Hong Kong è uno dei principali hub finanziari ed economici al mondo ed è sede della più grande comunità bancaria orientale. Con un listino di borsa al secondo posto in Asia e al sesto posto nel mondo per capitalizzazione, continua ad attirare l’attenzione dei media internazionali, a causa di alcuni eclatanti casi di riciclaggio avvenuti di recente.
Collocata tra la foce del Fiume delle Perle e il Mar Cinese Meridionale, Hong Kong è sempre stata un importante porto nel Pacifico, tanto da essere stata nel passato uno dei principali obiettivi dei pirati giapponesi, attirati dalla sua ricchezza. Dopo essere divenuta colonia dell’Impero Britannico successivamente alla Prima Guerra dell’Oppio, fu per breve tempo occupata dal Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale, per essere poi restituita alla Cina nel 1997. Pechino da quel momento in poi ha adottato, per governare la particolare città, il modello “un Paese, due sistemi” che lascia ad Hong Kong una larga autonomia in quanto Regione Amministrativa Speciale. Questa concessione di autonomia sostanziale dovrebbe guidarla ad essere gradualmente assorbita dal sistema amministrativo cinese, per diventarne parte integrante nel 2047.
Il riciclaggio a Hong Kong: analisi del contesto e della problematica
Hong Kong rappresenta la principale sede offshore per il commercio internazionale dello yuan e grazie alla sua collocazione geografica costituisce un importante punto d’accesso ai mercati asiatici1. Per questa ragione migliaia di società straniere hanno stabilito il proprio quartier-generale operativo in Asia proprio ad Hong Kong, che offre inoltre un eccellente livello di servizi nei settori finanziario, legale e della logistica, vantando una delle reti di infrastrutture tra le più efficienti al mondo. Ingresso privilegiato per il mercato cinese, il suo porto è al terzo posto su scala mondiale per traffico di container e il suo aeroporto costituisce uno dei principali hub della regione, sia in termini di quantità di passeggeri che in termini di volume di merci in transito.
Le basse imposizioni e il regime fiscale semplificato di Hong Kong, insieme al suo sofisticato sistema bancario, alla presenza di agenzie che offrono servizi di creazione di shell companies, alla sua condizione di porto franco e all’assenza di controlli sui cambi di valuta, rendono tuttavia Hong Kong particolarmente vulnerabile a fenomeni di riciclaggio2. Nondimeno la città è al primo posto nel mondo per operazioni effettuate in contante, modalità di pagamento particolarmente “sicura” per chi volesse riciclare proventi di azioni criminali.
Secondo il Global Economic Crime Survey stilato dalla PricewaterhouseCoopers per il 20143, Hong Kong presenta una quantità di operazioni riconducibili a fenomeni di riciclaggio nettamente superiori alla media mondiale. Il 37 percento delle compagnie ivi stabilite hanno sperimentato negli ultimi due anni problemi legati al suddetto reato. John Donker, principale partner della PwC nei servizi legali per la Cina ed Hong Kong ha recentemente dichiarato – coerentemente con quanto sopra evidenziato – che la grande concentrazione di servizi finanziari ad Hong Kong è il principale fattore che porta quel mercato ad essere significativamente inquinato da fenomeni di money laundering4, così come accade a Macau a causa delle attività legate al gioco d’azzardo.
Le fonti primarie dei fondi che vengono riciclati ad Hong Kong – derivanti sia dalla criminalità locale che da quella estera – sono frode e reati finanziari, seguiti dal gioco d’azzardo illegale5, dallo strozzinaggio e dal contrabbando, con una percentuale relativamente bassa di fondi provenienti da organizzazioni di trafficanti di droga6. Julian Russell, direttore di Pacific Risk, una organizzazione di consulenza per la gestione del rischio basata ad Hong Kong, ha notato che effettivamente la maggior parte dei casi di money laundering esaminati coinvolgono casi di frode derivanti da investimenti esteri in Cina7.
La legislazione anti-riciclaggio di Hong Kong di fatto non è catalogabile come lassista, ma la estrema permeabilità della Regione autonoma al transito di capitali fa in modo che essa sia spesso utilizzata come intermediario: i proventi qui riciclati sono poi diretti verso altre giurisdizioni con regolamentazioni Anti-Money Laundering e Counter Terrorism Financing (AML-CTF) meno rigide e trasparenti, come Singapore e la Svizzera.
Le operazioni di riciclaggio necessitano, per propria natura, di essere portate a termine nel minor tempo possibile e soprattutto puntando a rendere i flussi di denaro irrintracciabili8. Per questo l’attività di riciclaggio si colloca generalmente quanto più lontana possibile dal luogo di commissione del reato presupposto, spesso tramite il deposito dei fondi da occultare presso i c.d. Paesi Offshore (o Paradisi Fiscali). La varietà delle operazioni e la distanza geografica che spesso le separa l’una dall’altra sono due elementi che rendono a dir poco arduo rintracciare i flussi di denaro sporco. In aggiunta, le “opportunità” fornite dalla globalizzazione rendono più semplice la commissione di reati finanziari i quali, come testimonia il caso di Hong Kong, sono sempre più spesso reati presupposti di operazioni di riciclaggio. Questo spiega senz’altro per quale ragione Hong Kong presenti un numero così alto di segnalazioni di operazioni sospette: la vivacità dei flussi economici e finanziari la rende particolarmente adatta alla stratificazione di fondi illeciti9.
Il sistema AML/CTF di Hong Kong: limiti e progressi
Se quella del riciclaggio è una delle principali preoccupazioni in capo alle compagnie di servizi finanziari in tutto il mondo, ad Hong Kong è una problematica prioritaria10. Membro della Financial Action Task Force (FATF), corpo intergovernativo adibito allo sviluppo e alla promozione di politiche per combattere il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, oltre che dell’organizzazione regionale Asia Pacific Group on money laundering (APG), Hong Kong è soggetta alla valutazione annuale della FATF. Nel 2008 fu giudicata Partly compliant e fu quindi invitata a rivedere la sua legislazione Anti-money laundering e Counter terrorism financing. Il 1 Aprile 2012 fu conseguentemente emanata la Anti-Money Laundering and Counter-Terrorist Financing (Financial Institutions) Ordinance (AMLO), nuova e più severa regolamentazione antiriciclaggio.
La AMLO istituisce misure quali l’adeguata verifica della clientela e l’obbligo di conservazione dei dati, prevedendo sanzioni per le istituzioni finanziarie che le dovessero violare. La legge regola anche le agenzie di cambio valuta e money transfer e fornisce poteri statutari ai regolatori finanziari di sorvegliare l’osservanza. Conseguentemente alla promulgazione della nuova regolamentazione – senz’altro più coerente con le 40 raccomandazioni della FATF11 – è stato riconosciuto dalla FATF il significativo progresso della Regione Amministrativa Speciale nel campo. Le autorità monetarie e finanziarie di Hong Kong hanno condotto una vasta campagna di sensibilizzazione, per sottolineare l’importanza di severi controlli antiriciclaggio. È inoltre in fase di valutazione la realizzazione di un sistema di controllo cross-border12.
Sono stati senza dubbio gli anzidetti sforzi locali, in sinergia con il controllo normativo a contribuire al numero record di segnalazioni di operazioni sospette giunte alla Joint Financial Intelligence Unit (JFIU)13 di Hong Kong lo scorso anno. L’unità è stata istituita nel 1989 per ricevere le segnalazioni di attività finanziarie sospette riguardo al traffico di droga e al riciclaggio. Dalla JFIU sono state ricevute nel 2013 più di 33 mila segnalazioni, il 40 percento in più rispetto all’anno precedente. In conseguenza, dei 172 processi per riciclaggio avvenuti lo scorso anno, ben 140 si sono conclusi con giudizi di colpevolezza14. Se questi dati sono incoraggianti dal punto di vista della accresciuta compliance di Hong Kong, evidenziano in ogni caso la persistenza del problema.
In funzione del recente aumento del numero di segnalazioni di operazioni sarebbe auspicabile una diversa e più efficace allocazione delle risorse di analisi e di indagine sul territorio. Sarebbe opportuno stabilire obblighi di segnalazione per le operazioni in contante che superino una determinata soglia – misura attualmente non prevista – oltre ad una maggiore attenzione riguardo al riciclaggio basato sul commercio di beni.
La concessione di autonomia economico-finanziaria come strumento di controllo di Pechino
Per quanto riguarda il ruolo del governo centrale cinese nel complesso panorama economico-finanziario della sua Regione Amministrativa Speciale, da una parte il ruolo di Hong Kong quale testa di ponte per le imprese straniere che vogliano investire in Cina ha permesso un non trascurabile flusso di capitali anche verso Pechino, dall’altra ha creato evidenti problemi riguardanti il riassorbimento dell’ex colonia britannica, previsto per il 2047, che sarà particolarmente difficile. La capacità di Hong Kong di attrarre capitale, qualunque sia la sua origine, è anche e soprattutto un problema politico.
In quest’ottica si spiega la creazione, avvenuta a Settembre, della Free Trade Zone (FTZ) di Shanghai, con l’intento di Pechino di ridimensionare la capacità di attrazione di capitale di Hong Kong, depotenziandone il ruolo a livello geoeconomico e finanziario. La FTZ di Shanghai permette massicci investimenti nei settori bancario, finanziario e assicurativo, oltre che in quelli della logistica e dei servizi. La concessione di misure più lassiste ai fini dell’attrazione di capitale straniero è un vero e proprio strumento che Pechino usa per aprire e chiudere i portoni di accesso alla propria economia.
Non è una novità che Paesi, Regioni o Città che non dispongono di un potenziale economico sostanziale ma che sono caratterizzati da governi stabili ed omogenei, come Hong Kong, mirino a sfruttare fonti alternative di reddito, sviluppando un’elevata specializzazione nelle attività del settore terziario, in particolare nel settore finanziario. La particolarità del caso in esame è tuttavia che la concessione di autonomia – o di deregulation – in materia finanziaria, sia in buona sostanza uno strumento del governo centrale cinese.
In ogni caso Hong Kong resta per ora la principale detentrice del titolo di hub economico-finanziario asiatico. La Regione Amministrativa Speciale ha tutto l’interesse a canalizzare i suoi sforzi verso la definitiva cancellazione dalla blacklist dei paradisi fiscali15, vista in particolare la nuova concorrenza con Shanghai come meta d’investimento estero diretto. Hong Kong trarrebbe particolare vantaggio dall’essere giudicata compliant nei settori AML-CTF e anche i trattati contro la doppia imposizione stilati con alcuni stati membri dell’Unione Europea (tra cui anche l’Italia) sono la prova che lo sforzo verso una maggiore trasparenza in materia fiscale e finanziaria sia necessaria per acquisire maggiore credibilità di fronte alla comunità internazionale e resistere quindi alle prove imposte da Pechino.
I suddetti trattati sono diretti a evitare la doppia imposizione dei redditi derivanti dai rapporti commerciali tra due giurisdizioni, a contribuire allo sviluppo di investimenti delle imprese straniere nei mercati asiatici e a contrastare l’evasione fiscale attraverso un adeguato scambio di informazioni16. Sono elementi che verosimilmente concorreranno, insieme alla AMLO, a far restare Hong Kong sul podio delle piazze finanziare ed economiche asiatiche, rendendo al contempo i flussi di denaro sporco che attraversano la regione più facilmente rintracciabili.
Pechino utilizza quindi la concessione di un maggior lassismo regolamentare in materia finanziaria e fiscale a Shanghai per favorirne l’ascesa e quindi ridurre contestualmente il peso economico-finanziario di Hong Kong. In questo modo, la regione amministrativa speciale cinese diverrebbe più agilmente “riassorbibile” nel 2047. Hong Kong di conseguenza cerca di tutelarsi, rispondendo con maggior rigore regolamentare, puntando verso la trasparenza piuttosto che verso la deregolamentazione, per non perdere credibilità e continuare ad attrarre capitale straniero, auspicabilmente pulito.
Bibliografia
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