La loro destinazione è normalmente il bidone della spazzatura, ma se opportunamente riciclati possono rendere svariate migliaia di euro: bucce di pomodoro, agrumi ormai spremuti, olive macerate, vinacce e altri scarti industriali possono valere, infatti, anche 1.000 euro al kg. Questo, se ben usati e indirizzati alla ricerca scientifica che ne ricava molecole 'buone' per l'industria farmaceutica, alimentare e cosmetica. Non più solo bioenergie quindi. L'analisi è del Gruppo Ricicla, del dipartimento di produzione vegetale della facoltà di Agraria dell'Università di Milano che a fine febbraio - alla terza edizione di 'Food Bioenergy' nell'ambito di 'Bioenergy Italy' a Cremona fino al 2 marzo - parlerà del ''riutilizzo'' di questi scarti, diventati 'adulti' e da considerare non più rifiuti ma ''sottoprodotti'' con ''un valore aggiunto''. ''In Italia - osservano gli esperti - ogni anno si producono in media di 12 milioni di tonnellate di scarti agroindustriali, solo la frazione organica arriva a 9 milioni. Allo stato attuale non esiste un mercato consolidato per il riutilizzo di questi scarti. Esistono però aziende che stanno lavorando, con notevole lungimiranza, per perfezionarne il recupero per ottenere molecole ad alto valore aggiunto da utilizzare non solo per produrre energia ma anche nell'industria farmaceutica. Grazie all'innovazione è possibile estrarre molecole come polifenoli, carboidrati, omega 3, omega 6, pigmenti. Nel nostro Paese però c'è il tasto dolente degli investimenti, che sono 'carenti': scarti industriali e idee non mancano, ma le risorse da destinare a portare avanti un processo così interessante invece languono. Eppure, concludono gli esperti della Facoltà di Agraria, basti pensare che le molecole ottenute dal riutilizzo degli scarti agroindustriali, a seconda della loro destinazione, possono valere anche 1.000 euro al kg e che le prospettive vanno nella direzione della bioeconomy''.
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La loro destinazione è normalmente il bidone della spazzatura, ma se opportunamente riciclati possono rendere svariate migliaia di euro: bucce di pomodoro, agrumi ormai spremuti, olive macerate, vinacce e altri scarti industriali possono valere, infatti, anche 1.000 euro al kg. Questo, se ben usati e indirizzati alla ricerca scientifica che ne ricava molecole 'buone' per l'industria farmaceutica, alimentare e cosmetica. Non più solo bioenergie quindi. L'analisi è del Gruppo Ricicla, del dipartimento di produzione vegetale della facoltà di Agraria dell'Università di Milano che a fine febbraio - alla terza edizione di 'Food Bioenergy' nell'ambito di 'Bioenergy Italy' a Cremona fino al 2 marzo - parlerà del ''riutilizzo'' di questi scarti, diventati 'adulti' e da considerare non più rifiuti ma ''sottoprodotti'' con ''un valore aggiunto''. ''In Italia - osservano gli esperti - ogni anno si producono in media di 12 milioni di tonnellate di scarti agroindustriali, solo la frazione organica arriva a 9 milioni. Allo stato attuale non esiste un mercato consolidato per il riutilizzo di questi scarti. Esistono però aziende che stanno lavorando, con notevole lungimiranza, per perfezionarne il recupero per ottenere molecole ad alto valore aggiunto da utilizzare non solo per produrre energia ma anche nell'industria farmaceutica. Grazie all'innovazione è possibile estrarre molecole come polifenoli, carboidrati, omega 3, omega 6, pigmenti. Nel nostro Paese però c'è il tasto dolente degli investimenti, che sono 'carenti': scarti industriali e idee non mancano, ma le risorse da destinare a portare avanti un processo così interessante invece languono. Eppure, concludono gli esperti della Facoltà di Agraria, basti pensare che le molecole ottenute dal riutilizzo degli scarti agroindustriali, a seconda della loro destinazione, possono valere anche 1.000 euro al kg e che le prospettive vanno nella direzione della bioeconomy''.
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