Magazine Lavoro

Ricordando Sergio Garavini

Da Brunougolini

Ricordando Sergio Garavini
Da "Critica marxista", luglio 2014
laboratorio culturale
GARAVINI E LA LOTTA PER
«UN NUOVO DISCORSO SOCIALISTA»
Garavini non è stato un “conservatore”, ma un dirigente attento
ai mutamenti dei processi produttivi e alle necessità del rinnovamento sindacale.
Convergenze e differenze con Trentin. Dalla “svolta dell’Eur” ai 35 giorni della Fiat.
Le ultime battaglie: Rifondazione comunista e dopo.
Credo sia utile ricordare Sergio Garavini, anche per
capire meglio quello che il mondo del lavoro sta vivendo
oggi, nel cuore di una distruttiva crisi economico sociale.
L’epoca nella quale l’ex dirigente della Cgil e poi
segretario di Rifondazione comunista ha cominciato a
operare, negli anni Cinquanta, non è certo un’epoca facile.
La Cgil è isolata e per i suoi delegati, alla Fiat, si
creano i reparti confino. Le elezioni di commissione interna
decretano la sconfitta dell’organizzazione guidata
da Giuseppe Di Vittorio. Il sindacato però sa, in tali
frangenti, reagire non chiudendosi in una specie di fortino,
bensì imboccando la strada che è chiamata del “ritorno
in fabbrica”. Garavini è (accanto a Bruno Trentin,
Vittorio Foa, Luciano Romagnoli e altri) un artefice
di quella svolta.
Ricorda Giovanni De Stefanis, uno stimato dirigente
sindacale torinese, la sua opera paziente e tenace,
assieme ai quadri operai torinesi, nella «difficile ricerca
di errori, insufficienze, cause determinanti, andando
oltre il muro del pianto della divisione sindacale
e della repressione politica»1. È Garavini a introdurre,
con autorevolezza rigorosa, «elementi di conoscenza
e studio che danno respiro e sottraggono in parte all’avvilimento
del disorientamento, della subordinazione».
Tra i temi affrontati, osserva ancoraDeStefanis, ci sono
«la valutazione della produttività, il mercato europeo
dell’automobile e dei veicoli industriali, il potenziale
d’impresa della Fiat, la natura del monopolio, l’autofinanziamento
e il sostegno dello Stato, l’industria a partecipazione
statale, l’importazione dagli Stati Uniti del
fordismo e del taylorismo, l’innovazione tecnica e i livelli
di qualificazione del lavoro, salari, orari e ambiente
di lavoro, il ruolo della Olivetti, quello della Riv, l’indotto
della metalmeccanica...».
Non solo, dunque, i problemi della condizione nel
luogo di lavoro, ma anche quelli relativi alle prospettive
produttive del complesso manifatturiero.
È, però, soprattutto, un’attività di formazione
permanente sugli aspetti del lavoro da immettere nella
contrattazione ricuperando “dal basso” l’unità d’azione
sindacale.Garavini si affaccia così nello scenario politico-
sindacale, smentendo da subito la caricatura che
spesso si farà della sua personalità, dipinta come quella
di un “conservatore”. Invece, nel dipanarsi della
1) Da http://www.sindacalmente.org/content/lattualita-di-sergio-
garavini-mdellacqua-e-gde-stefanis-storia-del-sindacato-
131210. Appunti per un intervento a un convegno su Garavini del
10 novembre 2012 a Torino.
Bruno Ugolini 36
sua attività, attraverso le diverse tappe del suo agire,
è possibile individuare la persistente capacità e voglia
di rinnovamento, accanto alla difesa strenua, certo,
di diritti considerati “indisponibili”.
Così nella vicenda della cosiddetta “vetturetta”
quando, con Egidio Sullotto, impugnando l’art. 46 della
Costituzione, rivendica il diritto a collaborare alla
gestione delle aziende. Un’affermazione che precede la
presentazione un po’ ingenua, ma emblematica, nell’aprile
del 1952, di un modello di vettura, progettata con
l’apporto degli operai, al Salone dell’auto di Torino e poi
al Festival dell’Unità.
Garavini e Trentin
Un Garavini non chiuso, dunque, in una limitata dimensione
corporativa, come dimostrerà poi nella intensa
battaglia politica, anche all’interno del suo sindacato,
affinché la scelta dei Consigli di fabbrica, formati attraverso
l’elezione dei delegati, diventi patrimonio di
tutti, vincendo resistenze, dubbi, ostacoli. Anche se la
sua convinzione in quel periodo – e in questo si differenzia
da Bruno Trentin – assegna a quei nuovi organismi
un più vasto ruolo politico, non limitato agli ambiti sindacali.
Entrambi, Garavini e Trentin, sono catalogati
nella cosiddetta “sinistra sindacale”,ma portatori di posizioni
spesso divergenti.
La ricerca effettuata da Adriano Ballone fa risalire
agli anni Cinquanta un primo confronto dialettico.
Siamo a un importante convegno su lavoratori e progresso
tecnico a Torino e i rilievi di Sergio investono le
cosiddette “relazioni umane” di cui parla Trentin, nonché
la questione del salario. Sono differenziazioni che,
accanto a forti sintonie, diventano più estese col passare
degli anni.
Garavini, annota Fabrizio Loreto, sostiene la non
riformabilità del sistema, derivante dalla «natura del
potere nell’azienda capitalistica». Unica risposta consiste,
per lui, in «forme autonome di potere e di organizzazione
della classe operaia nell’azienda». Ed è qui che
si manifesta un forte dissenso. Entrambi sono fautori
dei Consigli di fabbrica, ma mentre per Trentin questi
erano “proprietà” del sindacato, per Garavini avrebbero
dovuto godere di una maggiore autonomia. Così si
esprime Garavini: «Un punto del discorso complessivo
di Trentin mi pare da considerare problematicamente:
i Consigli. La sua tesi è in sostanza che i Consigli hanno
potuto formarsi sulla scala almeno di grande parte
dell’industria, quale rappresentanza diretta dei lavoratori,
non pregiudizialmente filtrata dalle strutture organizzate,
ma comunque promossi ed inquadrati dal
sindacato. Amio parere invece la soluzione trovata nella
completa identificazione con il sindacato, che in ultima
analisi eliminava l’autonomia politica dei Consigli,
ha presentato fin dall’inizio un limite, che poteva essere
superato solo consentendo ai Consigli stessi più ampia
autonomia. Il problema era che il sindacato deiConsigli
costituiva solo una parte delmovimento sindacale
e doveva vivere in un contesto che lo costringeva continuamente
al compromesso con la tendenza forte e trasversale
nelle Confederazioni, per le quali il sindacato
doveva essere un’organizzazione di iscritti, interprete
di una tendenza ben definita, non una rappresentanza
di tutti i lavoratori»2.
Anni più tardi quando Trentin da Segretario generaledellaCgil
lancia la suapropostadiunnuovo “sindacato
dei diritti”, Garavini osserva come «fra la materialità
dei bisogni e i diritti di libertà» non vi sia «un prima
e un poi». Entrambi gli obiettivi vanno perseguiti
con l’azione sindacale, nello stesso momento e con la
stessa convinzione. Per arrivare ai diritti occorre partire
dall’analisi di una «condizione del lavoro nella quale
non c’è più formalmente la persona che lavora e dunque
nemmeno i suoi diritti» e occorre «proporre la prima
libertà personale: il superamento delle condizioni di
inferiorità sociale dei singoli individui, i quali devono
subire il dominio della domanda di lavoro e della organizzazione
del rapporto di lavoro reale». Insomma per
Garavini «l’affermazione dei diritti deve cominciare nei
rapporti sociali, nella ricostruzione della solidarietà per
cambiare quei rapporti»3.
2) Adriano Ballone e Fabrizio Loreto, Sergio Garavini. Il sindacalista
politico, Roma, Ediesse, p. 440, nn. 11-12.
3) Bruno Trentin, Autunno caldo. Il secondo biennio rosso 1968-
1969 (intervista a cura di Guido Liguori), Roma, Editori Riuniti,
1999. Cfr anche Ripensando l’autunno caldo. L’ultimo libro di
Trentin, in La rivista del Manifesto, 1999, n. 1 (ora anche in
www.larivistadelmanifesto.it/archivio/1/1A19991214.html).
37 laboratorio culturale
La “svolta dell’Eur”
Sono connotati che distinguono la sua personalità anche
rispetto a un dirigente a fianco del quale condivide
anni di lavoro comune: Luciano Lama. Sono i dieci
anni in cui Sergio opera nella segreteria confederale
(1975-1985). Ed è l’epoca di una tappa che fa molto
discutere: la cosiddetta svolta dell’Eur.
Non si può parlare per quella occasione di una
netta contrapposizione di Garavini (così come di
Trentin) rispetto alle posizioni di Lama. Semmai si
può parlare di una lettura diversa di quell’appuntamento.
Garavini, rammentano gli storici, non prende
la parola in quella assemblea. Condivide però l’esigenza
di una “svolta di politica economica”, formulata
dal gruppo dirigente del sindacato e approvata a
larga maggioranza dalle assemblee di base, nei luoghi
di lavoro e nei territori. E a proposito di moderazione
salariale (così in sostanza viene interpretata dai
massmedia la svolta dell’Eur), Garavini punta l’indice
semmai sulla qualità della nuova rivendicazione
salariale: «È finito il tempo in cui si poteva pensare
di fare tutte le politiche salariali; la contingenza e l’indicizzazione
di altre voci salariali, gli scatti e buoni
parametri di qualifica, alte liquidazioni e adeguate
pensioni». La scelta investe la struttura del salario e
del costo del lavoro, prevede il controllo contrattuale
sulla retribuzione di fatto e la difesa della scala mobile.
Fatto sta che se in quella stagione il sindacato
italiano cambia pelle, stimola un vasto processo di
partecipazione democratica, opponendosi alle gesta
criminali del terrorismo armato, e anche e soprattutto
permerito di uomini come Sergio Garavini (nonché
Lama, Trentin, e molti altri). Nonché di dirigenti di
Cisl e Uil come Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto.
Garavini lascia poi una sua particolare impronta nei
profondi processi di ristrutturazione industriale.
Molti ancora oggi, tra i dirigenti sindacali non della
sola Cgil, ricordano e apprezzano le doti di Garavini
nelle vesti di “contrattualista”. Molti ne lodano le capacità
di negoziatore, come quelle di un dirigente che
conosce le materie e non parla a vanvera. Capace anche
di compromessi quando è il caso. Già negli anni
Cinquanta ha il modo di esprimersi così: «Il sindacato,
oltre alla propaganda, all’agitazione e alle lotte,
deve tendere a dei risultati sindacali concreti e dunque
bisogna anche saper mutare le posizioni tattiche
quando è necessario […] bandire l’abitudine di piangere
sull’asprezza della situazione»4.
Tra i vari accordi conquistati è da ricordare
quello destinato a permettere all’industria tessile di
utilizzare in modo maggiore gli impianti. Un’intesa
raggiunta non senza problemi onde convincere le operaie
e gli operai del settore ad applicare il cosiddetto
“sei per sei” nei turni di lavoro. Forme di lavoro che
rompevano antiche abitudini, permettevano un uso
diverso del tempo, nonché una maggiore espansione
produttiva e quindi una salvaguardia del futuro per
il lavoro di tutti.
I 35 giorni della Fiat
Un dirigente, dunque, capace di nuove proposte atte
a corrispondere a esigenze dell’impresa e, quindi, anche
a compromessi purché lasciassero aperte le possibilità
di raggiungere nuove mete.
Un atteggiamento che ribadisce più tardi commentando
i 35 giorni di lotta alla Fiat nel 1980 e sostenendo
che la sola resistenza alla lunga porta a sonore
sconfitte. La mera difesa dell’esistente, scrive,
consegna nelle mani della controparte «l’esigenza di
cambiare la struttura produttiva, che è oggettiva nella
crisi». Certo, è anche pronto al rifiuto quando alcuni
passaggi non lo convincono. Così nel corso della
discussione sulla scala mobile allorché non condivide
la necessità di affrontare il tema di una riforma del
salario, di fronte alla campagna di governo e imprenditori,
e mantiene una netta posizione di rifiuto. Posizione
ripetuta negli anni Novanta quando, abolita
in un primo tempo la scala mobile (governo Amato) si
vara, sotto l’egida di Bruno Trentin e con un ruolo importante
del governo Ciampi, un nuovo assetto con-
4) Adriano Ballone e Fabrizio Loreto, op. cit., p. 475.
Bruno Ugolini 38
trattuale che dovrebbe risultare un sostituto della
scala mobile.
Gli orientamenti espressi da Garavini rappresentano,
in definitiva, il suo modo di mantenersi fedele ai
primi impegni dimilitante. Riassume così il senso della
sua vita: «Se per vita si intende il maturare della propria
vigile coscienza, lamia vita è cominciata così e così
è continuata.Trovando, subito nella fabbrica, nella classe
operaia, ambienti e personaggi formidabili. Capaci di
contrapporre alla fantasia il realismo, ma di fare salire
dalla realtà della loro condizione umana e sociale un’incredibile
coerenza ideale. Ho trovato il contrario della
corruzione,un’ingenuità così grande e genuina che sipoteva
anche speculare, tentare di ricondurla a una fede
fuori dalla ragione»5. È lo stesso Garavini che sostiene,
però, di non essere affetto da nostalgie e scrive: «Non vi
guardo con nostalgia. Quel mondo è cambiato, ma le
grandi idee che ho ricevuto e trasmesso attraversano,
dopo mezzo secolo, i cambiamenti in atto, e possono ricevere
altre sollecitazioni, produrre nuove coerenze»6.
C’è nei suoi scritti, rielaborati nel libro a lui dedicato
da Ballone e Loreto. una specie di filo conduttore,
un leit motiv. È la parola democrazia. Riguarda prima
che il sindacato e il partito comunista, l’esperienza dei
cosiddetti paesi socialisti, espressi in anticipo, rispetto
al crollo del muro di Berlino. Per Garavini «senza una
partecipazione reale dei lavoratori il socialismo non è
burocratico, semplicemente non è socialismo»7. Scrive:
«Ilproblemaèdivedere,didibattere,didiscutere,di centrare
l’attenzione sulmodo come si sviluppa il carattere
democraticodellaprogrammazione economicacomedella
direzione del controllo sull’economia inUnione Sovietica,
poiché questo è uno dei problemi che si pone anche
in relazione alla lotta che conducono i lavoratori nei paesi
capitalistici»8.
Democrazia e partecipazione sono termini che ritornano
nel congresso della Fiom (da lui diretta) a Napoli
nel 1986: «Vi è una validità universale nella esperienza
fatta con i Consigli di fabbrica. Questa validità
universale consistenellanecessitàdi trovare tutte le forze
adatte ai tempi e alle condizioni perché possa vivere
emanifestarsi la democrazia operaia diretta»9. Così invita
i gruppi dirigenti ad avere più coraggio e amettere
indiscussione schemidi letturaobsoleti e comportamenti
superati: in particolare il vecchiometodo di direzione,
«della Seconda come della Terza Internazionale, di
Kautsky come di Lenin»10, fondato su un’avanguardia
elitaria che finiva per appannare la partecipazione dei
rappresentati.
Per un “nuovo discorso socialista”
Sono concetti che tenterà di far rivivere quando, lasciato
il sindacato, accetta di dirigere un nuovo partito,
Rifondazione comunista, con l’intento, però, non di fare
il custode di unmausoleoma, appunto, di “rifondare”. È
un nuovo traguardo per chi, come Garavini, non ha accettato
la “svolta” di Achille Occhetto e lo scioglimento
del Partito comunista italiano. Già in giovinezza è stato
funzionario del Pci di Torino.Una scelta allora sofferta,
per un rampollo di una famiglia borghese, spesso
guardato con sospetto per queste origini non proletarie.
Sergio ha dovuto vincere insofferenze e sospetti, conquistando
rapidamente la fiducia degli operai torinesi.
Non cessa,malgrado travagli e difficoltà, dopo esser
stato costretto alle dimissioni da segretario di Rifondazione,
di coltivare la sua utopia in nome di un nuovo
“discorso socialista”: «Il luogo cui tendere è quello in cui
ogni persona e ogni comunità conti e decida sulla condizioni
di vita e di lavoro e nei rapporti con le istituzioni
[…]Abitare l’utopia è la condizione che va ricercata.Non
per fuggire dalmondo reale della politica in atto.Al contrario
perché il solomodo di influire, di essere protagonista,
è proporre e produrre una tensione, spendersi
su un’ipotesi, patrocinare un progetto»11.
5) Ivi, p. 51.
6) Ibidem.
7) Ivi, p. 477.
8) Ibidem.
9) Ibidem.
10) Dalla relazione di Garavini al 18° Congresso Fiom, svoltosi
a Napoli il 12 febbraio 1986, in Adriano Ballone e Fabrizio Loreto,
op. cit., p., p. 436.
11) Sergio Garavini, Ripensare l’illusione. Una prospettiva dalla
fine del secolo, Rubbettino, ora in Sergio Garavini. Il sindacalista
politico, cit., p. 479.
39 laboratorio culturale
Un significativo confronto tra il passato e il presente
lo si può ricavare anche da una lettera scritta a
un «giovane compagno contestatore». Ricorda a costui
Garavini come «A metà degli anni Cinquanta ci hanno
letteralmente spazzati via dalle grandi fabbriche,
dalla classe operaia, nostra base essenziale. Alla Fiat
siamo stati vicini alla scomparsa, con il licenziamento
di quasi tutti i nostri compagni. Avevamo perduto
il contatto con la realtà delle nuove condizioni determinate
dalla espansione economica post-bellica, non
eravamo riusciti a renderci interpreti dei nuovi bisogni
maturati da quelle condizioni […] Siamo sembrati
già allora, per anni, in quelle grandi fabbriche, una
riserva indiana». Eppure fin da allora «non solo si organizzò
una resistenza e una ripresa, ma si analizzò
la grande trasformazione intervenuta nell’organizzazione
capitalistica del lavoro e si rinnovarono radicalmente
contenuti e forme della lotta sindacale»12.
E in riferimento a processi in atto ancora oggi
nel sindacato Garavini osserva: «La burocratizzazione
di destra distacca i lavoratori dal sindacato nel
senso che ne riduce il ruolo in una dimensione che non
è più autonoma. La burocratizzazione di sinistra induce
invece i lavoratori ad una posizione che è di classe
ma cade anche essa in una condizione di sopravvivenza
spingendo il movimento verso lotte forti, eroiche
ma che finiscono con la sconfitta»13. Analisi che
non hanno perso la loro validità.
12) Sergio Garavini, Le ragioni di un comunista. Scritti e riflessioni
sullo scioglimento del Pci e sulla nascita di una nuova forza
comunista in Italia, Roma, Datanews, 1991, ora in Sergio Garavini.
Il sindacalista politico, cit., p. 165.

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