Magazine Lavoro
Il titolo «Ricchi e poveri» (Edizione Ponte alle Grazie) potrebbe far pensare a una riedizione di un romanzo di Dickens o di Zola o di Hugo. O, per stare ai giorni nostri, potrebbe rievocare le parole di Papa Francesco: «Come vorrei una chiesa povera!». È invece l’ultimo libro di Nunzia Penelope e non ha nulla di romanzesco, è semmai un’accurata e spietata descrizione dell’Italia di oggi. Emerge da un testo che ha molto a che vedere con il sabato emozionante di Boldrini e Grasso. La stessa contrapposizione del titolo (ricchi e poveri) ne suggerisce un’altra che dicevano scomparsa: sinistra-destra. Non per sostenere che la sinistra deve soprattutto far «piangere» i ricchi. Dovrebbe invece, come compito naturale, combattere un carico di diseguaglianze che, oltretutto, se lasciate crescere, soffocano, come gramigna, le possibilità di una crescita non solo economica del Paese.
L’autrice ha saccheggiato giornali, studi, ricerche, dando vita a un racconto che non è certo un’arida esposizione ma che incuriosisce, coinvolge. Ha cosi messo a nudo l’esistenza, ad esempio, di tanti falsi poveri. Basti un dato: esistono 518 elicotteri «che appaiono appartenenti ad altrettanti pezzenti con reddito da cassintegrati». L’informazione è tratta dall’Anagrafe tributaria. Qui si scopre che 100mila yacht superiori ai 10 metri, duemila aerei privati, 600mila auto di grossa cilindrata sono posseduti in larga misura da persone con redditi ridicoli.
Un Paese mostruoso il nostro, con il 10% che possiede la metà della ricchezza nazionale. Dove c’è chi può spendere diecimila euro al giorno e chi sopravvive con mille euro al mese. E il famoso debito pubblico, motore dello spread (1972 miliardi nel 2012) è 4 volte inferiore alla ricchezza nazionale, al tesoro privato degli italiani (8640 miliardi tra denaro contante, case, azioni e titoli).
Nunzia fa i conti in tasca a tutti e spiega come i salari di quelli con posto fisso si siano ristretti. Per non parlare dei precari. E qui si entra nel campo delle diseguaglianze presenti all’interno delle stesse diseguaglianze. Cambiano se sei donna o uomo, se abiti al Nord o al Sud, se sei a posto fisso o con contratti ballerini. Tutti in maniera diversa coinvolti dalla crisi. Una crisi che rende ancora più evidente quella diaspora tra poveri e ricchi. Che entra perfino nel mondo appartato dei manager, dei superburocrati. Ecco ad esempio che Antonio Natali, il direttore della Galleria degli Uffizi a Firenze, un gioiello invidiato nel mondo, ha una busta paga di 1790 euro al mese che non cresce da 22 anni. Tutto compreso: senza cellulare, auto blu, spese di rappresentanza. Una condizione simile a quella di chi dirige la Galleria d’arte antica di Palazzo Barberini a Roma.
Altri dirigenti dello Stato hanno condizioni ben diverse. Cosi la busta paga del capo della polizia Antonio Manganelli è pari a 621 mila euro annui, quella del ragioniere generale dello stato 562.331 euro. È un dilagare di emolumenti che dovrebbero essere sottoposti nel futuro ai dimagrimenti annunciati dal governo Monti. I ministri e anche i discussi parlamentari sono pagati meno dei superburocrati. La vera casta, insomma, sembra apparire quella dei funzionari di alto livello e di certi manager pubblici e privati. I primi 20 top manager italiani nel 2011 hanno incassato circa 90 milioni di euro, i primi 43 superburocrati dello Stato hanno beccato 16 milioni complessivamente.
Il regno delle diseguaglianze, ricompare poi, nel libro di Nunzia Penelope, attraverso l’esame di alcuni temi. Nel capitolo dedicato alle case si scopre che c’è chi finisce col ricorrere, come negli anni 50, alle baracche o più modernamente al campeggio e chi, invece, ha il privilegio (40mila nel 2012) di comprarsi una casa all’estero. Sono i fenomeni collaterali alla crisi. Spuntano le ricette da fame e spuntano i supermercati di lusso. Nascono siti on line dove acquistare capi di grandi firme (Net a porter). Ha successo il volume Come vivere in 5 con cinque euro al giorno della bresciana Stefania Rossini, mentre al Billionaire di Briatore è stato inaugurato il menu turistico al «modico» prezzo fisso di 200 euro. Crescono le spese e i tagli destinati al sapere e ha successo lo slogan di Occupy Wall Street: «L’università costa come una Bmw, ma non ti porta da nessuna parte».
Così la crisi divampa e l’inchiesta di Nunzia affronta altre connessioni tra ricchi e poveri nella diversità dei servizi sanitari, nell’organizzazione delle vacanze, fino al fenomeno impressionante dei morti sul lavoro e dei suicidi tra operai e imprenditori. Sembrano le premesse alla rivolta sociale che cova sotto la cenere. E che potrebbe trovare un primo sbocco costruttivo in una possibile nuova stagione politica. Possibile se il vento del cambiamento non venisse frenato magari da quei «cittadini» che hanno contribuito al levarsi di quel vento. Molti scommettono, purtroppo, solo sul rapido ricorso alle urne, non sulla promozione di interventi immediati, su una strategia di cambiamento, appunto. Bisognerebbe chiedersi: chi non può aspettare? I ricchi o i poveri?
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