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Riflessioni claustrofobiche di una donna italiana in Libia.

Da Suster

Esercizi di adattamento
Che mi piace più dell'originario "Esclusione".
Vivere in questa maniera qui, rispettando questi rigidi "confini" di genere, anche se solo per un mese e anche se in parte riuscivamo ad eluderli per necessità, non è stato facile, e solo ora mi rendo conto che forse questa storia dei sessi, questo vivere in mondi separati, sia stato l'aspetto che maggiormente ha fiaccato le mie resistenze, perché l'assenza di Hasuna al mio fianco in alcuni momenti di totale isolamento e assenza di altri appigli, mi ha fatto mancare il terreno sotto i piedi.
Ma ecco, lascerò parlare la me stessa di allora, che forse riuscirà ad esprimere meglio quel che intendo dire:
...Ma forse questi miei pianti solitari sono il lavaggio catartico della mia anima che deve spogliarsi di tutto quanto dava per assodato e qui non va più bene.
Adattarsi, deve essere la parola d'ordine.
Del resto su questo punto avrei molto da imparare da queste donne. Avessero avuto la metà delle fisime che mi sono fatta io nell'allevare mia figlia, non ne avrebbero tirati su nove. E non dimentichiamo che vengono fuori da una guerra, fresca fresca di bucato.
Eppure l'universo femminile in cui ora sono segregata continua a suonarmi estraneo, stretto, claustrofobico, mentre guardo con simpatia ed empatia a quello maschile, per quanto riconosca che qui sono le donne a mandare avanti la baracca; mentre un numero eccellente di uomini in panciolle si accomoda ad ogni ora a ricevere il proprio vassoio di vivande, dietro c'è l'alacre lavoro e continuo di poche donne, per le quali la giornata non è altro che un continuo rassettare e preparare, e il massimo dello svago rimanere ore a ricevere visite di sorelle e cognate querule e voraci, e servire anche a loro (e di pari passo al parallelo e sottostante universo maschile) vassoiate di biscotti e thé, frutta e succhi vari, latte e datteri, caffè e panini imburrati.
Giornate casalinghe a scaldarsi con coperte e stufe, a sgranare piselli e tritare prezzemolo, intrattenere lattanti, parlare di trucchi e di vestiti, pensare ai matrimoni che verranno e aiutare le figlie a riempirsi gambe e braccia di fiori disegnati ad henné.
E sempre accroccati su quei cuscini in terra.
Davvero dovrei decantare questa immagine di vita familiare e rimpiangere la perduta innocenza della nostra società individualista?
Certo, no.
Spirito di adattamento, tolleranza, accettazione di culture diverse.
Tutti concetti bellissimi finché non ci sei dentro.
***
Ci sono cose a cui non credo che mi abituerò mai, che non credo capirò mai, che forse preferisco non capire, o che mi rifiuto di cercare di comprendere, perché sarebbe come ammetterle in un posto nella mia personale scala di valori.Dove finisce la tolleranza culturale e inizia l'annullamento acritico della tua capacità di giudizio?Ho parlato con Hasuna di certe mie riflessioni e impressioni, di certe interpretazioni che ho dato ai fatti di tutti i giorni, come quella del venerdì a pranzo, quando noi donne siamo andate a mangiare in corridoio, così la sala grande rimaneva libera e disponibile per il padrone di casa, che quel giorno di festa, a differenza degli altri sei della settimana, lo passa in casa.Perché?Non avremmo potuto mangiare tutti nella sala grande? Posto ce n'è in abbondanza. Di sicuro più che nel corridoio, dove ce ne stavamo tutte accovacciate vicine vicine, nella penombra delle finestre chiuse della stanza semidistrutta dai bombardamenti.Dicevo ad Hasuna queste e altre cose che mi avevano colpito, me forestiera e non avvezza a tali "delicatezze", mentre lui evidentemente le considera normali, tanto che si è anche irritato, e come al solito, ha voluto cambiare discorso, via da questo argomento, dei ruoli maschili e femminili, che scotta.Ma intanto ho segnato una pallottola nera nel mio taccuino mentale, sul pallottoliere immaginario delle mie credenze, quelle viziate dal pregiudizio, e quelle frutto della conoscenza acquisita, e ho fatto un passo indietro dalle mie posizioni possibiliste e liberali, aperte a un moderato relativismo culturale: questa di qui "è", e non il contrario, è una cultura profondamente maschilista.Viverla dall'interno è un'altra cosa dal fare la spettatrice della domenica.Ciò non significa che le donne di qui avvertano la propria condizione come subordinata, o almeno come menomata.Ciò non significa che probabilmente la maggior parte di loro non sia serenamente soddisfatta del proprio ruolo e della propria vita, così com'è, ed è probabile che nessuna di loro si preoccupi del fatto che a girare per le strade della città si vedano in pratica solo uomini, ovunque volgi  lo sguardo.
***
Ci sono diverse cose a cui non so se mi abituerò mai.Una è la netta divisione della vita in due universi paralleli e non comunicanti, o assai poco, ovvero quello maschile e quello femminile.Un'altra è imparare a mettermi in maniera decente quell'affare sulla testa senza che mi si allenti o mi cada giù ogni dieci minuti. Loro lo fissano in maniera impeccabile e senza spille da balia, liscio e tirato una volta per tutte e non si muove più per l'intera giornata.Un'altra sarebbe poi l'abitudine delle donne qui di truccarsi come trans e ingioiellarsi come reliquiari barocchi anche quando devono stare a casa (cioè sempre).Poi ci sarebbe quella cosa dei vassoi che circolano in continuazione per casa a ogni pasto più intermezzi (ma era troppo complicato avere una mensa comune a cui far riferimento?)Poi ci sarebbe questa dannata cosa di star seduti sempre per terra, mangiare in terra, scrivere per terra, cucinare in terra, stirare in terra.
Poi c'è il fatto dell'assenza di riscaldamento in casa, e quell'infernale braciere coi carboni e l'incenso che intossica l'aria, e che per quanto possa scaldare, forse giusto le mani a starci appiccicati, poi tocca aprire le finestre per far uscire il fumo, et voilà, addio lieve tepore.
E mi chiedo ancora come accidenti facciano a girare sempre a piedi nudi. Ma forse a questo potrei anche abituarmi, alla lunga. Già mi sono abituata al bidet (se così si può chiamare lo stare accovacciata su quell'orribile turca irrorandosi intanto le parti basse con l'acqua gelida che esce da una cannella attaccata al muro), e alle bevande iperglicemiche. Direi che sono a buon punto.
***
Alla resa dei conti la mia capacità di adattamento si è rivelata insufficiente, ed io assai poco intraprendente. Ma questo lo sapevo già. Solo è frustrante essere messi una volta di più di fronte ai tuoi limiti, alle tue tare caratteriali, contro le quali combatti da una vita. E ora che hai 30 anni, ti senti ripiombata nei tuoi 12, con tutto ciò che comporta: senso di inadeguatezza, alienazione e estraneità all'ambiente circostante, incapacità di comunicazione, timore di agire in maniera difforme alle circostanze, ricerca affannosa di un appiglio, paura di mettersi in gioco, incapacità cronica a lasciarsi andare e ad ironizzare un poco su se stessi.
Ecco la mia pietosa autoanalisi.
Per quanto catastrofisti, i miei pronostici sull'andamento della permanenza si rivelano esser stati decisamente ottimisti.
Un pesce fuor d'acqua se la cava meglio di me qui, e per lo meno a un certo punto ha la decenza di crepare.
***
E' chiaro che Hasuna qui è abituato a vivere alla maniera di qui. Inutile continuare a pretendere da lui presenza assidua e continuata al mio fianco.
Non sono piccola, non sono in pericolo. Me la saprò cavare anche in sua assenza.
E se non ci si capisce pazienza.
Che mi capiscano anche loro se ogni tanto necessito di un po' d'isolamento.
Il mio tentativo di portarmi i libri di sotto in giardino per potermi mettere a leggere al sole accanto a lui che lavora alle sue preziose macchine è stato intercettato e bloccato per tempo dalla suocera solerte, che mi ha spiegato pazientemente che sotto c'erano "ragiul", gli uomini, e quindi, non sia mai che mi vedano, perché poi non sai cosa può succedere, capace che ti saltano addosso e ti stuprano così, su due piedi.
Mi ritiro ancora una volta nella penombra della stanza mentre Mimi dorme e dal bagno sento provenire rumore di panni strizzati e lavatrici. E' il bucato plurimo di tutta la numerosissima famiglia cui le due donne di casa attendono con incredibile e ammirevole dedizione praticamente tutti i giorni (meno male che asciuga in fretta).
***
Il senso di riportarvi questi passi sarebbe quello di documentare il mio disperato tentativo di integrazione laggiù, ostacolato in primis dalla mia assoluta mancanza di volontà di adeguarmi a quelle regole tacite, a quelle consuetudini asfissianti, non dico per loro, per me.
Ecco, così spero che si riesca a capire un po' meglio quando dico che "è stato difficile" , che è stato faticoso per me questo viaggio.
Ma sono contenta, perché parlando con quei due reporter italiani con i quali abbiamo avuto modo di incontrarci laggiù, mi sono trovata nella spiacevole posizione di dover giustificare il mio atteggiamento critico rispetto ad alcuni aspetti della vita laggiù di fronte al loro incondizionato entusiasmo. Mi si tacciava di snobismo e atteggiamento prevenuto, e di non aver fatto abbstanza sforzi per capire e adattarmi a una cultura diversa dalla mia.
Ciò che sono riuscita a dire loro è stato questo: voi siete due giornalisti, e fate il vostro lavoro, ma per quanto voi possiate sforzare di farlo bene, non potrete riuscire MAI a descrivere fedelmente tutti gli aspetti di questa realtà sociale, perché vi manca qualcosa che io ho.
E cioè fondamentalmente due cose:
1- siete stranieri e osservate comunque dall'esterno, per quanto vi possiate sforzare di guardare con gli occhi delle persone che intervistate e che vi ospitano, che vi tratteranno con ogni riguardo e magari simpatia, ma sempre e soltanto come ospiti esterni. Godete di conseguenza di una certa libertà d'azione, che altrimenti non avreste, vi vengono perdonate di buon grado mancanze e  sconvenienze che vengono attribuite al fatto che non potete conoscere le usanze di qui. Io mi trovo nella condizione di dovermi far accettare all'interno di un tessuto sociale compatto e basilare, che è la famiglia. Provate a entrare a far parte di una di queste famiglie, chiedete a uno di questi ospiti di darvi in sposa la loro figlia, e allora vi sarà richiesto non solo di osservare, ma anche di condividere e adattarvi al loro modo di vedere e di comportarsi. Dovrete farvi accettare.
2- Ahimé, siete maschi. Questo significa, in un Paese come la Libia, dove due universi umani vivono fianco a fianco quasi senza mai intersecarsi, che vi è preclusa del tutto un'intera e cospicua fetta di umanità, alle cui usanze e consuetudini, ai cui codici e linguaggi, non sarete MAI ammessi a partecipare, ma nemmeno da osservatori esterni. Il mondo femminile di qui non vi sarà mai schiuso.
Io, in quanto membro interno acquisito, ho invece accesso a questa e, come minimo, posso interagire con l'universo maschile almeno per quanto riguarda le situazioni di coesistenza dei due mondi, rare ma esistenti, per quanto mi siano precluse quelle legate esclusivamente al mondo maschile.
(In sostanza ne so più di voi, pivelli!)
Ecco, press'a poco, come chiusi la conversazione. E c'è da dire che almeno uno di questi due personaggi, mi stava cordialmente sui cabasisi, ma in fondo questo alterco mi ha aiutato a tirare fuori una grande verità: il mio punto di vista è stato in effetti un punto di vista privilegiato per questi due motivi, e solo ora, a posteriori e mente fredda, coi piedi nel mio bellissimo, amatodiato Paese ove il sì suona, posso finalmente rallegrarmene come di un'esperienza preziosa, che realmente può aprire mente e cuore, sempre che tu sia disposto a lasciare che ciò accada.
Riflessioni claustrofobiche di una donna italiana in Libia.

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