Magazine Cultura

Rischio zero

Creato il 30 giugno 2011 da Autodafe

di Cristiano Abbadessa

Autodafé si propone di pubblicare opere di narrativa che stimolino la riflessione intorno alla realtà sociale dell’Italia contemporanea. Forse nessuna opera sarebbe in tal senso più significativa, e impietosamente fedele alla realtà, di quella che potremmo noi stessi scrivere qualora volessimo mettere in forma di narrazione la nostra avventura editoriale.
Per esempio.
Contatto un promotore editoriale per vedere se vi è una possibilità di collaborazione. È uno di quelli grossi, famosi e costosi, di cui tutti parlano bene. Promuove alcune case editrici andando con la sua rete di agenti nelle librerie, mentre per la distribuzione fisica dei libri si appoggia ai distributori maggiori (i più grandi sul mercato, per capirci). Nell’ambiente è tuttora conosciuto come “uno attento anche alle piccole realtà editoriali, capace di vedere l’idea e farla crescere”.
Mi presento, ci presento, inizio a spiegargli quali problemi vogliamo risolvere e perché pensiamo di poter ricorrere alla loro promozione. Mi stoppa quasi subito, per precisarmi che loro, adesso, accettano di promuovere solo editori che, nell’anno precedente, abbiano già raggiunto un certo livello di fatturato. E mi dice la cifra, che rappresenta il livello minimo per essere da loro considerati.
Non è, di per sé, una cifra assurda. In effetti è il fatturato che anche noi ci siamo dati come punto d’arrivo per una gestione sana e tranquilla della casa editrice. Come punto d’arrivo, però. Ed è evidente che una casa editrice nata da un anno, e con grossi problemi di distribuzione e visibilità, sta proprio cercando qualcuno che la aiuti a raggiungere questo traguardo.
Gli faccio presente che, per l’appunto, quello è il traguardo. Ma che per arrivarci serve una rete di promozione e distribuzione efficiente, ed è per quello che ci siamo rivolti a loro.
Appare sbigottito. Per lui, oggi, è inconcepibile pensare di provare a far crescere un piccolo editore. O cammina già da solo, o non se ne fa nulla. «Sa, – mi spiega con naturalezza – io devo mandare in giro i miei agenti a promuovere i libri, e li devo pagare. Non vorrà mica che io investa del mio sulla sua casa editrice?».
Be,’ sì. Perché no?
Non dovrebbe proprio funzionare che l’editore investe e rischia sulla produzione (dalla scelta fino alla stampa di un titolo) e la rete commerciale investe e rischia sulla vendita? Questo dovrebbe essere il rapporto normale, dato che gli editori (tolti i giganti che sappiamo) non hanno una propria rete commerciale e promozionale.

fiducia
Oggi, in Italia, non è più così. C’è la diffusa pretesa di “investire” a rischio zero, cioè con la garanzia a priori che l’investimento rientrerà, fin da subito, con gli interessi. Chi non garantisce un fatturato già raggiunto con le proprie forze, è tagliato fuori. Non perché, sia chiaro, ha una proposta editoriale debole o titoli di scarso valore, che sarebbe spiegazione accettabile (ma i titoli neppure vengono considerati, e meno che mai letti, in sede di trattativa con un promotore o un distributore); ma perché è evidente che non ha messo, al momento di scendere in campo, l’adeguata pila di centinaia di migliaia di euro a disposizione per una massiccia campagna di stampa.
Viene spontaneo chiedersi perché, a questo punto, un editore debba rivolgersi a questi intermediari che pretendono di guadagnare (e non poco) a rischio zero, senza nulla investire né in denaro né in lavoro né in progettualità né in intelligenza. Anche perché, va detto, le logiche dei piccoli distributori sono ormai le stesse dei colossi. Forse meglio fare da soli, viene da pensare.
Ma certo, innanzitutto, sconforta constatare come in Italia, al di là dei facili slogan, la paura di scommettere, la sfiducia nel domani e la pura difesa dell’esistente (anche di ciò che si va sgretolando) siano ancora la cifra distintiva del sentimento nazionale.


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