di: Marcello Veneziani
È possibile in questo frangente sospendere per un momento le cifre e gli indici, e tirar fuori un'idea politica? È possibile riportare al centro del discorso pubblico un linguaggio sconosciuto ai tecnici e agli eurocrati? Lo riassumo in una parola chiave che è cultura e prassi politica: sovranità.Una parola che è affermazione di principio, rivendicazione di competenza e di responsabilità, assegnazione di compiti e azione conseguente. Non è un concetto astratto ma si esprime in vari ambiti reali dove si esercita il potere e il consenso, la vita e lo spazio pubblico. La sovranità non è solo il potere sugli uomini e sulle cose, è il riconoscimento, o l'invocazione, di un principio e di un atto che non si inscrive dentro il fluire ordinario delle cose, ma che lo sovrasta, s'innalza sopra l'accadere e dunque lo modifica. Sovrano non è chi segue la realtà ma chi la cambia, decide un altro corso. Il male principale della nostra epoca è la riduzione dei processi storici e umani a puro automatismo: ovvero non si può fare che in questo modo, la tecnica o i bilanci hanno delle esigenze inderogabili, matematiche, da cui non si può prescindere e tantomeno modificare.
Sovrano è colui che libera l'uomo dall'automa e lo restituisce alla responsabilità di decidere. Caliamo queste considerazioni nell'emergenza dei nostri giorni e nella convinzione ineluttabile che non si possa fare altro rispetto agli imperativi della finanza e della tecnica. La sovranità in questa fase si ribella al fatalismo della tecnica e della finanza, non sottosta al suo diktat ma si pone appunto sopra e restituisce facoltà di decidere non solo le azioni ma anche le norme su cui fondare l'autonomia. Applichiamo così la sovranità ai diversi ambiti. Sovranità politica rispetto all'economia e ai mercati perché la politica resta, nonostante tutto, il luogo in cui si rappresentano e si tutelano gli interessi generali e i principi condivisi, il luogo in cui l'identità di un popolo si fa volontà di destino. La tecnica espleta le procedure, alla politica tocca però decidere l'orientamento, la direzione, le priorità.
Sovranità nazionale per affermare l'importanza decisiva dell'unità, della sua tradizione e della sua dignità che non può essere umiliata e svenduta da poteri a nonimie sovranazionali, che rispondono solo ai propri obbiettivi privati.
Anche nella prospettiva europea non si può saltare, per esempio col fiscal compact, il gradino della sovranità nazionale. È possibile integrare nel contesto europeo le sovranità nazionali, non dis-integrarle. Sovranità popolare perché non si può calpestare la volontà di un popolo espressa dalla sua maggioranza subordinando un paese alle oligarchie finanziarie e tecnocratiche, burocratiche e giudiziarie, ideologiche e mediatiche. Nessuna deificazione della democrazia e delle maggioranze, conosciamo bene i suoi limiti e le sue storture, ma resta primario l'ancoraggio al sentire comune. Sovranità monetaria perché un paese resta sovrano se dispone della sua moneta, se è in grado di governarla e non di esserne succube, se non è strozzato dagli imperativi finanziari o dalle ingiunzioni delle agenzie di rating. La moneta dev'essere al servizio dei cittadini, e non il contrario. Sovranità linguistica, nel senso che in Italia la lingua sovrana resta l'italiano. Va incoraggiato il bilinguismo, ammirati i poliglotti, va diffuso l'inglese, tutelati i dialetti, ma l'italiano va difeso e promosso perché è il segno vivente e parlante della nostra identità e insieme è una delle lingue più nobili e gloriose al mondo.
Infine sovranità statuale perché uno Stato non può fallire ed elemosinare aiuti dalle banche, la nostra economia reale è solida, le nostre riserve auree sono rilevanti e le famiglie italiane dispongono di beni reali come le case.
Non può lo Stato abdicare in favore dei mercati, delle banche o di poteri per definizione irresponsabili nel senso che non rispondono a nessuno.
La sovranità infine ha bisogno di simboli di continuità e di identificazione. Per rendere vivente e non solo vigente la tradizione di un popolo, sorse la monarchia che dà un nome, un volto e una storia regale alla sovranità.
Incarnando la sovranità in una persona e non in un potere impersonale, si umanizza il potere e si stabilisce il principio che la sovranità debba essere esercitata e finalizzata all'umano e non ad altri paradigmi tecnici, normativi o finanziari. Nella storia, la monarchia si espresse nella duplice versione di assoluta o costituzionale; oggi nelle due versioni di ereditaria ed elettiva, ovvero dinastica o presidenziale. L'investitura ereditaria viene temperata dal ruolo, per cui il sovrano regna ma non governa; la regalità elettiva, invece, è a tempo, ma viene rafforzata dalla possibilità di esercitare la sua sovranità pur bilanciata e vigilata da altri poteri. La decisione sovrana spetta a chi rappresenta la costellazione delle sovranità prima indicate, e ne ha la piena responsabilità di cosa fa e di come lo fa. La crisi si fronteggia con la sovranità, che implica la partecipazione del popolo sovrano e la decisione di chi è stato eletto per guidarlo. Rispetto a questa domanda di sovranità, il governo dei tecnici è estraneo e la politica presente è inadeguata. Sono buone ragioni per nutrire sfiducia ma non sono ragioni sufficienti per rimuovere l'urgenza di ripristinare la sovranità. La rifondazione della polis riparte dalla sovranità.