e non ad Antonio Albanese. In primo luogo il film si propone di essere uno sguardo politicamente scorretto della politica. Il concetto di politica e di politicamente scorretto ormai, in larga parte, coincidono; da ciò la riproposizione cinematografica della realtà diventa inutile, giacchè l'atmosfera circense è già ovunque, dalla televisione e ad ogni mass-media. Il film , di contrappunto, non potendo fare nomi e cognomi, pur essendo allusivo, è una rappresentazione edulcorata e paradossale della realtà, che perde i suoi tratti duri, sfumati e acquista una dimensione da commedia caciarona, che gioca sui luoghi comuni e in cui la storia dei personaggi ha un valore strumentale al messaggio ma non eccelle nè per originalità nè per forza eversiva, soltanto per carica grottesca. Si tratta di una "non-stoia" sostituita da una serie di sketch tenuti insieme dalla moltitudine dei personaggi in scena, usciti da una favola trash piuttosto che dal quotidiano. L'organicità è la prima cosa che manca, a cui aggiungere il guizzo, la genialità, la lontananza dall'ovvietà. E se la realtà supera la fantasia, Albanese non fa colpo, ma rappresenta nei suoi slogan banali e grotteschi, fino all'esasperazione narrativa, una forma di politica realmente sincera per paradosso ("potere a lu pilu", "dei poveri non ci interessa nulla") e non ambigua e mascherata come quella attuale, che si difende dietro accuse altrui e sponsorizzazioni ad eventi ipocriti di cui si rappresenta l'antitesi. Perciò, la scommessa è persa. Ma la partita era davvero troppo difficile per essere vinta. Al massimo si poteva pareggiare con la realtà, ma in questo caso la sconfitta è netta. 4 a 0, palla al centro, a destra e a sinistra.
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