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Tirana, 16 novembre 2011 – L'Albania scende in piazza contro il governo di Sali Berisha, che lo scorso gennaio – con una risicata maggioranza parlamentare – ha approvato una norma che permette di importare rifiuti tossici di provenienza straniera. O, quanto meno, la dura opposizione è quello che chiede l'opposizione, in particolare quella degli ambientalisti, insorti contro l'intenzione di trasformare l'Albania nella nuova pattumiera per i rifiuti tossici.
Le motivazioni di fondo di questa norma, stando al premier Berisha, sono da rintracciare nel fatto che Tirana «non riesce a fornire materia prima per l'industria del riciclo» e, dunque, l'importazione si rende necessaria per arrivare ai livelli minimi necessari. Nonostante le parole del ministro dell'ambiente – che aveva assicurato che non sarebbero state importate materie prime «nocive, radioattive o non riciclabili» - il dubbio, comunque, rimane, in particolare da quando la giornalista Marjola Rukaj – come scrive oggi Narcomafie sul proprio sito – ha documentato il sequestro di circa centocinquanta elettrodomestici usati che dal porto di Bari sarebbero a breve partiti per il paese delle Aquile.
Rifiuti sì, rifiuti no. È interessante, comunque, notare come nel dibattito – ed eventuale referendum – sui rifiuti, l'Albania veda oggi una situazione diametralmente opposta rispetto al 2004, quando erano stati proprio i socialisti al governo a firmare un accorto per il trasferimento dei rifiuti dall'Italia. Accordo poi annullato per l'intervento della destra di Berisha.
Una nuova Somalia. Il traffico di rifiuti, in Albania, non è più una novità ormai da anni. I primi casi si registrarono già ai tempi del regime comunista di Enver Halil Hoxha, dove i rifiuti arrivavano in mezzo ad aiuti “umanitari”, alimenti scaduti e tabacco. Molte delle spedizioni che in quegli anni venivano fatte per il settore agricolo si rivelavano poi essere carichi esclusivamente di rifiuti tossici, come le 480 tonnellate di sostanze chimiche che tra il 1991 ed il 1992 arrivarono dalla tedesca Schnidt nonostante il fermo divieto della Comunità Europea e che provocarono, nel 1993, l'intervento di Greenpeace. Nessuno però, pagò il conto dei bacini idrici avvelenati con il toxafene, perché le normative europee in merito furono rispettate in pieno.
«In Albania» - sostiene Bardhyl Balteza, presidente dell'associazione delle fabbriche di riciclaggio - «non esistono né le strutture necessarie né le infrastrutture per classificare i rifiuti da riciclare». Per Lavdosh Feruni, leader della rete ambientalista albanese, questa è solo «una mossa politica che porterà vantaggi economici solo ad un ristretto gruppo di persone». E, naturalmente, alla criminalità organizzata che da anni è diventata una importantissima voce nel settore dei rifiuti, non solo quelli illegali.
Se il traffico dovesse consolidarsi, dunque, non è difficile prevedere per l'Albania un futuro da “nuova Somalia”, dove con i rifiuti tossici si costruì addirittura una strada. Quella Garowe-Bosaso su cui stava indagando anche Ilaria Alpi.
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