La mia seconda esperienza con la produzione di Pino Cacucci è stata altrettanto soddisfacente come la prima (leggi la recensione di In ogni caso nessun rimorso) ma anche molto più problematica.
Titolo: Ribelli!
Autore: Pino Cacucci
Anno: 2001
Genere: Saggio/Romanzo
Pagine: 182
Ribelli! (il punto esclamativo è d’obbligo) è un libro complesso nella sua immediatezza, impattante nella sua essenzialità. Si tratta di un compendio, un saggio o una raccolta di racconti, se volete, su coloro che si sono ribellati, o per meglio dire, usando le parole (chiaramente dispregiative) di Gustavo Marabini, console della milizia italiana nel 1944: coloro che sono disposti a sputare su qualsiasi ideale, perché non ne hanno in realtà mai avuti, di ideali, e il bisogno di sfiorare costantemente “la bella morte” e sfidarla oltre ogni limite, rimane l’unica forza dirompente e incontrollabile che li anima…
Marabini però si sbagliava e volendo per forza denigrare l’operato dei ribelli del suo periodo (La Resistenza Italiana, n.d.r) non fa altro che confermare le parole del filosofo bavarese Max Stirner, che scoli prima aveva definito la ribellione come un insorgere di individui senza alcun pensiero alle conseguenze.
Ma non è solo questo. Non può esserlo, dico io.
La ribellione da speranza al popolo, fornisce un motivo valido per continuare a vivere anche quando vivere diventa impossibile, quando le idee diventano ideologie, prima, e oppressione, infine; i ribelli in tutto questo si inquadrano come schegge impazzite, personalità forti per individui che magari non avranno lo spessore culturale di un filosofo, e quindi non diranno quasi mai frasi celebri, ma che faranno parlare i fatti. E i fatti spesso raccontano di imprese umane che hanno poco di felice ma molto di eroico, e che fin troppo spesso si concludono con il sangue versato.
Cacucci dimostra di amare ognuno dei personaggi che compongono il corpo di questo libro, anche il meno probabile come il ladro francese Alexandre Marius Jacob che con le sue imprese ha ispirato la figura di Arsenio Lupin o Jim Morrison, figura onnipresente in ogni storia di ribellione ad un ordine costituito, che paga con la morte la colpa di aver aperto le porte della percezione dei giovani sessantottini.
Meno oniriche e molto più importanti, secondo me, sono le cronache sui ribelli italiani che hanno ingrossato le fila della Resistenza durante gli anni del Nazi-Fascismo, figure avvolte nell’ombra da libri di storia scritti male e da sistemi scolastici che tendono a soffocare la ribellione inculcando regole su regole a vantaggio di una società i cui rapporti sembrano sempre più regolati sul modello del film Matrix.
Personaggi, uomini e donne, eroi, del calibro di Silvio Corbari e Irma Bandiera, due partigiani morti nel giro di 4 giorni l’una dall’altro nel sanguinoso agosto del 1944 in cui le truppe naziste e fasciste rastrellavano le città italiane alla ricerca di questi ribelli che li sbeffeggiavano e ordivano in gran segreto progetti di libertà ingiustificata.
Corbari avrebbe poi risposto alle parole di Marabini criticando l’immobilismo dei movimenti antifascisti italiani in questo modo (vedi inizio del post): sono pronto a collaborare con chi sente il dovere di impugnare le armi e farla finita con le chiacchiere [...] oggi sento soltanto il bisogno di lottare contro il comune nemico, domani lotterò per il mio ideale [...] lottare per la libertà è l’unica cosa che conta per me oggi. Tutto questo dopo aver ridicolizzato le milizie congiunte di Mussolini ed Hitler e aver messo alla berlina famosi strateghi del Reich. Ovviamente la sua storia, come avrete già immaginato, finirà nel sangue ma non prima di aver lasciato un ricordo indelebile nella memoria di questo paese.
Raccontando la storia di Irma Bandiera invece Cacucci entra in un territorio parecchio pericoloso; diversi capitoli del libro infatti sono dei veri e propri attacchi ad un modo di pensare che, più degli ideali, si è macchiato del sangue di coloro i quali in nome della fedeltà hanno sacrificato la vita: se dopo giorni e giorni di torture e sevizie Irma avesse confessato tutto, tradendo la fiducia dei compagni, oggi il suo ricordo sarebbe stato meno toccante? Saremmo stati tutti autorizzati a dimenticarci del suo coraggio e della sua forza? Io credo di no ma comprendo i dubbi di Cacucci. Ci piace sottolineare la tempra delle persone, esaltarne lo spirito di fiducia e di lealtà ma ricordiamo che quelle stesse persone, eppur eroi di una storia mai raccontata veramente, erano fatte in carne ed ossa proprio come noi che oggi ne parliamo chi con orgoglio, chi con ammirazione e chi, purtroppo, con disprezzo. Carne, ossa e sangue, non acciaio e superpoteri.
L’attacco più duro però Cacucci lo riserva per la disinformazia. La disinformazia – scrive – oggi più che mai, governa le menti e i cuori di molti, troppi, abitanti dei paesi “civilizzati”, convincendoli che, comunque sia, le rivoluzioni finiscono sempre per divorare i propri figli, quindi ribellarsi è vano: l’orizzonte resta irraggiungibile, meglio sedersi e aspettare la fine, immersi nello spavento senza fine delle nostre mille paure quotidiane, instillate a regola d’arte da coloro che temono di perdere osceni privilegi per colpa di chi, da qualche parte di questo strano pianeta, potrebbe ancora preferire il rischio di una fine spaventosa piuttosto che rinunciare a camminare eretto.
Questo per spiegare che i ribelli non basta eliminarli fisicamente: occorre distruggerne il mito, infangarne la memoria, diffondere menzogne che incrinino l’immagine di idealisti, sognatori, esseri umani dai mille piccoli e grandi difetti ma aggrappati ad un’incrollabile dignità, a una coerenza che non li rende miopi e sordi di fronte agli errori compiuti.