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Ricordi del 1968

Creato il 06 febbraio 2014 da Albix

Ricordi del 1968Nel 1968 gli studenti di mezza Europa avevano dato origine ad un grande movimento che si proponeva di cambiare radicalmente non tanto la società, quanto il modo di pensare della gente.

Non si voleva allora né distruggere, né saccheggiare, né violentare vergini e bambini.

Ma si pensava che la società doveva essere cambiata perché l’industrializzazione forzata, il consumismo esasperato, l’avvento della nuova 

scienza dell’automazione degli impianti, avrebbero portato alla disoccupazione di massa, alla concentrazione del potere nelle mani di pochi, alla miseria di molti.

In quel tempo si cominciò a parlare non più in termini di nazione ma in quelli dell’umanità intera. 

E si parlava di “Rivoluzione culturale”, parole che ci vennero dalla Cina, con le quali si voleva affermare l’idea che il cambiamento doveva avvenire  nella mente e nel modo di pensare della gente, prima che nelle strutture sociali: ” portare la cultura al popolo”, questo era lo slogan più diffuso fra gli studenti.

Si pensava, e lo scrivevano anche i giornali, che la povertà nei paesi in via di sviluppo, fra i quali si comprendevano tutti i paesi africani e gran parte di quelli latino-americani ed asiatici e la rapina sistematica delle ricchezze di questi, da parte delle multinazionali dell’Occidente ricco, avrebbero dato origine a tensioni che potevano portare ad una guerra totale. In quel tempo gli studenti guardavano con simpatia ai movimenti di liberazione di questi paesi, molti dei quali proprio in quegli anni avevano ottenuto l’indipendenza.

Agli americani non piaceva che il movimento di liberazione nazionale fosse guidato dai comunisti, che dopo avere sconfitto i francesi e costituito una repubblica indipendente e socialista nella metà settentrionale del Paese, avrebbero voluto riunificare tutto il Vietnam

Dal Vietnam la guerriglia comunista si era estesa nei paesi vicini, il Laos e la Cambogia.

Gli americani, dopo essere intervenuti prima con pochi “consiglieri”, non riuscendo a vincere, accrebbero progressivamente il numero delle loro truppe fino a raggiungere i cinquecentomila soldati, facendo anche un uso massiccio di bombardamenti aerei ed armi chimiche , i defoglianti e il napalm.

Ma i Vietnamiti resistevano gagliardamente e la guerra degli americani divenne ben presto impopolare sia in Europa che negli Stati Uniti.

Il movimento studentesco si schierò unitariamente col Vietnam e con il suo capo Ho Chi Min, e popolare divenne il comandante dell’esercito vietnamita, il generale Giap, che a Dien Bien Fu nel 1953 aveva sconfitto clamorosamente i francesi.

Non solo gli studenti ma anche la gran parte degli intellettuali europei e americani simpatizzavano col movimento di liberazione vietnamita.

Si diceva poi che negli stessi paesi ricchi dell’Occidente la democrazia era più apparente che reale perché le classi dominanti mediante i mezzi di comunicazione di massa che essi controllavano, giornali, televisione e in una certa misura la stessa scuola, potevano formare a loro piacimento l’opinione pubblica.

Questa tesi era affermata con particolare forza dagli studenti tedeschi che organizzarono grosse manifestazioni contro l’editore Springer. Il capo degli studenti tedeschi Rudi Dutsche subì un attentato, prendendosi un colpo di pistola alla testa e morì anni più tardi misteriosamente in Svezia.

Negli Stati Uniti la figlia di un grosso editore fu rapita da un misterioso movimento di liberazione, si innamorò del capo e si unì ai guerriglieri.

Ci fu un ampio dibattito nella società americana, discutendosi molto sulla sincerità di quell’amore.

Si constatava pure come la nostra società non assicurava per niente l’eguaglianza dei diritti fra tutti i cittadini.

Si poteva facilmente osservare nell’Università che i figli degli operai e dei contadini erano una minoranza.

“La scuola italiana è una scuola di classe due volte”, diceva uno degli slogan più famosi.

Due volte: perché l’istruzione universitaria era principalmente riservata ai figli dei benestanti e perché i contenuti di quell’istruzione erano (e sono) quelli che servono alla classe dominante.

Esempio: in materia di arte e letteratura l’interpretazione che si da alle opere dei nostri grandi artisti, scrittori, poeti, etc. non tiene affatto conto delle idee che costoro professarono in vita, ma si attribuiscono ad essi quelle idee e quei pensieri che piacciono alla nostra classe borghese.

Nel lavoro non è il merito quello che permette di progredire, non sono i migliori che vanno avanti, ma coloro che si sono “integrati” nel sistema, cioè quelli che hanno acriticamente accettato tutti i valori, le abitudini, le tradizioni, il modo di procedere, i pensieri di quelli che hanno il potere. Gli altri vengono emarginati.

Quanto ciò sia vero, io ho potuto constatare direttamente nella mia carriera professionale.

In un ambiente dominato dalla legge del profitto, la competizione si svolge sul piano della capacità di ciascuno di assicurare quei servizi leciti o illeciti, morali o immorali per i quali viene pagato, senza che egli si ponga problemi sul fine di quello che fa, sia in bene che in male; cioè l’imprenditore si rivolge all’impiegato dicendogli: “Io voglio da te un lavoro che a me produca un reddito. Tu non ti devi porre problemi sulla moralità di quello che io faccio e faccio fare a te. Siamo qui per guadagnare”.

Così nel campo dell’arte non sarà il grande scrittore ad aver successo, ovvero colui che indaga con l’animo acuto nel cuore dell’uomo e nei problemi della società, ma colui che sfruttando i pregiudizi, le illusioni ed il desiderio d’evasione di masse indottrinate, plagiate dalla pubblicità, riesce a sfornare un best seller dietro l’altro.

Nel campo della politica vince il demagogo, colui che ignorando i problemi profondi, si rivolge alle masse proclamando: “Dobbiamo pagare tutti meno tasse” o solletica le corde nazionalistiche “Siamo i più grandi nel mondo e dobbiamo restarci” o colui che porta avanti rivendicazioni settoriali per niente curando se queste danneggino gli interessi collettivi.

Nel campo finanziario viene premiato chi è più abile nel gioco in borsa, ed in quello dell’ingegneria e dell’architettura chi meglio riesce ad evadere le leggi edilizie ed a gestire i contratti d’appalto con vantaggio dell’imprenditore.

Un avvocato è considerato “bravo” quando riesce a far assolvere i più noti criminali, un commercialista quando è bravo a trovare il modo di non far pagare le tasse ai suoi clienti senza che il fisco se ne accorga e così via.

Poi c’era il grande problema del rapporto con gli operai: “E’ giusto, si diceva, che il lavoro e quindi la vita di milioni di operai dipendano dalle decisioni di poche migliaia di persone che in fabbrica non ci entrano mai?

Non ha l’operaio, che in fabbrica ci passa otto ore al giorno, il diritto di partecipare alle decisioni ed alle scelte da cui dipende la sua vita e quella dei suoi figli? Ed oltre che il diritto non ha anche il dovere di mantenere le sue rivendicazioni e le sue richieste di aumenti salariali ed altro nei limiti consentiti dall’economia dell’impresa?”

Dobbiamo costruire una società a misura d’uomo od a misura di macchine?

Dobbiamo licenziare gli operai e far lavorare i computer e gli automi solo perché così l’azienda può dare maggiori profitti agli azionisti? E dobbiamo produrre l’inutile, il superfluo, il dannoso, come le armi, piuttosto che cose utili e necessarie in un mondo nel quale più della metà della popolazione soffre la fame? ( E perché non dar posto al bello oltre che all’utile? Aggiungo io oggi, perché il bello è utile! Se si torna ad apprezzare il bello nelle cose, allora veramente può rinascere l’artigianato e le piccole imprese posso riemergere, altrimenti sono dannate all’estinzione).

Questi erano i temi del ’68 prima che il movimento venisse coscientemente spinto su posizioni estreme, utopistiche, irrealizzabili, per essere poi criminalizzato e sconfitto, oppure essere deviato su altri temi che non incidevano sulla struttura della società, liberazione sessuale, etc. tutti argomenti nei quali lo stato meno interviene, meglio è, ovvero dovrebbe intervenire solo allo scopo di punire reati esplicitamente riconosciuti come tali dalla Legge.

Angelo Ruggeri


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