Molte persone, soprattutto tra i giovani, sono convinte che il ’68 sia stato un gran botto di cannone, i cui echi si sentono ancora nell’aria, come una canzone che ci ricordi i bei tempi andati.
In realtà il ’68, almeno qui a Cagliari (e più in generale in Italia) è stato soltanto l’inizio di un lungo e sofferto cammino che i giovani della mia generazione (e quelli di qualche anno più grandi di me) hanno percorso e vissuto attraverso diverse tappe; un decennio terribile, iniziato nella gioia e nei colori del ’68 (che, a sua volta, affondava le sue radici nella rivoluzione dei figli dei fiori di San Francisco e dintorni, della metà degli anni sessanta, poi diramatosi in mille rivoli, a Berkeley, a Seattle, a Woodstock) e sviluppatasi negli anni successivi nelle lotte politiche e nei movimenti della sinistra extra-parlamentare, per sfociare infine nelle sanguinarie azioni dei gruppi armati, la cui deriva politica e storica, può farsi risalire al rapimento e alla barbara uccisione dell’onorevole Aldo Moro (1978), la vittima innocente, l’agnello sacrificale, il capro espiatorio di una classe politica cinica e corrotta che ha segnato un’epoca.
Infatti, nell’autunno del 1969, alla ripresa dell’anno scolastico 1969-1970, che mi vedeva approdare alla seconda classe, forte di una promozione a giugno, con encomio personale da parte del Preside prof. Antonio Mattu, , gli scioperi ripresero più chiassosi e virulenti che mai.
Io stavo ancora a guardare. C’erano gli studenti di quarta e di quinta che organizzavano gli scioperi e i cortei.
All’ingresso i picchetti avevano lasciato il posto al semplice volantinaggio. Chi voleva poteva entrare. Ma anche a quelli che entravano per fare lezione venivano consegnati dei volantini in ciclostile.
Come avrei scoperto più avanti (quando mi toccò di sostituire gli organizzatori già licenziati) il ciclostile era una macchina che all’apparenza, può essere assimilata alle attuali macchine fotocopiatrici (che allora non esistevano; o magari erano troppo costose per gli studenti). Il ciclostile consisteva in pratica in un motore a rullo, azionato da una manovella. Tu preparavi un dattiloscritto (foglio battuto alla macchina da scrivere, per intenderci con quelli troppo giovani per capire al volo, con l’aggiunta di qualche slogan in caratteri manoscritti con il pennarello) con i tuoi proclami; poi lo posizionavi sul rullo del ciclostile che, imbevuto di inchiostro, ne riproduceva i caratteri, trasmettendoli ai fogli che in sequenza circolare venivano spinti e pressati sul rullo tramite l’azione di una manovella. Potevi così stampare, in poco meno di un’ora, migliaia di volantini, che venivano distribuiti, come già detto, all’ingresso degli istituti superiori della città capoluogo.
Il contenuto di questi volantini (che dovevano portare obbligatoriamente la dicitura “ciclostilati in proprio” per evitare rogne con la censura e con la legge sulla stampa)inneggiava regolarmente all’unione degli studenti medi e universitari con le forze operaie, contro la borghesia italiana e il capitalismo internazionale; poi dovevano contenere gli appuntamenti del giorno, con i diversi cortei che si concludevano, attraverso degli snodi fondamentali nei diversi istituti superiori cittadini (Siotto, Pacinotti, Leonardo, Liceo Artistico, ecc.), o davanti alla sede della Provincia (responsabile della inadeguatezza dell’edilizia scolastica) oppure davanti al Provveditorato agli Studi (che allora si trovava ancora in via San Saturnino) oppure alla Facoltà di Lettere (tutti i salmi, in effetti, finiscono in gloria). Infatti lì, in Piazza d’Armi c’era il centro nevralgico degli intellettuali di sinistra, la famosa macchina per ciclostilare i volantini e la sede della Casa dello Studente (con annessa la Mensa).
Golda Meir e Arafat si fronteggiavano in medio oriente; Dubceck veniva dimissionato in Cecoslavacchia dalle mire anti-imperialistiche dell’unione Sovietica; Fanfani, con l’appoggio della gerarchia vaticana, organizzava la campagna suicida dei democristiani contro il referendum promosso dai radicali per l’introduzione del divorzio in Italia.
Battisti cantava “Fiori rosa, fiori di pesco”; Lucio Dalla “Occhi di ragazza”; Domenico Modugno “La lontananza”.
Il Cagliari, grazie alle reti strepitose del grande Gigi Riva, vinceva il suo primo e unico scudetto.
10. continua