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Ricordi del ’68 – II

Creato il 12 febbraio 2014 da Albix

Ricordi del ’68 – II

Movimento studentesco Romano

 

“Fammi capire Fantasio, tu dici che l’idea trasmessa dalla stampa popolare e recepita dal popolo secondo la quale gli studenti contestatori erano quelli che avevano poca voglia di studiare è falsa?”

“Falsissima, e te lo dimostro facilmente: tutte le occupazioni delle facoltà furono votate in libere assemblee…”

“Alle quali partecipavano una minoranza degli studenti…”

“Certo: se tu conoscessi la situazione dell’Università di Roma capiresti perché. Una piccola minoranza degli studenti segue regolarmente le lezioni e se tutti  frequentassero, non ci sarebbero aule sufficienti a contenerli. Pensa, già ai miei tempi l’Università di Roma contava più di centomila studenti.”

“E dunque, tu dici, la minoranza di studenti che partecipava alle assemblee era la stessa che frequentava regolarmente.”

“Tu lo dici e mi sembra evidente”

“Dunque non è vero che la polizia interveniva soltanto quando era chiamata dagli studenti che volevano frequentare le lezioni e non potevano perché impediti da una “minoranza violenta?”

“Non è vero”

“Anche a ingegneria, dove tu avevi una qualche parte?”

“A ingegneria non ci fu intervento della polizia e l’occupazione terminò quando gli studenti in assemblea votarono a maggioranza la fine dell’occupazione”

“E non ci fu violenza alcuna?”

“No, anche perché da noi il dibattito non fu mai violentemente politicizzato”

“Nonostante ciò, tu dici che fosti discriminato e dopo la laurea non ti fu permesso di lavorare in Italia”.

“Certo”

“E degli altri che furono attivi nell’occupazione che mi dici?”

“So che alcuni cambiarono Facoltà, ma poi persi i contatti con tutti”.

“E degli studenti contestatori delle altre facoltà?”

“Seppi qualcosa dai giornali. Ma nessuno di quelli che io conobbi, almeno per nome, ebbe trionfi nella vita pubblica o professionale e temo che molti abbiano avuto sorte pari alla mia e forse peggiore”

“E tu dici anche che il movimento ebbe all’inizio la “spinta” delle autorità sia accademiche che politiche?”

“Ti dico che io ho visto  ed ascoltato gli esponenti delle “pantere nere” americane parlare, trionfalmente accolti, nell’aula magna dell’università di Roma. Così come ho visto autorevolissimi professori ed uomini politici corteggiare gli studenti contestatori”

“I quali poi furono così malamente trattati”

“Così è!”

“Spiegami meglio cosa accadde”

“A questo punto ti devo fare un lungo e complesso discorso. Per prima cosa ti devo dire che, contrariamente a quanto si crede, gli anni attorno al ’68 – ’69 non videro l’inizio del movimento riformatore nelle università, ma piuttosto il culmine dopo il quale ci fu la decadenza e la fine. Quel movimento era nato molti anni prima, nei primi anni ’60 quando Papa Giovanni XXIII aprì ai comunisti con la famosa teoria “condanniamo l’errore, rispettiamo l’errante” e per dare l’esempio accolse in Vaticano l’inviato e genero del Capo comunista russo Nikita Krusciov.

Oggi tutti parlano bene di quel papa e sembra che lo vogliano fare Santo, ma ti assicuro che a quel tempo i giudizi su di lui erano molto discordi. C’era chi l’odiava. Nello stesso periodo, dopo la grave crisi di Cuba,  fra Americani e Russi iniziò un dialogo che si pensava avrebbe portato alla distensione fra i due paesi nemici. Il mondo intellettuale poi, sia in Italia che in tutto l’occidente si era spostato molto a sinistra. A mano a mano che l’impegno americano cresceva nel Vietnam molte illustri personalità della cultura europea come Bertrand Russell in Inghilterra, Sartre in Francia , Lelio Basso in Italia  presero nette posizioni contro l’intervento americano e  addirittura costituirono un tribunale contro i crimini americani in Vietnam, al quale aderirono numerosi registi ed attori di Hollywood. Il cinema, che allora era molto seguito ed aveva grossa influenza sui giovani, produceva ottimi film di contenuto che può essere definito progressista se non apertamente rivoluzionario.

Da Hollywood ci venivano film come “Soldato blu” – “Piccolo grande uomo” – “Indovina chi viene a cena” – “Vincitori e vinti” – “Zapata” – “Il fronte del porto” e tanti che, rivedendo la storia americana, si schieravano apertamente a favore delle minoranze oppresse, fossero gli indiani pellirossa o i neri americani. E tutto ciò valse molto ad orientare la parte più colta degli studenti verso un impegno progressista.

La chiesa cattolica, pur se negli alti gradi si manteneva conservatrice, intervenne nel dibattito con i preti progressisti fra i quali il più famoso in Italia fu Don Milani, ma ci fu anche il gruppo dell’Isolotto di Firenze  e a Roma l’abate di S.Paolo. I  libri di Don Milani, “Lettere ad una professoressa” ed altri, affrontarono proprio il problema della scuola di classe che stava a cuore a noi studenti ed anche l’altro grave e sempre attuale dell’obiezione di coscienza agli ordini ingiusti. Perfino la grande stampa italiana  sembrò simpatizzare per un breve periodo con gli studenti.

Io posso dire con tutta sincerità che quando per la prima volta parlai nell’assemblea di Ingegneria ero persuaso che, se non sull’appoggio della maggior parte dei professori, almeno potevamo contare sulla loro neutralità e sulla simpatia degli assistenti. Perciò non ebbi alcun timore a parlare francamente, non aspettandomi per niente di andare incontro a seri guai.

C’era un’altra ragione molto grossa che giustificava questa mia convinzione. Nel 1966 l’Italia era stata sconvolta da quella grande inondazione che provocò gravi danni a Firenze, e sempre in quegli anni, sulle pagine dei giornali c’era il resoconto del processo ai responsabili del disastro del Vajont.

Queste a me sembravano prove che nel nostro paese ed anche nella nostra Università qualcosa doveva cambiare per forza.

Dal romanzo inedito  di Angelo Ruggeri – 2 Continua


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