Lo scorso 18 maggio i lavoratori della Richard Ginori, dopo mesi di proteste, hanno firmato l’accordo con Gucci che permetterà a 230 lavoratori su 300 di tornare al lavoro. I restanti 70 lavoratori sono stati licenziati, e oggi affrontano i primi colloqui per tornare al lavoro.
La lotta della Ginori è figlia dei nostri tempi: una lotta dura, lunga mesi, condotta dai sindacati di base (Cobas) senza l’appoggio di Cgil Cisl e Uil da cui i lavoratori uscirono nel 2010, come abbiamo scritto nella nostra inchiesta per L’Espresso: “Caro Pd, hai perso gli operai“. Una lotta in cui la base ha vinto sui confederali come all’ospedale San Raffaele di Milano, e dove le trattative di vendita sono state ostacolate come è accaduto in Vinyls. Lo scorso 18 maggio è stato firmato l’accordo con Gucci, successivamente al referendum dei lavoratori, accordo che prevede il reinserimento di 230 lavoratori, mentre i restanti 70 sono stati licenziati.
Su 70 una trentina ha accettato la buonuscita di 15mila euro, cifra che con grande fantasia il Sole24ore chiama: “Un piano di sostegno economico modulato e graduato sulla base di specifiche situazioni analizzate nel corso delle trattative”. Questo per capire cosa succede nella realtà, a differenza di ciò che leggiamo ogni giorno nei giornali sui licenziamenti. Beatrice, una dei riassunti in Ginori, ci ricorda che oggi i restanti 40 lavoratori licenziati affrontano i primi colloqui di lavoro: “Un grandissimo in bocca al lupo a tutti i colleghi che oggi hanno il colloquio per il ricollocamento“. Si tratta di colloqui con la cooperativa Cooplast, dove i 40 potrebbero venire assunti (e non diventare soci). I lavoratori delle ceramiche più famose del mondo non si sono scordati di quelli rimasti indietro.
Anche perché l’evento è stato in sé drammatico, con le lettere di licenziamento o riassunzione consegnate a chiamata fino a tarda notte, coi lavoratori assembrati davanti la direzione. “La mia lettera mi è stata consegnata all’una e un quarto di notte”, racconta Valentina Bicchi, che è stata riassunta. Aggiunge Laura Stefanelli, dei Cobas: “Lo spettacolo della consegna delle lettere da parte del curatore e del co-curatore di Richard Ginori, è stato quanto di più indegno abbia mai visto da quando 25 anni fa sono entrata a lavorare in fabbrica!“. Continua: “Il caos totale, tutti assiepati alla direzione, tutto improvvisato, delegate che fungono da altoparlante e chiamano… via, ora tutti gli esuberi! Il momento era delicato, non siamo numeri ma persone”.
Aggiunge Giovanni Nencini, anche lui Cobas: “Quello che ho provato in quel maledetto venerdì lascerà un segno indelebile nella mia vita, sia di uomo che di delegato sindacale. Lo spettacolo che abbiamo dovuto sopportare non merita altro che sdegno (…) In questa trattativa in particolare ci eravamo posti come obbiettivo di non lasciare nessuno inoccupato, non ci siamo riusciti e questo rimane il nostro rammarico più grande. Mi ha colpito uno di noi, uno fra quelli che non sarà in Richard Ginori, che venerdì notte mi ha detto: grazie ragazzi, perchè i Cobas mi hanno dato la possibilità di lottare fino alla fine”. Basta questo, dunque: dare ai lavoratori la possibilità di lottare, per fare di un sindacato, anche piccolo, una realtà di cui i lavoratori possono riporre la loro fiducia. Anche se poi non va come sperato.
Scrive Marco, sul gruppo facebook dei lavoratori: “Si è chiuso un anno fatto di incertezze, speranze, delusioni, lotte. Si è chiusa definitivamente la Ginori per come l’abbiamo conosciuta, quello che verrà domani sarà in ogni caso un altra storia, una storia tutta da costruire. Ma, oggi il pensiero non può che andare ai 71 lavoratori, a quei compagni che stanno pagando il prezzo più alto in tutta questa vicenda e tutto questo perché un paio di delinquenti avevano deciso che il nostro lavoro, il nostro futuro, valevano molto meno dei loro giochini finanziari. L’Italia non potrà mai essere un paese normale se si continuerà a permettere a questi squali di proliferare e a questi squali io dico che noi non dimenticheremo”. E a leggere queste parole ci si chiede che fine abbia fatto il reato di ‘falso in bilancio’, quello che in campagna elettorale il Pd prometteva di ripristinare.
I lavoratori riassunti aspettano le lettere di chiamata per il 5 giugno. Alla fine di ogni messaggio i lavoratori – passati e futuri – della Ginori concludono scrivendo: “La Ginori siamo noi”. Lo facciamo anche qui.
di Michele Azzu | @micheleazzu
Foto di Daniele Stiatti