Ho ripensato spesso alla Syria in questi mesi, Ad Homs in particolare, agli occhi degli abitanti, alla giovialità e fierezza, mescolate. Mi è tornato il ricordo delle enormi ruote di legno, usate per far salire l’acqua, dalla valle verde alla città e che ora funzionano solo una volta all’anno per la festa nazionale e i turisti. Adesso ci sono le pompe contro la sete e costa aprire gli invasi perché l’acqua riscorra nei fiumi secchi sottostanti. Ho pensato alla reticenza della guida quando si chiedeva del bombardamento portato a termine dal presidente siriano di allora, padre di Bashar al Assad, per piegare la città ribelle che ospitava i fratelli musulmani. Ho pensato che i morti non si sono saputi neppure in quella tragedia: 7000, 10.000, 20.000? Fosse comuni e sepolture rapide, poi silenzio. I quartieri bombardati erano stati ricostruiti in periferia, gli stessi che adesso sono sotto assedio e bombardamento, una tragica tela di Penelope senza un Ulisse che liberi, e dove i figli dei padri di allora, muoiono allo stesso modo. Eppure in tanto orrore, iniziato finché eravamo lì, non ho mai compreso appieno i sentimenti del nuovo, cosa volesse oltre la democrazia. Che poi la democrazia è diversa a seconda del posto in cui ci sitrova, anche nella testa delle persone. Comunque il nuovo non si fa riconoscere ed il vecchio mostra il suo volto brutale, come dire che uno non si sa chi è, e l’altro lo si conosce. In tutto questo guardare da lontano, le persone scompaiono, diventano numeri e folle che si agitano dentro schermi televisivi, ma cosa pensino quelle persone, cosa accada dopo la preghiera del venerdì, cosa sognino i giovani che, a frotte, escono dalle scuole, non incuriosisce. E neppure dove si siederà, la signora che vendeva giocattoli ai bambini, ora che le bombe cadono in continuazione, ci riguarda. Persone, non gente, uomini e donne, richieste, pensieri forti di cambiamento, tanto che val pena di morirne, poco oltre la porta di casa. Così vicini e così incollocabili nelle nostre vite di tranquilla domestica sofferenza. Non può essere altrimenti, c’è un limite alla capacità di essere società. Anche alla compassione c’è un limite, perché troppo agita il mondo, troppi stimoli crudeli ottundono la comprensione, troppa informazione che non partecipa e rende tutto grigio, dove la notizia successiva cancella la precedente. Come si fa a capire, a partecipare, se il filo comune si smarrisce?.
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