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Ride Hard, Party Hard.

Creato il 09 gennaio 2015 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

Lo scatto fisso è un film urban. Ci sono telai con un manubrio senza freni, ragazzi in cappellino e canottiera con le braccia tatuate e abbronzate per metà. Ci sono le strade divise dalla mezzeria bianca dove le macchine sono bloccate dal traffico e ci sono i tramonti delle grandi città che rendono incantati i palazzi vetrati e dimostrano che qualcosa di magico c’è anche qui.

Francesco Frenk Martucci vive a Carpi e assomiglia a una star punk rock britannica degli anni d’oro del genere, tipo Sex Pistols per intenderci. In realtà, la musica se la mette in cuffia quando pedala. Perché la sua migliore amica non è la chitarra ma la bicicletta.

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Con lo scatto fisso non è amore a prima vista. Qualche anno fa, quando era un Esordiente, il suo allenatore lo portò alla pista di Cavezzo, dove si allenò per preparare i campionati provinciali di Modena e di quei momenti Frenk si ricorda di aver avuto una gran paura all’idea di dover correre senza freni in un velodromo, assieme ad altri atleti, senza poter smettere di pedalare. Una centrifuga continua in cui o sei dentro o sei dentro. Paura svanita con l’allenamento, certo e nessuna scintilla. Scatterà nel 2009 quando, lavorando come meccanico in un famoso negozio di Modena, alcuni ragazzi gli portano delle vecchie bici da pista e da corsa da convertire in scatto fisso. Mettendo le mani su quei vecchi telai, fantastica su questo nuovo mondo dagli strani e quasi inesistenti confini. Less is more, dicono. Allora, forse, la bicicletta senza freni è davvero la rivoluzione della libertà. E’ così che si avvicina alle corse clandestine. Detto così, fa molto Fast and Furious e forse l’adrenalina è la stessa. In realtà l’atmosfera di questi ritrovi spesso notturni ha un sapore underground che, almeno una volta nella vita, bisogna provare. Anche solo da spettatore. Il buio, la periferia, l’aria che sa un po’ di umido e un po’ di patatine fritte di una rosticceria lontana. Corse senza assicurazione, senza ambulanza, su tracciati cittadini aperti al traffico.

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La mia prima volta” racconta Frenk, “è stata a Modena con delle ruote in legno e un rapporto improbabile. La verità è che non mi aspettavo di trovare così tanto agonismo, sono rimasto sorpreso. E’ stata una gara vera, combattuta fino all’ultimo. E poi, passato il traguardo, è diventata solo una festa tra amici.” E’ il nocciolo, quello che anche secondo Frenk è l’impasto vincente di questa disciplina nata sulla strada e per la strada. Pedalare, spingere, spingere più forte del vento anche se sai che non puoi frenare e poi divertirsi. Il come lo sa solo chi ha fatto di tutto questo uno stile di vita. “Ride Hard, Party Hard” è il motto del team Back2Back, la sua squadra, nata nel febbraio scorso. Frenk, Paffo e Flipper. Tutti innamorati pazzi della vita senza freni. Bicicletta e after con gli amici e poi ancora bicicletta.
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Ho deciso di lasciare la mia vecchia squadra” racconta ancora Frenk, “per dedicarmi a questo mio nuovo progetto. Volevo una realtà che racchiudesse il mio modo di vedere questo sport. Credo che le criterium a scatto fisso siano più vicine agli action sport che al ciclismo classico per eccellenza, specialmente per la carica di adrenalina che viene trasmessa anche agli spettatori.

Quando gli chiedo di raccontarmi il suo rapporto con la Red Hook, mi dice che dal 2011 non ne ha persa una e, contandole, fanno dieci. Dieci volte lo stesso fascino, anche se con sfaccettature diverse. New York, Barcellona, Milano. Tre culture e forse anche tre modi di vivere la strada. “Quella che mi è rimasta di più nel cuore” spiega, “è sicuramente Milano 2012. Sono caduto al primo giro ma ho avuto la forza di attaccare per buona parte della gara in una rocambolesca fuga solitaria. Sono stato ripreso all’ultimo giro e mi sono piazzato al quarto posto. Al di là del risultato, quello che mi ha lasciato davvero il segno, è stato l’aver trasmesso al pubblico le mie stesse emozioni.

In fuga solitaria, con attorno la gente che urla e si mischia ai rumori della Red Hook, le campanelle, le mani che battono sui cartelloni delle transenne. Ecco cos’è questa corsa itinerante, questo circo di pazzi che hanno abbracciato le ruote e la velocità insieme e non vogliono più lasciarle andare. Ecco cos’è Milano, la città, la gente, i marciapiedi, il buio e le luci dei lampioni che lucidano l’asfalto sbiadito, consumato. Il capolinea del trittico, la tappa più veloce. “E’ quella più competitiva” dice Frenk. “Non solo perché è l’ultima ma anche perché al via si presentano molti atleti professionisti o Under 23 perciò anche la velocità è pazzesca, il ritmo di gara ancora più adrenalinico. Quest’anno mi sentivo bene, ho dato il massimo, anche se ho dormito negli ultimi giri e questo mi ha fatto perdere irrimediabilmente posizioni. La lotta per i primi piazzamenti era oramai una battaglia persa.

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Storie che si intrecciano, che si afferrano al volo. E anche se la velocità è la sola regola, non riesce a sfocare le cose importanti. Perché il ciclismo resta uno sport duro come la roccia, anche se il telaio è leggero e ha un rapporto solo. La storia più bella di questi anni di criterium, secondo Frenk, è la storia di tutti. E’ vedere che ogni giorno qualcuno rimane affascinato da questo mondo. In qualunque modo: vedendo correre i ragazzi per la città, ritrovando una vecchia bici in una cantina polverosa, infilando un pedalino sentendosi liberi. Non importa il come, importa il perché, come sempre. “E’ questa la magia vera” dice. “Provare una bicicletta a scatto fisso e avvicinarsi al ciclismo per capire che poi non puoi più lasciarlo.
Altro che God Save the Queen. God Save the Crit.

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