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Riflessioni sull'assalto alla " divina produttivita' "

Creato il 25 febbraio 2012 da Alessandro @AleTrasforini

Prossimi programmi al piano degli investimenti? Potrebbe essere conveniente far chiudere qualche stabilimento, qualora servisse. Servirà chiudere (minimo) due occhi sulle vite delle famiglie legate ai lavoratori che potrebbero perdere il posto, giusto per avere qualche possibilità in più di prendere sonno la notte.  Siamo in un Paese paradossale, dove chi controlla un'azienda mette in circolo meravigliose "Fabbriche Italia" che rimangono, puntualmente, campate per aria. Poco importa se, producendo automobili a velocità costante, fra qualche tempo potrebbe accadere di venderle ai neonati: il sistema intero si regge a fatica.  Il meccanismo è, nella sostanza dei fatti, molto semplice: quanto conviene ad un bilancio familiare acquistare/ cambiare spesso vettura quando il carburante per farla girare raggiunge di mese in mese picchi sempre più alti?  Quanto conviene acquistare e produrre nuove vetture in un Paese dove risulta faticoso anche solo il fatto di cercare parcheggio? Quanto conviene produrre modelli sempre nuovi lavorando maggiormente su prestazioni e consumi? La convenienza sembra essere, ai fatti, definita rigidamente da ferree equazioni di bilancio: benefici - costi. Quanto servirebbe inserire dentro ai benefici voci quali capitale umano, sostenibilità dei consumi o razionalizzazione delle esigenze di un Paese? Contrariamente a questo, sembra che alla voce costisiano inserite soprattutto le matricole di ogni lavoratore costituente la base della piramide produttiva.  Cosa potrebbe accadere se i benefici non dovessero essere all'altezza? Sarebbe possibile tagliare qualche testa, chiudendo qualche stabilimento all'insegna dell'ormai mitologica competitività.  Poco importa se, ai fatti, il modello di economia e crescita pensato e perpetuato fino ad oggi abbia prodotto i risultati che sono sotto gli occhi di tutti: arrabattarsi per salvare il salvabile, rimandando di anno in anno una riflessione pesante che dovrebbe essere invece prioritaria.  Quanto converrebbe invece realizzare un piano industriale incentrato al rinnovamento dei mezzi di pubblico trasporto ormai distrutti di larga parte del sistema italiano? Sarebbe utile capire che la solavocazione macchina non è più sufficiente a garantire indotto ed occupazione in maniera costante?  L'affidabilità di un investimento è rilevabile da indagini capaci di impattare nel medio-lungo termine, senza il bisogno di guardare esclusivamente ad indici e guadagni annuali. Affianco a discorsi di ritorno alla crescita, sarebbe opportuno cominciare a parlare di crescita razionalizzata? Potrebbero concorrere ad un miglioramento del tessuto socio-economico del Paese i tentativi di dare valore a quella virtù chiamata capitale umano che, all'oggi, giace (irrimediabilmente?) ridicolizzata e sminuita?  L'assalto alla ricerca costante di un'esasperata produttività è un punto essenziale su cui si vanno concentrando i tentativi di riabilitare uno Stato completamente devastato da anni di conversazioni attorno alle massime buffonate: sarà utile ripercorrere nuovamente le stesse strade che ci hanno condotto al punto che è sotto gli occhi di tutti? Servirebbe ripensare completamente i binari su cui far correre il treno del rilancio.  La rincorsa alla produttività sembra essere messa davanti a tutto: vita e sicurezza diventano un sottofondo inesistente.  Vivere per lavorare o lavorare per vivere? La risposta a questa (tragicomica) domanda sembra essere divenuta una sola: chi vuole mettere la salvaguardia di sè davanti alle catene di montaggio può accomodarsi alla porta, in quanto uno disposto a subordinarsi ci sarà sempre.  Il disastro derivante da questi tacitati (e perpetuati) atteggiamenti rischia di aggravare il default sociale già in corso d'opera, da troppo tempo. Come inquadrare quei manager modello che gonfiano la produttività davanti a tutto? Ce lo ricorda il compianto Giorgio Bocca, in qualche frammento tratto dal suo libro uscito postumo: "[...]L'idea che il potere, in un'impresa come in uno Stato, debba avere mano libera sui dipendenti e sui cittadini è di quelle dure a morire. Il manager della Fiat Marchionne in questo è simile a [...] Berlusconi, entrambi stupiti e quasi delusi che i lavoratori non capiscano, non gradiscano il ricatto del capitalismo globale: o mangiate questa minestra o saltate dalla finestra.  Appartiene alla filosofia del potere la convinzione che la legge del più forte, nel caso del mercato globale, sia anche la più giusta. Ma è un'idea di comodo cara a chi sta al potere smentita dalla storia, cioè dalla lotta di classe e dal progresso produttivo e sociale [...].  Non sembra il caso di ricorrere di continuo nei rapporti di lavoro alle superiori, indiscutibili esigenze del mercato globale, cioè della facoltà che il capitale scambia per un suo inalienabile diritto: trasferire la produzione dove più gli è comoda. E' una pretesa inaccettabile da un paese civile: non si può compiere la prima accumulazione del capitale, la prima crescita produttiva e tecnica usando le risorse umane locali e poi trasferirsi dove al capitale conviene. [...] Cosa vogliono i Marchionne e altri supermanager? Vogliono ciò che hanno desiderato i capitalisti più aggressivi da sempre: sottomettere l'intera società agli interessi dei più ricchi e più forti, dei padroni, mettere tutto al servizio della produzione, tagliare le pause, ostacolare il lavoro sindacale, soffocare la lotta di classe con la scusa che è una cosa superata, una cosa del passato. La loro stella polare, il loro modo di risolvere tutti i problemi è la delocalizzazione [...] dove c'è più convenienza capitalistica. [...] La Fiat di Torino, dice Marchionne, non ha portato neanche una lira al profitto aziendale. Nel 2010 forse, ma in tutti gli anni precedenti ha messo insieme i profitti e il know how che sono serviti per acquistare la Chrysler, per creare dei quadri, dei tecnici, dei venditori che ne hano fatto la maggiore azienda italiana. Marchionne è certamente un uomo di grande intelligenza e di capacità manageriali ma forse, per ragioni che ignoriamo, un pò afflitto da un vezzo di finta modestia. 'Non entrerò in politica', ha detto, 'sono un metalmeccanico.' Un metalmeccanico da qualche milione di Euro l'anno.[...]" (Fonte: Grazie NO, Giorgio Bocca) Servirà il tristemente famoso modello Marchionne per rilanciare il Paese? Potrebbe maggiormente servire capire che soldi investiti in sicurezza e prevenzione rendono profitti (solo) statisticamente superiori a 7-10 volte il loro valore?  Dietro alla divina produttività, forse, potrebbe esistere un nuovo metodo di ragionare su cui (ri)costruire le fondamenta di questa devastata Italia. Condizionale d'obbligo, ovviamente.  Dedicato a tagliatori di vite, delocalizzatori estremi e governanti irresponsabili.
A proposito di divina produttività
"Marchionne: «Le fabbriche italiane si salvano solo se esporteranno in America»", Il Corriere della Sera,  (http://www.corriere.it/economia/12_febbraio_24/le-fabbriche-italiane-saranno-salve-solo-se-esporteranno-in-america-intervista-marchionne-massimo-mucchetti_fcf3820c-5ead-11e1-9f4b-893d7a56e4a4.shtml)
"Auto, a gennaio crollo vendite: -17%Chrysler in utile dopo 15 anni.", Il Messaggero (http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=179568&sez=HOME_ECONOMIA)


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