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Gore Vidal ci ha lasciati il 31 luglio: bellissimo da giovane e affascinante da vecchio; con occhi di ghiaccio e ironia pungente, con eterne idee di complotto è stato forse lo scrittore che più ha rappresentato lo scrittore contro e l’ultimo esempio di dandy contemporaneo. Saggista, narratore e polemista (e da molti non considerato un grande narratore; diversa l'opinione del nostro Italo Calvino, suo grande amico), Gore Vidal rinunciò ad una carriera politica già scritta (il nonno era il senatore Vidal), pubblicando nel 1948 La statua sale, mettendo in scena un personaggio apertamente omosessuale e scandalizzando così l’America postbellica. E scandalizzare e provocare sono diventati la sua cifra stilistica: uno dei pochi intellettuali (e questa parola non è usata a caso: ha difatti affermato che essere intellettuali è un obbligo perché gli Americani non sono stupidi, ma ignoranti) dotati di un’ironia sferzante, sempre provocatoria.
Ironia che anima due tra i suoi capolavori, Duluth e Myra Breckinridge, che ampliano lo spettro degli argomenti accettati come letterari dal canone letterario americano: trasformazioni di genere; sesso (anche omosessuale), sovvertimento dei rapporti uomo-donna e potere dei media.
Uno scrittore, Gore Vidal, che insieme ai romanzi ci lascia imponenti raccolte di saggi (purtroppo non tutte pubblicate in italiano) che raccontano la politica e la cultura americane dal punto di vista di uno dei suoi protagonisti (anche considerate le relazioni ereditate per famiglia). E Vidal racconta l’America da una distanza: vissuto in Italia per quasi 40 anni insieme al suo compagno Howard Austen (una villa mozzafiato sulla baia di Ravello, vicino a Napoli). Partito come scrittore per il cinema (un lavoro per mantenersi, ma senza soddisfazioni – collabora ad esempio al colossal hollywoodiano Ben Hur), Vidal si è concentrato sul rapporto tra televisione e vita e sulla sottile linea che le separa. Insieme ai romanzi e ai saggi, Vidal amava anche le interviste – forma di narrazione narcisista per eccellenza – che considerava, al pari di Pasolini, un genere a sé, e le due raccolte autobiografiche: Palinsesto e Navigando a vista.
E, come se fosse un eroe che veglia sul mondo, ci domandiamo: ora che le grandi vedette della cultura mondiale stanno pian piano scomparendo, chi rimarrà a vigilare sulla natura e i limiti del potere? Perché se un romanzo non riflette, anche se indirettamente, sulla natura del potere in ogni sua declinazione, non vale la pena di essere letto.
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